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martedì 26 aprile 2011
Società europee e CO2: chi dice tutta la verità?
“Lo scopo della classifica – ha spiegato Sam Gill, direttore operativo di EIO – è duplice: valorizzare le emissioni di carbonio e il grado di pubblicità delle più grandi aziende al mondo con l’obiettivo di promuovere una maggiore trasparenza e formare la base di una serie di indici del mercato azionario, progettato specificamente per fornire alla comunità di investitori uno strumento efficace per affrontare il cambiamento climatico”. La EIO ha rilevato che nel complesso le imprese europee hanno ancora una lunga strada da percorrere in merito alla comunicazione trasparente della propria impronta di carbonio, con il 13 per cento delle aziende che ancora non forniscono alcuna informazione pubblica. Tra le migliori per data reporting, le aziende spagnole, con il 92 per cento in grado di fornire informazioni complete, mentre le peggiori appaiono essere le imprese francesi e svizzere.
fonte: rinnovabili.it
Rapporto ISPRA Rifiuti Speciali 2010
Questi i principali macroindicatori del Rapporto Rifiuti Speciali dell’ISPRA - Edizione 2010 – presentati, dopo l’apertura dei lavori da parte del Presidente prof. Bernardo de Bernardinis, dal Direttore Generale dell’Istituto, dott. Stefano Laporta.
L’avv. Luigi Pelaggi - Capo Segreteria Tecnica del Ministero dell’Ambiente – ha illustrato i riflessi dell’entrata in vigore del SISTRI sull’informazione relativa ai rifiuti.
Il maggior contributo alla produzione di rifiuti pericolosi arriva dalle attività manifatturiere, con quasi 6,1 milioni di tonnellate (il 53,8% circa del totale dei rifiuti speciali pericolosi prodotti nel 2008), seguita dall’attività di “trattamento rifiuti” con il 19,9% e dalle attività di servizio, commercio e trasporti (19,1%). Nell’ambito delle attività manifatturiere il settore chimico si conferma il maggior produttore della categoria con una percentuale prossima al 69,8%, insieme all’industria metallurgica (19,6%).
Circa 1,9 milioni di tonnellate sono stati avviati a operazioni di recupero di materia, 9,4 milioni ad operazioni di smaltimento e 144 mila a recupero di energia. La forma di recupero di materia più diffusa, con oltre 788 mila tonnellate, è rappresentata dal “recupero di metalli” (R4), seguita dal “recupero di sostanze organiche” R3 ( 322 mila tonnellate), “inorganiche” R5 ( 235 mila tonnellate) e dalla “rigenerazione dei solventi” R2 (168 mila tonnellate). Il trattamento chimico fisico (D9), con oltre 7 milioni di tonnellate, la discarica (694 mila) e l’incenerimento (445 mila) risultano le operazioni di smaltimento più utilizzate.
Per quanto riguarda invece i rifiuti non pericolosi (+1,3% rispetto al 2007), i responsabili dell’aumento in termini di produzione risultano i settori “Costruzioni e Demolizioni”(C&D) e “Attività Manifatturiere” che raggiungono rispettivamente al 44,7% e 34,4% circa del totale prodotto. Seguono le attività di trattamento dei rifiuti alle quali è attribuibile, con un valore di quasi 17,4 milioni di tonnellate, il 13,7% della produzione totale, mentre alle restanti attività, considerate nel loro insieme, il 7,2% circa. La forma prevalente di gestione del settore è rappresentata, anche in quest’ambito, dalle operazioni di recupero di materia (56,4% dei rifiuti speciali - pari ad un
quantitativo di 73,9 milioni di tonnellate-), ma lo smaltimento in discarica, con oltre 16 milioni di tonnellate, è ancora molto diffuso.
Cresce del 22% rispetto al 2007, la quantità totale di rifiuti urbani e speciali esportata all’estero, raggiungendo un totale pari a oltre 2,4 milioni di tonnellate, di cui oltre 1 milione pericolosi e circa 1,4 milioni non pericolosi. La nazione che riceve il maggior quantitativo di rifiuti speciali (1,4 milioni di tonnellate) è la Germania; il quantitativo più significativo dei non pericolosi è costituito da “rifiuti urbani non differenziati”, mentre per quelli pericolosi dai “rifiuti prodotti da
impianti di trattamento dei rifiuti”.
Il nostro Paese ha invece importato, sempre nel 2008, oltre 2,2 milioni di tonnellate, di cui circa 28 mila di rifiuti pericolosi. La maggiore quantità importata proviene dalla Germania, con circa 832 mila tonnellate, ed è costituita da rifiuti derivanti da attività di costruzione e demolizione .
Per quanto riguarda invece i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (comprese le quantità stoccate ed escluso lo smaltimento in discarica), l’ammontare gestito nell’anno di riferimento è di circa 409 mila tonnellate, circa il 17% in più rispetto al 2007. Di questi oltre 177 mila tonnellate rientrano nella categoria RAEE domestici e oltre 231 mila a quella del RAEE professionale. I RAEE esportati in impianti di recupero/trattamento sono pari a circa 96 mila
tonnellate, in gran parte (circa 82 mila tonnellate) fuori dell’Unione Europea.
Infine, il monitoraggio annuale dei veicoli fuori uso mostra che nel 2008, nonostante i significativi miglioramenti raggiunti in alcuni contesti territoriali, è ancora presente un numero elevato (oltre le 1.300 unità) di impianti di trattamento. I livelli di riciclaggio/recupero risultano soddisfacenti e in continua crescita rispetto agli anni precedenti. Nel dettaglio, la percentuale di reimpiego e riciclaggio raggiunge l’84,3% del peso medio del veicolo, superando, anche se con 2 anni di ritardo, il target dell’80% fissato nel 2003. Anche il recupero totale ( riciclaggio + quota avviata al recupero di energia), essendo pari all’87,1% del peso medio del veicolo, appare al di sopra dell’obiettivo (85%) previsto per il 2006.
fonte: ambiente.it
Rincari e rubinetti chiusi i rischi della privatizzazione
Avere l'acqua a casa non è più scontato. Anche questa è la privatizzazione del servizio. Privatizzazioni innanzitutto nelle logiche di gestione ancor prima che nelle proprietà. Nella Umbria Acque, per esempio, il socio privato, controlla il 42%. Ma - si è visto - non cambia nulla. Ha inciso, un po', per temperare l'inarrestabile ascesa delle tariffe: in dieci anni, dal 1998 al 2008 - riporta Antonio Massarutto nel suo "Privati dell'acqua", appena uscito per il Mulino - sono aumentate del 47%. E nel solo periodo 2005-2008 la spesa per il servizio idrico è cresciuta del 12%, circa il 4% in termini reali. Una famiglia di tre persone spende in media 293 euro all'anno per l'acqua. Di quella che si utilizza, perché tanta se ne va persa in una rete idrica che è un vero colabrodo. Circa il 37% dell'acqua immessa in rete non viene fatturata con punte fino al 70% in alcune aree del Mezzogiorno, lì dove la fornitura dell'acqua è anche un business per la mafia e le altre organizzazioni criminali.
In Calabria, per esempio. Dove quasi il 45% della popolazione riceve un servizio a dir poco scadente. E dove l'acqua, pur arrivando nelle case, viene chiusa dal gestore per morosità del Comune. È accaduto all'inizio di marzo a Cinquefrondi, settemila anime nella piana di Gioia Tauro: per due giorni niente acqua. Rubinetti chiusi. L'ha deciso la Sorical (società mista tra la Regione e i francesi della Veolia con il 46,5%) con la quale il Comune ha accumulato un debito di quasi un milione e 200 mila euro, pari a quattro anni di pagamenti arretrati. Dopo tre decreti ingiuntivi, la società ha ridotto del 25% l'acqua erogata al cliente moroso, sostenendo la piena legittimità di questa decisione. Il punto è che il paese si sviluppa in salita e, anche qui, il taglio ha fatto mancare la pressione nelle tubature. Dai rubinetti nemmeno una goccia d'acqua, il sindaco ha dovuto ordinare la chiusura delle scuole per due giorni. I cittadini, che pagano regolarmente le bollette, si sono infuriati. Ma l'andazzo è questo. Dice Maurizio Del Re, amministratore delegato della Sorical: "È una cosa che stiamo facendo ormai da un po' dove osserviamo che non solo il Comune non adempie al pagamento ma dall'altra parte richiede una quantità d'acqua abnorme". Insomma se non paghi ti staccano anche l'acqua, un tempo bene primario.
Accade al Sud ma anche al centro nord. Da quando l'acqua è un servizio privatizzato che ha trasformato i cittadini in clienti-consumatori. Senza che, però, ci sia un mercato, la concorrenza tra gli operatori, la possibilità di scegliere. Racconta Sandro Peruzzi, presidente della Federconsumatori dell'Umbria, che ormai, un po' dappertutto, quando devi spostare il contatore all'esterno della tua abitazione per consentirne la lettura al gestore, la ditta per eseguire i lavori "viene imposta" dalla società. E ti impongono anche i prezzi. "In genere il doppio di quel che servirebbe", chiosa Peruzzi.
Perché l'acqua dei privati costa sempre di più. A metà maggio è in arrivo la stangata per i cittadini-clienti dei 29 comuni campani nell'area sarnese-nolana-stabiese: incrementi sulla bolletta del 20%. C'è chi ha calcolato che da sei anni a questa parte gli aumenti delle tariffe siano stati nell'ordine del 300% senza che il servizio sia migliorato. Ne sanno qualcosa nella zona di Arezzo che per prima ha sperimentato la privatizzazione: tariffe all'insù di quasi il 57%. E sempre, al nord, al centro e al sud e nelle isole, ci sono i francesi - senza il clamore del caso-Parmalat - che hanno conquistato quote azionarie prestigiose: Suez, Veolia Water e Saur. Gruppi potenti che hanno "imposto" il modello d'oltralpe. Conclusione di Giuseppe Altamore in "Acqua spa" (Mondadori): "Il servizio idrico è ormai un'industria che produce utili i dividendi per grandi e piccoli azionisti. La metamorfosi da cittadino a cliente dei mercanti d'acqua è avvenuta". Pronto a restare a secco e anche in bolletta.
fonte: repubblica.it
martedì 12 aprile 2011
L'ecocasa difende dal caldo un primato "Med in Italy"
Si chiama Med in Italy il progetto che un team composto da docenti e studenti dell'università Roma 3 e della Sapienza porterà a Solar Decathlon, la competizione internazionale lanciata nove anni fa dal Dipartimento Energia degli Stati Uniti che stavolta si svolge a Madrid. E' una maratona verde composta da dieci gare. I 20 finalisti, scelti in una rosa di centinaia di concorrenti, dovranno misurarsi in campo costruttivo, dell'architettura, dell'efficienza, del bilancio energetico, del comfort, della funzionalità, della comunicazione, della produzione e fattibilità economica, dell'innovazione, della sostenibilità.
E Med in Italy si è attrezzata per sostenere la sfida. La casa progettata dalle università romane produce sei volte più energia di quella che consuma, può essere realizzata in due giorni e montata in otto e potrebbe dunque essere utilizzata anche per far fronte a situazioni drammatiche come un terremoto o a un'ondata massiccia di migranti.
In 20 anni grazie al risparmio realizzato da una casa di questo tipo si eviterà l'emissione di 121 tonnellate
"La finale verrà disputata nel settembre 2012 e quindi ci aspetta un altro anno di lavoro, ma noi abbiamo già vinto una tappa fondamentale", commenta il team leader del progetto, l'architetto Chiara Tonelli. "Siamo stati scelti tra le centinaia di progetti presentati e questo ci consentirà di avere i fondi per realizzare l'edificio. Inoltre è la prima volta che una casa bioclimatica viene studiata con maggiore attenzione all'isolamento dal caldo rispetto a quello dal freddo. Noi mediterranei abbiamo una tradizione antichissima nel campo della bioclimatica e con Med in Italy abbiamo recuperato la ricchezza di questa storia costruttiva coniugandola con le possibilità offerte dalla tecnologia moderna. Questo binomio, unito a una forte attenzione all'aspetto estetico, è la chiave che può permettere all'Italia di tornare a giocare un ruolo di primo piano in questo campo".
fonte: repubblica.it
lunedì 11 aprile 2011
L’Italia consuma quattro volte di più delle proprie risorse
Stando ai risultati che emergono dall’ultima indagine sull’impronta ecologica del Mediterraneo, negli ultimi 45 anni in Italia la domanda pro-capite di risorse è aumentata del 95% e tale fattore ha di conseguenza messo a rischio l’intero sistema economico del Paese. L’Impronta Ecologica, ideata da Mathis Wackernagel, è il rapporto che c’è tra l’uso di natura e la capacità della natura stessa di rigenerarsi. Per Wackernagel, intervenuto questa mattina all’Assemblea, è importante che gli enti locali per primi diffondano sistemi di sviluppo territoriale a basso consumo di risorse, tenendo sempre in considerazione la propria Impronta Ecologica.
Per il Presidente del Global Footprint Network è ora che i governi inizino a dare risposte concrete alla salvaguardia dei territori, in stretta collaborazione con gli amministratori delle città, delle province e delle regioni.
fonte: rinnovabili.it
"Ora il mondo ha capito si rischia la catastrofe"
«Fukushima ha cambiato il mondo, perché è successo qualcosa di diverso da quanto finora avevamo vissuto, saputo e presunto. Molti sono diventati solo ora consapevoli dei pericoli dell'energia atomica. E' tema di conversazioni in ogni famiglia. Per i più anziani come me un'occasione di riflettere».
Ripensando alla sua vita, sul tema atomo cosa ricorda?
«Io divenni adulto dopo la fine della guerra. Il Reich aveva appena capitolato, ero ancora prigioniero degli americani, e caddero le prime bombe atomiche, e così finì la guerra col Giappone. Fu il mio primo "incontro" con la bomba atomica. Ero contro la bomba, ma a favore dell'uso pacifico dell'energia nucleare. Mi ci vollero anni per capire che uso militare e uso pacifico hanno qualcosa che li collega, e capire quale strappo della civiltà sia l'energia atomica».
Anche il suo uso pacifico?
«Sì. A molti il pericolo fu chiaro già allora. Ma durante la guerra fredda la corsa agli armamenti, contro cui io mi espressi sempre, catturò più attenzione. Allora la Repubblica federale cominciò a costruire centrali atomiche, una vicino casa mia».
Perché il movimento anti-nucleare conseguì così pochi risultati?
«La crescente dipendenza della politica dalle lobby è
il marcio di tutta la storia. Anch'io ho protestato contro la crescente dipendenza del Parlamento dalle lobby».
Fukushima insegna cioè che la politica deve riconquistare il suo primato?
«Sì.
La crescente dipendenza della politica dalle lobby è il marcio di tutta la storia. Andrebbe creata un'area a loro vietata attorno ai parlamentiDeve porre limite al potere delle lobby. Si dovrebbe creare un'area vietata per i lobbysti attorno al parlamento, come per le dimostrazioni di protesta».
La Germania ha spento molti reattori e importa energia dalla Francia. Che senso ha dire addio da soli al nucleare?
«Il problema è che rinviando l'addio al nucleare, come il governo Merkel decise, molto prima di Fukushima, sono stati bloccati molti investimenti già avviati nelle energie rinnovabili. Senza quella decisione di prolungamento d'uso delle centrali ora rinnegata, potremmo essere molto più avanti. Il freno va smantellato. A causa di quella scelta adesso dobbiamo importare energia atomica dall'estero. Ma è insensato dire che se la Germania spegne tutti i reattori adesso va al blackout».
Come devono reagire i cittadini con la loro coscienza critica?
«Il cittadino deve impegnarsi. Pesa sulla mia generazione il pensiero della Repubblica di Weimar, che fallì tra l'altro perché non furono abbastanza i cittadini che s'impegnarono per difenderla. La democrazia va difesa ogni giorno».
L'atomo è oggi il tema più importante?
«Non c'è un solo tema prioritario. La fine delle risorse, la fine della crescita economica, la globalizzazione, la scarsità di acqua, tutto è ugualmente importante. Il pericolo è che nel prossimo futuro tutto ci esploda in mano insieme. Il caro-alimentari, che qui da noi colpisce poco, nel terzo mondo è tragedia esistenziale».
Che cosa teme, se ogni problema esploderà insieme?
«Il mio timore peggiore è arrivare in futuro a una dittatura ambientale. Cioè dover vivere con decreti d'emergenza continui per salvare quel che resterà dell'ambiente. La catastrofe atomica in Giappone non può essere affrontata come fu con Cernobyl in Urss. E' un assaggio del futuro che ci aspetta»
Cosa si aspetta dal movimento antinucleare?
«Vorrei fare il mio possibile per rafforzarlo. Ha bisogno di un respiro lungo. Quanto accade oggi in Giappone sparirà magari dalle prime pagine quando il pericolo immediato sembrerà venir meno. Ci sono politici che hanno fatto questo calcolo e puntano a successi promettendo moratorie».
fonte: repubblica.it
venerdì 25 marzo 2011
L’energia eolica? La si ruba con il treno
fonte: rinnovabili.it
Il concetto di sicurezza
Le centrali nucleari sono sicure, un luogo comune da sfatare. L’incidente di Fukushima ha riacceso un dibattito che pareva poggiare su alcuni capisaldi sicuri. Tra questi, che le centrali nucleari siano intrinsecamente sicure e che siano innocue quando non ci sono incidenti.
Nessuno di questi due assunti è purtroppo vero. Ma mentre si parla assai dell’incidente a Fukushima, quasi nessuno parla di un risultato molto più clamoroso, quello ottenuto dall’Università di Mainz su incarico del governo tedesco. Secondo questo studio, che prende in esame la statistica sanitaria federale dal 1998 al 2003 presso le 17 centrali tedesche, si contrae il cancro in misura molto maggiore vicini agli impianti che a distanza. In particolare c‘è il 76% di probabilità in più di contrarre leucemie e tumori fetali e neonatali a 5 km di distanza dalle centrali che non a 50. Come a dire che le radiazioni emesse durante il funzionamento normale sono letali per i nostri figli quanto più sono piccoli e vicini alla centrale. Ma il governo italiano ha messo a capo dell’agenzia per la sicurezza nucleare un signore che ha più volte affermato che le radiazioni provenienti dalle centrali sono innocue.
Per documentarsi
Kaatsch P, Spix C, Schulze-Rath R, Schmiedel S, Blettner M. Leukaemia in young children living in the vicinity of German nuclear power plants. Int J Cancer (2007), doi:10.1002/ijc.23330.
Spix C, Schmiedel S, Kaatsch P, Schulze-Rath R, Blettner M. Case-Control Study on Childhood Cancer in the Vicinity of Nuclear Power Plants in Germany 1980-2003. Eur J Cancer (2007), doi
:10.1016/j.ejca.2007.10.024. 2007
Links
Articolo inglese: Nuclear power station causing cancer
Lo studio: Epidemiologische Studie zu Kinderkrebs in der Umgebung von Kernkraftwerken (KIKK-Studie)
fonte: rinnovabili.it
Low cost ed eco-compatibile da casa popolare a social house
Poi, con il ricorso a uno dei tanti anglicismi che spesso riescono a nobilitare le definizioni nostrane, anche in Italia s'è cominciato a parlare di "social housing", vale a dire case sociali, edilizia residenziale pubblica, a basso costo. Prefabbricati, per lo più in legno oppure materiali misti con acciaio, cemento leggero, lane artificiali o animali, da realizzare in tempi assai più brevi di quelli normali. Magari per fronteggiare le emergenze abitative: un post-terremoto, come in Trentino o più recentemente all'Aquila, dove - a parte i ritardi della ricostruzione e i disagi della popolazione - sono stati realizzati 196 appartamenti in 72 giorni, per complessivi 12 mila metri quadri. Ovvero, per tamponare le conseguenze di un'alluvione o un'ondata di immigrazione clandestina.
Ma ora, sulla spinta di una tendenza partita dal Nord-Europa, la tecnologia della prefabbricazione punta a fare un doppio salto di qualità, funzionale ed estetico. E dall'idea originaria di abitazione temporanea, provvisoria, precaria, si sta passando a quella di residenza stabile e duratura. Con standard ambientali e anche architettonici più elevati. Una casa - insomma - eco-compatibile,
A Londra, è già stato costruito il primo edificio interamente in legno a nove piani. Nella zona nord della stessa capitale inglese, lungo i margini stradali di Murray Grove e Sheepherdess Walk, l'iniziativa promossa dalla Peabody Trust - una fra le più antiche associazioni filantropiche della Gran Bretagna - ha puntato proprio sul controllo del prodotto finale. Altri progetti con le stesse caratteristiche sono stati realizzati o sono in via di realizzazione a Berlino. Ma anche in Italia si vanno diffondendo i tentativi di realizzare un "social housing" per così dire di qualità, a partire dalle esperienze più innovative del Trentino e dell'Alto Adige per arrivare alle aree metropolitane di Roma e di Milano.
In Lombardia e Veneto la Cassa depositi e prestiti ha già assicurato la sua disponibilità a investire 118 milioni di euro in due programmi che prevedono una spesa complessiva di 295 milioni. E lo stesso istituto finanzierà con 25 milioni anche il progetto "Parma Social House" che comprende un mix di 852 alloggi, di cui 252 in locazione a canone sostenibile, 420 in vendita diretta e 180 in locazione a canone convenzionato con riscatto all'ottavo anno (140 milioni di investimento complessivo, realizzazione entro il 2012).
I vantaggi più rilevanti della prefabbricazione riguardano i costi e i tempi di realizzazione. E alla fine i benefici si riflettono sugli utenti. Nel caso degli affitti agevolati dalle amministrazioni locali, i canoni si aggirano intorno ai 6 euro per metro quadro al mese: una casa di 70-80 metri quadrati, può costare quindi meno di 500 euro mensili. I prezzi di acquisto, a seconda che si tratti di vendita a categorie disagiate oppure di vendita libera sul mercato, possono variare dai 2.500-2.700 euro al metro quadro fino ai 3.000-3.200. E in ogni caso, si tratta di livelli più accessibili per una fascia sociale che comprende giovani coppie, famiglie monoreddito, disoccupati, precari, studenti fuori sede, genitori separati, disabili.
Sul fronte energetico, per effetto delle proprietà di isolamento e coibentazione del legno, gli edifici di questo tipo possono ridurre notevolmente il fabbisogno fino alla metà: circa 7 litri di gasolio per metro quadro all'anno, contro una media nazionale di 15 litri. Oltre a diminuire così le emissioni, lo spessore dei pannelli in massello consente di ricavare anche un aumento delle volumetrie (circa il 10%). E infine, l'utilizzo del legno - accompagnato naturalmente da una programmazione del rimboschimento - offre una maggiore flessibilità architettonica, adattandosi alle diverse tipologie edilizie: tanto più nel caso della ristrutturazione di vecchi immobili.
Anche qui, però, c'è l'altra faccia della medaglia. Non si tratta tanto della sicurezza, né sul piano della resistenza anti-sismica né su quello della prevenzione anti-incendio: i prefabbricati in legno o materiali misti sono più elastici, assorbono meglio degli edifici tradizionali le scosse di terremoto e, opportunamente trattati con vernici ignifughe, resistono perfino all'assalto del fuoco. Le riserve sono piuttosto di ordine psicologico e attengono soprattutto alla consistenza di un classico bene-rifugio come la casa, particolarmente caro alle famiglie italiane. Ma è proprio dall'evoluzione della tecnologia che dipenderà in futuro l'espansione di un settore emergente della "green economy".
fonte: repubblica.it
Il governo vara la moratoria 'Per ora niente ricerca dei siti'
Il testo, come precisa una nota diramata nel pomeriggio dallo stesso dicastero di via Veneto, se da un lato fa sì che non si proceda "all'adozione degli atti necessari alla realizzazione degli impianti nucleari, a cominciare dalla predisposizione del documento programmatico sulla strategia nucleare", dall'altro fa in modo di confermare "il deposito nazionale per lo stoccaggio e il ruolo dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, quale organo competente per lo studio e la programmazione delle politiche riguardanti
"Quanto successo oggi in Consiglio dei ministri ha dell'incredibile - commentano i senatori del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta - Il governo ha approvato il decreto che fissa la road map per la realizzazione delle centrali nucleari e contemporaneamente ha deciso una moratoria di un anno prima di scegliere definitivamente il ritorno all'atomo. Il termine per la definizione del piano programmatico spostato ulteriormente in avanti a 24 mesi, cioè a fine legislatura, è un operazione ingannevole del governo che sa già che non servirà a nulla". Insomma, "è una truffa ai danni degli italiani - spiegano Della Seta e Ferrante - è il tentativo di salvare la faccia depotenziando il referendum in programma a giugno lasciando per altri mesi il paese senza lo straccio di una politica energetica finalmente orientata a innovazione, efficienza e allo sviluppo delle energie rinnovabili".
E la parola truffa è quella più ricorrente anche nei commenti delle associazioni ambientaliste. "Il governo vuole solo evitare che gli italiani vadano al voto con l'incubo del ritorno dell'atomo nel paese. Lo stop di un anno e addirittura due anni per decidere la strategia significa, di fatto, rimandare ogni scelta non solo oltre le prossime elezioni amministrative ma anche oltre quelle politiche del 2013", dice il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza. Il Wwf parla invece di governo "attendista stregone", mentre per Greenpeace si tratta di "una foglia di fico con la quale l'esecutivo tenta di confondere le acque per dare a intendere ai cittadini che del referendum di giugno non c'è più bisogno". Di una "trappola, un diversivo per salvarsi dal referendum e non mettere a rischio le elezioni amministrative", parla anche il Comitato 'Vota Sì per fermare il nucleare', che ha inscenato tra l'altro un sit-in improvvisato davanti a Palazzo Chigi. "Ma gli italiani - prosegue la nota - non si faranno gabbare. No alla moratoria-truffa".
Sul fatto che lo stop di 12 mesi significhi davvero un ripensamento, piuttosto che una semplice presa di tempo, restano insomma forti e legittimi dubbi. La scelta potrebbe rivelarsi però comunque deleteria per le ambizioni di revival atomico del governo. Tra un anno le "quotazioni" del nucleare rischiano infatti seriamente di essere ancora più in ribasso di quelle attuali. Basti pensare alla nuova uscita odierna 3 della cancelliera Angela Merkel. "Più presto la Germania uscirà dal nucleare meglio sarà", ha detto la leader tedesca parlando a Francoforte. E dal Veneto arriva la notizia che anche la Lega si starebbe orientando verso il sostegno al referendum anti-atomo: "Nel centrodestra si aprono crepe evidenti", rileva il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi.
Il varo della moratoria da parte del governo è stata tra l'altro occasione oggi per un'iniziativa dei Verdi, che hanno presentato un dossier sui possibli danni per la salute del nucleare anche in mancanza di incidenti. Il documento cita una serie di studi e raccolte statistiche tedesche, spagnole e britanniche che secondo il Sole che ride "giungono a un'unica conclusione: il rischio di cancro si incrementa per i soggetti che vivono nelle vicinanze delle centrali atomiche e in presenza delle cosiddette 'piccole dosi' di radiazioni rilasciate dalle centrali durante il loro normale funzionamento".
fonte: repubblica.it