L’inquinamento luminoso è un fenomeno sempre più diffuso a livello planetario, eppure pochi semplici accorgimenti consentirebbero di eliminare il problema
“Iddio separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte”. La Bibbia inizia con un assioma quasi ovvio nella sua semplicità, ma che in realtà oggi non è più così scontato.
Nell’ultimo secolo, infatti, l’uomo ha ribaltato questa verità e le notti, specie nelle aree densamente urbanizzate, appaiono sempre meno tenebrose tanto sono illuminate.
Si parla perciò di inquinamento luminoso per indicare quel fenomeno per cui la luce artificiale invece di essere correttamente diretta verso il basso, si disperde in tutte le direzioni, soprattutto verso l’alto dove non è necessaria, provocando un’alterazione più o meno marcata dei livelli di luminosità naturalmente presenti nell’ambiente notturno.
Le radiazioni luminose intercettate e riflesse dalle polveri sospese in atmosfera, poi, generano un bagliore diffuso che crea un’innaturale illuminazione del cielo, cancellando, di fatto, il buio della notte.
Il fenomeno è tanto evidente, che nelle immagini satellitari della Terra di notte si distinguono chiaramente grandi chiazze luminose in corrispondenza delle città più popolose ed estese.
C’è una ragione, quasi primordiale, per cui abbiamo trasformato l’oscurità notturna riempiendola di luci sfavillanti. Noi uomini siamo animali diurni. I nostri occhi si sono evoluti adattandosi alla luce del sole e, al contrario delle numerose creature notturne, non siamo in grado di vedere al buio. Questo è il motivo per cui ne abbiamo un’atavica paura.
Ma se l’illuminazione artificiale ha comportato indubbi benefici, consentendo di “vivere la notte”, è altrettanto vero che la sua cattiva progettazione ha alterato i ritmi di vita, riproduzione e alimentazione di molte specie, compresa la nostra. Senza considerare il danno economico dovuto allo spreco di energia elettrica impiegata per illuminare inutilmente zone che non andrebbero illuminate, come ad esempio la volta celeste.
Solo da poco gli scienziati hanno incominciato a studiare gli effetti dell’inquinamento luminoso. Nell’anno 1800 per fare luce si usavano candele, torce e lanterne, che avevano uno scarso o quasi nullo effetto di riflessione. Pochissime case erano illuminate a gas e i lampioni pubblici sarebbero comparsi più tardi. Anche le città più grandi di notte erano sostanzialmente buie.
Oggi invece pure i paesi più piccoli vivono perennemente sotto cupole di luce riflessa. Lampade sempre più potenti, lampioni, riflettori, fari di automobili e insegne luccicanti ci hanno privato della vista delle stelle.
Per anni, infatti, gli unici a porsi il problema e a studiare il fenomeno sono stati gli astronomi perché un cielo notturno troppo luminoso limita fortemente l’efficienza dei telescopi ottici. È stato valutato che circa il 20 per cento dell’umanità non riesca più a vedere la Via Lattea. Non a caso il primo provvedimento ufficiale sull’inquinamento luminoso fu adottato negli Stati Uniti nel 1958 a tutela di un osservatorio astronomico, quello di Flagstaff, in Arizona.
Non è, però, solo una questione di invisibilità degli astri o degli altri corpi celesti. È scientificamente provato che l’inquinamento luminoso provoca disturbi gravi a tutti gli esseri viventi, animali e piante, non solo quelli notturni, ma anche i diurni, come l’uomo, a causa dell’alterazione dei ritmi circadiani.
Tutte le creature terrestri hanno bisogno per il proprio benessere biologico, sia della luce sia del buio. L’alternanza del giorno e della notte corrisponde biologicamente all’alternanza della veglia e del sonno.
Con l’illuminazione artificiale è come se avessimo allungato il giorno e abbreviato la notte, ma in questo modo abbiamo mandato in tilt la sensibilità alla luce, acquisita lentamente da tutti gli esseri viventi nel corso dell’evoluzione, e con essa i ritmi naturali di vita.
Gli insetti volanti notturni, come falene e lucciole, e in generale tutti gli uccelli sono disturbati soprattutto dalle immissioni luminose verso l’alto, che causano la perdita dell’orientamento e modificano i comportamenti abituali, provocandone altri anomali.
Gli uccelli marini, per esempio, sono come ipnotizzati dalle luci delle piattaforme marine o dei riflettori sulla costa e volano intorno alla fonte luminosa per ore fino a cadere stremati.
Alcune specie di pipistrelli hanno imparato a cacciare attorno ai lampioni stradali, attrazione per numerosi insetti, a discapito di altre specie incapaci di nutrirsi alla luce.
I ritmi migratori di molti uccelli, come il cigno minore, sono stati alterati dalla luce artificiale. Più ore di luce permettono, infatti, ai cigni di avere più tempo per mangiare e questo significa che ingrassano più rapidamente e iniziano a migrare prima, quando però non ci sono ancora le condizioni giuste.
Sulla terraferma i danni ambientali provocati dalla luce artificiale sono altrettanto rilevanti. Se le piante per effetto della luce diffusa dall’atmosfera subiscono alterazioni nel ciclo della fotosintesi clorofilliana, i mammiferi notturni, tra cui i tassi, gli opossum e alcune specie di roditori, in alcune regioni rischiano l’estinzione perché nella notte illuminata sono più esposti ai predatori.
Molto studiato è il caso delle tartarughe marine a Singer Island in Florida. Quando le loro uova si schiudono i piccoli sono attratti dalle luci sulla strada dietro la spiaggia dove abitualmente nidificano, e in questo modo muoiono a centinaia, schiacciati dalle auto di passaggio.
Anche l’uomo subisce danni biologici gravi dall’inquinamento luminoso. La cosiddetta luce intrusiva, cioè quella delle strade e delle insegne luminose che penetra non richiesta nelle case, e gli abbagliamenti molesti provocati agli automobilisti dai potenti fari abbaglianti, possono provocare degenerazioni della vista, da semplici irritazioni agli occhi alla miopia.
Non solo. È stato accertato che un’esposizione già a bassissimi livelli di luce artificiale blocca la produzione di melatonina, ormone molto importante nella fisiologia umana. Ora una recente ricerca condotta dall’Università di Haifa, in Israele, e pubblicata nel 2008 sulla rivista scientifica Neuroendocrinology Letters, ha ipotizzato una possibile correlazione tra questo effetto e alcune forme tumorali, in particolare il cancro al seno nelle donne. L’esposizione alla luce durante la notte è stata perciò proposta come un potenziale fattore di rischio tumorale.
Tra tutti i tipi d’inquinamento quello luminoso è il più semplice da affrontare e sicuramente è l’unico reversibile. Basterebbero pochi semplici criteri nel progettare gli impianti d’illuminazione, sia per ridurre in modo significativo la dispersione della luce artificiale, che per ottenere importanti risparmi energetici.
Innanzi tutto sarebbe buona pratica non immettere luce sopra l’orizzonte, utilizzando, per esempio, apposite schermature e comunque orientando le lampade sempre verso il basso. Il limite adottato dalle normative più efficaci è zero immissioni dai 90 gradi in su. In particolare sono i fasci luminosi inclinati di pochi gradi sopra l’orizzonte i più inquinanti perché si propagano più lontano rispetto a quelli emessi ad angoli elevati.
Un altro criterio importante è quello di evitare la sovra illuminazione: è bene, cioè, non superare mai i limiti minimi previsti dalle normative tecniche di sicurezza dei singoli apparecchi.
Infine è fondamentale scegliere le lampade in base alla sensibilità alla luce dell’occhio umano. Lampade troppo potenti o troppo fioche sono entrambi inutili e pericolose: le prime perché abbagliano, le seconde perché non illuminano abbastanza. Per l’illuminazione delle strade, ideali sono le lampade ad alta efficienza al sodio con dispositivi per ridurre i consumi dopo le ore 24.
Purtroppo la legislazione vigente in materia è ancora piuttosto carente e alcuni criteri tecnici adottati in campo internazionale (la contestata
UNI 10819 del 1998) sono stati giudicati dagli esperti assolutamente insufficienti a contrastare efficacemente l’inquinamento luminoso, perché basati su parametri inadeguati o troppo complessi da determinare e quindi poco applicabili alla realtà.
Negli
USA, dove sono stati approvati i primi provvedimenti per limitare gli eccessi luminosi, tutti gli Stati hanno ormai adottato ordinanze antinquinamento. L’Europa invece appare più indietro a questo riguardo, non essendoci ancora una direttiva comunitaria sull’argomento.
In Italia dal 1992 sono stati presentati diversi disegni di legge, ma tutti si sono arenati nell’iter parlamentare. Di fatto, ad oggi non esiste una legge nazionale e la questione è stata affrontata a livello regionale, a partire dal 1997 con il Veneto, la prima Regione a dotarsi di una norma contro l’inquinamento luminoso. Attualmente sono 15 le Regioni italiane (più la Provincia Autonoma di Trento) che hanno approvato regolamenti specifici, anche se non tutti sono aggiornati con i criteri tecnici più efficaci e moderni, come quelli adottati per esempio, dalla Lombardia, che nel 2000 ha promulgato una delle normative più avanzate.
Per combattere la superficialità dei Governi e degli Enti pubblici e la generale carenza d’informazione sul fenomeno, negli ultimi vent’anni sono state fondate diverse associazioni no-profit. Si deve ad organizzazioni come International Dark-Sky Association (
IDA), nata nel 1988 a Tucson in Arizona e con sedi in tutto il mondo, compreso il nostro Paese, o l’italiana CieloBuio, nata nel 1997 in Lombardia, una maggiore consapevolezza del problema e l’approvazione di regolamenti più restrittivi e adeguati.
L’azione di
IDA e di CieloBuio è rivolta anche e soprattutto verso i progettisti degli impianti. Nonostante oggi le tecnologie per controllare la quantità e la qualità della luce artificiale e limitare quindi le dispersioni verso il cielo e i consumi energetici, siano ampiamente collaudate e disponibili, sono molte le anomalie che abitualmente si riscontrano nella progettazione dell’illuminazione, specialmente quella pubblica di strade e monumenti.
Solo nel nostro Paese, da uno studio condotto dalla sezione italiana di
IDA su 545 impianti in tutte le Regioni, risulta che la maggior parte di essi disperde verso l’alto dal 5 al 60 per cento della luce emessa, ha il 20-30 per cento di pali in più rispetto a quelli necessari, mancano quasi tutti dei dispositivi di risparmio energetico, anche se obbligatori e illuminano troppo spesso dal basso verso l’alto, con dispersioni fuori sagoma fino all’80 per cento del flusso luminoso.
Ciò nondimeno non mancano gli esempi positivi in Italia. Frosinone, nel Lazio, è stato il primo Comune a dotarsi nel 1996 di un regolamento antinquinamento luminoso. Con una serie di interventi su impianti pubblici e privati, è riuscito a ridurre in 10 anni il flusso luminoso verso l’alto di 45 milioni di lumen (unità di misura del flusso luminoso), abbattendo nel contempo i consumi elettrici del 50 per cento, con un notevole risparmio sulla bolletta.
Esemplare, poi, il progetto realizzato a Torraca, in Campania. Questo piccolo paese del Cilento è diventato nel giro di pochi anni un esempio mondiale di ecosostenibilità e viene visitato da ricercatori ed esperti da tutte le nazioni. Tutta l’illuminazione pubblica è stata realizzata con tecnologia
LED, semiconduttori di silicio che emettono luce al passaggio di corrente elettrica. Il risultato è un’illuminazione diretta solo dove serve e un abbattimento quasi totale delle dispersioni e dei riflessi. Inoltre, anche grazie agli impianti fotovoltaici, le bollette comunali sono diminuite del 65-70 per cento.
La lotta all’inquinamento luminoso va quindi di pari passo con l’efficienza e il risparmio energetici. In un’epoca di crisi economica, in cui il costo dell’energia è sempre più alto, i due Comuni italiani rappresentano indubbiamente un modello da seguire.
È stato stimato che una città di medie dimensioni (circa 50.000 abitanti) potrebbe risparmiare annualmente fino a 150.000 euro sul costo della bolletta energetica, sostituendo o modificando i soli impianti pubblici. Il risparmio a livello nazionale, in Italia, potrebbe arrivare a qualche centinaio di milioni di euro all’anno.
Diminuire i consumi elettrici significa peraltro ridurre le emissioni di anidride carbonica. Torraca, infatti, nel 2008, dopo aver vinto il premio Ecomondo, è stato inserito nel Kyoto Club.
L’inquinamento luminoso, quindi, non è più un problema puramente astronomico, ma interessa anche biologi, medici, ingegneri, economisti. Il loro sforzo è soprattutto quello di ricondurci a vivere in armonia con la natura seguendo il ritmo naturale del giorno e della notte. E di ridarci la visione delle stelle, naturalmente
fonte: rinnovabili.it