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mercoledì 30 aprile 2008
Danno morale riconosciuto al lavoratore infortunato: cosa garantisce la polizza all’azienda
Fatto e diritto
Un dipendente, vittima di un infortunio sul lavoro (a seguito dello scoppio di una gomma di un camion aziendale all'atto del rigonfiaggio dopo la riparazione), aveva ottenuto dall'Inail l'indennità per l'inabilità temporanea e la costituzione di una rendita per l'inabilità permanente.
Al tempo stesso chiedeva la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno biologico e del danno morale.
La società convenuta contestava tale domanda e chiamava in causa la compagnia di assicurazioni (Sai), che si costituiva ed eccepiva la non operatività della polizza.
Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il datore di lavoro al risarcimento del danno biologico e morale nella misura di L. 183.760.000, oltre accessori di legge, condannando la compagnia assicuratrice a tenere indenne la società.
La Sai in Corte d’Appello opponeva l'inoperatività della polizza e chiedeva alla società assicurata la restituzione della somma di Euro 133.246 corrisposta all'infortunato in esecuzione della sentenza di primo grado, nonché di sentir dichiarare che la somma determinata dal Tribunale era fissata ai valori attuali e non doveva essere rivalutata.
Il dipendente, a sua volta, proponeva appello incidentale, chiedendo che fosse determinata in maggior misura la somma liquidata a titolo di danno morale.
La società, infine, proponeva appello incidentale condizionato mirato alla reiezione della domanda dell'infortunato e, in subordine, alla dichiarazione che la somma eventualmente spettante non era soggetta a rivalutazione.
La decisione della Corte di Appello
La Corte di Appello riformava la sentenza respingendo la domanda di garanzia e condannava la società a rimborsare alla Sai la somma da questa pagata all'infortunato oltre interessi; condannava altresì la stessa società a pagare in favore dell’infortunato la somma liquidata dal primo giudice con l’aggiunta degli interessi legali sul capitale (devalutato di anno in anno dal giorno del sinistro a quello della sentenza di primo grado) e degli interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza impugnata a quella del pagamento.
Per la corte d’Appello, infatti, la clausola della polizza di assicurazione prevedeva solo la garanzia della responsabilità civile e copriva solo il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa e non anche il danno morale e biologico, aventi natura non patrimoniale.
Per questo la società assicurata doveva restituire alla Sai la somma da questa già corrisposta all'infortunato in esecuzione della prima sentenza.
La Corte d’Appello, poi, rigettava l'appello della società (in quanto aveva accertato la responsabilità del datore nell'incidente) ed accoglieva il motivo subordinato proposto dal datore, rilevando che l'obbligazione di risarcimento del danno biologico e di quello morale sono debiti di valore che debbono essere quantificati al momento della loro liquidazione (e quindi al momento della pronunzia della sentenza), di modo che, per evitare indebiti arricchimenti, gli interessi avrebbero dovuto essere pagati dalla data del sinistro alla data della sentenza, ma non sulla somma determinata al momento della pronunzia, bensì su quella devalutata di anno in anno fino alla data del sinistro.
Per quanto attiene all'appello dell'infortunato, la Corte d’Appello aveva ritenuto adeguato l'importo fissato per il risarcimento con riguardo sia alla personalizzazione del danno che alla ai criteri di liquidazione adottati.
Contro tale sentenza, la società ha presentato ricorso in Cassazione, cui hanno risposto con controricorso la Fondiaria-Sai s.p.a. (nuova ragione sociale della soc. Sai) ed il dipendente che ha proposto anche ricorso incidentale.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha riconfermato il principio costantemente affermato dalla stessa e cioè che l'interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione circa la portata e l'estensione del rischio assicurato rientra tra i compiti del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed assistita da congrua motivazione.
In ordine alla garanzia della polizza della Sai, la Corte di Cassazione ha condiviso poi quanto deciso dalla Corte d’Appello che aveva stabilito che tale garanzia veniva offerta solo per quanto il datore fosse tenuto a pagare «quale civilmente responsabile verso i prestatori di lavoro da lui dipendenti ed assicurati ai sensi del t.u. D.P.R. 30.6.65 n. 1124 per gli infortuni... da essi sofferti», e quindi solo per coprire il danno patrimoniale e non anche quello biologico e quello morale, richiamando la corposa giurisprudenza di legittimità che esclude (nel regime antecedente al d.lgs. n. 38 del 2000) la copertura di tali voci di danno dalla assicurazione antinfortunistica obbligatoria.
La Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha respinto quindi il ricorso della società che era ricorsa in Appello per essere stata condannata al pagamento del danno morale in favore del dipendente infortunato sul posto di lavoro ed ha ritenuto la stessa società responsabile della mancata adozione delle misure di protezione per violazione dell’articolo 2087 del Codice civile (“Tutela delle condizioni di lavoro”).
Con tale sentenza la Cassazione ha stabilito quindi che il datore di lavoro deve dimostrare di aver adempito all’obbligo di protezione del dipendente infortunato, altrimenti in caso contrario deve rispondere del danno morale.
Per la Corte di Cassazione il contratto di lavoro obbliga uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l'integrità fisica e psichica dell'altro ex art. 2087 c.c., e per questo non può sussistere alcuna incompatibilità tra responsabilità contrattuale e risarcimento del danno morale, dato che la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 c.c. cioè di aver dimostrato di aver prestato tutte quelle misure necessarie per evitarlo.
Il giudice di merito ha fatto corretta applicazione di questi principi, in quanto, una volta ricostruita nella sua materialità la dinamica dell'infortunio, ha concluso per la responsabilità del datore di lavoro sia ai sensi dell'art. 2049 c.c. (per l'ipotesi che si ritenesse che l'ordine da cui era scaturito il sinistro fosse stato impartito da persona diversa dal legale rappresentante dell'impresa), sia per violazione di specifiche norme antinfortunistiche, sia per violazione dell'art. 2087 c.c., ritenendo così giustificata, per i principi sopra indicati, la condanna al risarcimento del danno morale del datore.
Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 8973 del 7 aprile 2008
fonte: newsfood.com
Emergenza cibo, task force dell'Onu
Per il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon il drammatico aumento del prezzo del cibo costituisce una "sfida globale senza precedenti che colpisce i più vulnerabili. Sono necessarie misure a breve, medio e lungo termine", ha detto Ban Ki-moon. "La priorità sarà nutrire gli affamati", ha detto il segretario Onu lanciando un appello ai Paesi donatori a rispondere alle domande di fondi delle organizzazioni.
Ma il presidente della Banca mondiale Robert Zoellick ha avvertito che i prezzi del grano e del riso resteranno ancora alti. "Le prossime settimane saranno cruciali per affrontare la crisi del cibo", ha detto Zoellick. Il prezzo del riso ha superato per la prima volta nella storia i 1.000 dollari la tonnellata. L'ascesa va avanti da tempo, ma nell'ultima settimana l'incremento del prezzo è stato del 16 per cento. Un andamento che riflette i timori di un restringimento dell'offerta, come conseguenza dei vincoli speculativi all'esportazione imposti dai Paesi come Cina e Vietnam.
Per l'economista Conception Talpe, responsabile dei prezzi dei cereali della Fao "non è credibile che ci sia una situazione così critica da giustificare un tale aumento dall'inizio dell'anno". Tra l'altro a parere di Talpe, la domanda mondiale di riso non è in aumento, fermandosi ai valori dello scorso anno. Semmai, sostiene la Fao, l'aumento vertiginoso dei prezzi contribuisce a diffondere il panico nei Paesi importatori che, anticipando le commesse, fanno crescere i prezzi.
fonte: repubblica.it
"Solo 1300 euro al mese ho deciso di abortire"
E così ha scritto un appello al presidente Napolitano cui ha dato un titolo terribile: "Necrologio di un bimbo che è ancora nella mia pancia". Scoprirsi incinta le ha procurato "un'emozione bruciante, una felicità incontenibile", ma ben presto "la ragione ha preso il posto del cuore". Scrive nella lettera-appello che sta per inoltrare al Quirinale e che ha spedito al nostro giornale: "Presidente, ora devo scegliere se essere egoista e portare a termine la mia gravidanza sapendo di non poter garantire al mio piccolo neppure la mera sopravvivenza, oppure andare su quel lettino d'ospedale e lasciare che qualcuno risucchi il mio cuore spezzato dal mio utero sanguinante, dicendo addio a questo figlio che se ne andrà per sempre".
Ieri mattina Sandra, che vive con il marito in un centro dell'area vesuviana, ha fatto la prima ecografia al Policlinico di Napoli, ha firmato le carte, ha saputo la data in cui abortirà: il 27 maggio, un martedì. Chiede di mantenere l'anonimato perché sua madre non sa niente di questa gravidanza: "Nonostante tutti i problemi sarebbe felice di diventare nonna e di potermi aiutare".
Ha una famiglia alle spalle, un uomo che la ama, una casa. E' sicura di una decisione così importante?
"Mi prenderò questo periodo di tempo per riflettere. E rifletterò molto. Sono sempre in tempo a cambiare idea, intanto però ho prenotato l'intervento. E non mi perdono di non esserci stata attenta, nel breve periodo in cui ho sospeso l'anticoncezionale. Nel frattempo mi chiedo: dove è andata a finire la mia dignità? Ce l'ho messa tutta per costruirmi un futuro. Dopo avere fatto tanti sacrifici, dopo essermi quasi laureata in Scienze Politiche con 18 esami su 22, dopo avere collaborato a un giornale con oltre cento articoli senza mai avere un centesimo e neppure la tessera di pubblicista, dopo aver fatto, io e mio marito, infiniti lavoretti che definire umilianti e sottopagati è dir poco, mi ritrovo a non avere i mezzi per crescere un figlio. Perché se ti manca la moneta da un euro per prendere la metropolitana non importa, ma se ti mancano i cento euro per portare il tuo bambino dal dottore importa eccome".
Alla Asl non paga. Quanto guadagna al mese?
"Io, che oggi faccio la commessa in un negozio di informatica ma non sono ancora regolarizzata, prendo 800 euro al mese. Mio marito, che è più giovane di me, ha 25 anni, è cubano, diplomato all'Accademia, un artista, ha trovato un posto da apprendista sempre nel campo dei computer e guadagna 500 euro al mese. Lavoriamo sei giorni alla settimana e insieme le nostre entrate ammontano a circa 1.300 euro. E meno male che non paghiamo la casa perché ci ospita una mia vecchia zia".
Con duemila euro al mese non abortirebbe?
"Sicuramente mi terrei il bambino. La mia, oggi, è una scelta iper obbligata. Mio marito è più deciso di me: più di me vede la cosa dal punto di vista della concretezza. Pensa sia un fallimento non potere dare a un figlio ciò di cui ha bisogno. In altri paesi le coppie vengono aiutate, qui si parla tanto di baby bonus ma poi nei fatti non succede niente. Lo credo che l'Italia è alla crescita zero".
Perché ha scelto di rivolgersi a Napolitano?
"Perché è la più alta carica dello Stato. Perché è un simbolo. Perché è una persona che sento di rispettare più di tutti. La mia lettera è soprattutto uno sfogo, un gesto di disperazione e di impotenza. Gli scrivo che qui non c'è nessuno che ti tende una mano quando hai veramente bisogno. Gli scrivo anche: per favore, mi risparmi banalità del tipo: 'Dove si mangia in due si mangia anche in tre!. Mi risparmi la retorica, perché è l'unica cosa di cui non ho bisogno'".
Spesso le banalità sono vere. Cosa le ha detto stamattina l'ecografista?
"Che sono alla quarta settimana di gravidanza. L'embrione è ancora così piccolo che quasi non riusciva a vederlo. Poi la ginecologa mi ha prescritto degli esami del sangue per sapere l'età esatta del feto. Ho anche parlato con l'assistente sociale. Mi hanno fatto leggere e firmare una carta in cui sono elencati tutti i rischi che l'interruzione di gravidanza comporta".
Suo marito l'ha accompagnata?
"Purtroppo non poteva assentarsi dal lavoro, che ha trovato da poco, e al suo posto è venuta una mia amica. Ma mi ha telefonato molte volte. Sa qual è la cosa che mi fa più rabbia? La mancanza di prospettive. Mio padre, che è morto 15 anni fa, era un ingegnere, mia madre è una bancaria in pensione. Noi di questa generazione occupiamo ruoli sociali molto inferiori rispetto ai nostri genitori La mobilità sociale esiste, però in forma peggiorativa. Fra i vari lavori che ho fatto c'è anche quello di baby sitter, prima con un'agenzia, poi anche da sola. Amo moltissimo i bambini: ti riempiono la vita, sono splendidi. Avrei anche già scelto il nome per mio figlio, perché sento che è un maschio: lo stesso nome di mio padre".
Non ha pensato alla possibilità di farlo nascere e poi darlo in adozione?
"Non lo farei mai. Mai, per nessun motivo. Sapere che esiste da qualche parte nel mondo un mio bambino e io non mi occupo di lui sarebbe lo strazio peggiore".
fonte: repubblica.it
Energia, l'Italia dei no
Alberto Asor Rosa, invece, un rovello ce l'ha: «A fronte della minaccia di scempio del paesaggio non è da escludersi il ricorso alle centrali nucleari». E come lui, uno dei protagonisti dell'intellighenzia di sinistra italiana, cominciano ad averlo in tanti. Piuttosto che distese immense di pannelli solari e sconfinate foreste metalliche di mulini a vento, non sarà il caso di tornare all'energia atomica? Ma per carità, s'infiamma Alfonso Pecoraro Scanio: «Chernobyl ha dimostrato che le dimensioni del rischio nucleare sono inaccettabili e immorali. Per difendere il bello non c'è bisogno di giocare alla roulette dell'atomo». Meglio le centrali a carbone? No, le centrali a carbone no. Meglio le centrali a petrolio? No, le centrali a petrolio no. Meglio il gas, che però chiede i rigassificatori, cioè impianti che riportino il combustibile dalla forma liquida a quella gassosa? Ma per carità! È vero che si potrebbero usare le piattaforme dove un tempo si estraeva metano, già allacciate ai metanodotti e abbandonate in mare aperto nell'Adriatico, ma prima «bisogna preparare una valutazione sugli impatti ambientali insieme con i nostri vicini, soprattutto con la Slovenia, ma anche con la Croazia ».
Allora l'eolico? Adagio: «Alcuni impianti si possono fare. Però non dobbiamo installare torri gigantesche proprio sulle rotte degli uccelli migratori, che vengono sterminati dalle pale». Di più: «L'Europa ci condannerebbe». L'Europa, a dire il vero, ha fatto scelte diverse. Tenendo conto sì degli uccelli migratori, ma non solo. Anche la Francia restò atterrita davanti al disastro di Chernobyl, ma si è tenuta 59 centrali atomiche. Anche la Germania ammutolì vedendo le immagini dell'incendio al reattore numero 4, ma i suoi 17 impianti non li ha affatto chiusi seduta stante neppure negli anni in cui i verdi erano fortissimi e avevano agli Esteri Joschka Fischer, che mediò un'uscita dal nucleare (oggi tutta da rivedere) nell'arco di vent'anni. (..) E così tutti gli altri Paesi europei, che si sentirono come noi appestati dalle radiazioni che venivano da lontano e scossi dall'idea di non poter mangiare l'insalata o il basilico contaminati, ma non si affrettarono a mettere i lucchetti alle turbine. Risultato: siamo esposti a tutti i rischi di 158 centrali europee altrui, alcune delle quali sono a poche decine di chilometri dai nostri confini, e senza avere per contro uno straccio di elettricità. Di più: siamo alla mercé dei capricci degli altri. Il che, se l'Italia fosse una comunità di Amish della Pennsylvania che si alzano al levar del sole, si coricano al tramonto e vivono rifiutando la modernità, non sarebbe un problema enorme. Il guaio è che non lo siamo. Consumiamo ogni anno, tra imprese, uffici, negozi e famiglie, 338 miliardi di chilowattora. Una quantità impalpabile. Della quale fatichiamo a capire le dimensioni se non grazie a dei paragoni. Che mettono i brividi. Secondo Eurostat, l'Italia «brucia» tanta energia elettrica quanto Turchia, Polonia, Romania e Austria le quali messe insieme hanno 136 milioni di abitanti. O se volete (stavolta i dati sono dell'Aie, l'Agenzia internazionale dell'energia) quanto mezzo miliardo di africani. E avanti di questo passo nel 2025 consumeremo il 5,3% di tutta l'energia prodotta nel pianeta con lo 0,7% della popolazione mondiale. Bene: esaurita ogni possibilità di sfruttare ancora di più le risorse idriche (ogni salto, dalle Alpi valdostane ai monti Nebrodi, è già stato usato) e poveri come siamo di materie prime, la nostra autonomia è pari al 12% del totale. Per il resto dipendiamo dall'estero.
Il 12% lo compriamo direttamente dai Paesi vicini, il che significa, spiega l'ingegner Giancarlo Bolognini, «che all'estero ci sono 8 centrali nucleari della potenza di quella di Caorso che lavorano a pieno regime per noi». Il 75% ce lo facciamo da noi ma solo grazie a materie prime acquistate da governi e società stranieri (gas dalla Russia e dall'Algeria, petrolio da più parti).
Risultato finale: l'energia elettrica prodotta in Italia costa il 60% più della media europea, due volte quella francese e tre volte quella svedese. Si pensi che per produrre elettricità, spiega l'Aie, l'Italia brucia in un anno tanto olio combustibile quanto l'India in un anno e mezzo. Per l'esattezza in 551 giorni. E tanto gas quanto tutta l'America Latina in 439 giorni. Va da sé che siamo il Paese europeo che (nonostante il gas naturale copra ormai la metà del settore) dipende di più dal petrolio. Nel solo 2005 ne abbiamo consumato nelle centrali circa 6 milioni e mezzo di tonnellate, pari a 32 superpetroliere come la Exxon Valdez che anni fa affondò in Alaska causando un disastro ecologico. Sei volte di più che la Germania o la Francia, dodici volte più che il Regno Unito.
Una «bolletta» pazzesca. Di oltre 30 miliardi di euro l'anno. (…) Un Paese serio, davanti a un quadro così fosco di dissesto energetico e alla minaccia di blackout come quello che paralizzò ore e ore l'Italia il 28 settembre del 2003 per un guasto dovuto alla caduta in un albero in Svizzera, non si darebbe pace nella ricerca di vie d'uscita. Nucleare o solare, eolica o geotermica: ma una soluzione. La cronaca di questi anni, invece, è un impasto di veti, controveti, velleitarismi, fughe in avanti, viltà e retromarce. Nel caos più totale. (…) Se abbiano ragione o torto, ad avere tanta fiducia nel nucleare, non lo sappiamo. Lo stesso Carlo Rubbia, in un'intervista ad «Arianna editrice», conferma che «il nucleare di oggi produce scorie radioattive da far paura» e che «in realtà avevamo il modo per produrre energia bruciando proprio le scorie, anzi l'Italia era leader nel mondo in questa tecnologia» ma ora «ce la stanno copiando i giapponesi ». Insomma, la questione è aperta. E non ha senso, tanto più dopo aver visto le reazioni sconvolte sul tema delle scorie a Scanzano Jonico o in Sardegna, andarsi a impiccare in discussioni nelle quali sono spaccati gli stessi scienziati.
Ma resta il tema: o facciamo qualcosa o restiamo appesi, con le nostre fabbriche e le nostre lampadine, ai capricci degli stranieri che ci tengono in pugno. Ed è lì che si vede la disastrosa incapacità della nostra classe dirigente, non solo dei «signor no» dell'ambientalismo talebano, di fare delle scelte. Anche gli svedesi, per dire, votarono a favore del progressivo abbandono del nucleare. Molto prima di noi, nel 1980. Ma dandosi scadenze lunghe lunghe. Per spegnere completamente la centrale di Barsebäck hanno aspettato venticinque anni e l'ultima chissà quando la chiuderanno davvero dato che tutti i sondaggi dicono che la stragrande maggioranza dei cittadini ha cambiato idea: piuttosto che finire ostaggio degli stranieri, meglio il nucleare. In ogni caso, si sono mossi. Cercando sul serio le alternative possibili. Come hanno fatto tutti i governi seri in tutto il mondo. Compresi quelli che il petrolio ce l'hanno. Noi invece…
fonte: corriere.it
martedì 29 aprile 2008
Google punta all'energia solare con eSolar
fonte: ecoage.it
Ambiente e competitività globale: il 28 e 29 a Parigi riunione dei Ministri Ocse
Presidenza italiana. Cambiamento climatico, legami tra competitività e politiche ambientali al centro del dibattito
I Ministri dell’Ambiente dei 30 paesi Ocse, i loro omologhi dei paesi candidati all'adesione (Cile, Estonia, Israele, Russia e Slovenia) e i ministri provenienti dal Brasile, Cina, India, Indonesia e Sud Africa si confronteranno sulle modalità di azione condivise per raggiungere obiettivi ambientali comuni: riduzione dell'inquinamento, conservazione della natura e minore produzione di carbonio.
L’Ocse ha recentemente pubblicato l’ Environmental Outlook 2030 nel quale si evidenziano soluzioni politiche per fare fronte al cambiamento climatico, alla perdita di biodiversità, alla scarsità d'acqua e alle conseguenze sulla salute causate dall’inquinamento.
Le prospettive ambientali dell’Ocse al 2030 forniscono alcune analisi delle tendenze economiche e ambientali e alcuni esempi di politiche in grado di far fronte alle problematiche più importanti. Particolare attenzione è dedicata alle azioni necessarie per evitare danni irreversibili all’ambiente, senza per questo compromettere la crescita economica e il benessere sociale, nella logica dello sviluppo sostenibile.
Affrontare i problemi più importanti non solo è possibile, ma è anche conveniente, perché i costi dell’inazione sono molto elevati. A lungo termine, agire tempestivamente per affrontare le più importanti problematiche ambientali avrà un impatto positivo anche sui costi.
Peraltro, un’azione ritardata avrà come conseguenza che saranno i paesi in via di sviluppo, meno attrezzati per gestire e affrontare queste problematiche, a subire le peggiori conseguenze ambientali. L’assenza di politiche d’intervento e i ritardi nell’adottare politiche adeguate hanno costi economici e sociali molto elevati, con conseguenze dirette (costi della sanità pubblica) e indirette (diminuzione della produttività) sulle economie, incluse quelle dei paesi dell’Ocse.
La riunione di Parigi è strutturata su quattro sessioni (i recenti trend ambientali e le proiezioni per i prossimi decenni, la cooperazione ambientale tra gli stati membri Ocse e le economie emergenti, competitività, eco-innovazione e cambiamento climatico, rafforzare la cooperazione tra i governi per politiche ambiziose di lotta al cambiamento climatico); martedì 29, alle ore 15, a conclusione della riunione ministeriale, è prevista una conferenza stampa.
Il ministro dell'Ambiente italiano Alfonso Pecoraro Scanio è stato chiamato a presiedere la riunione. Tra gli altri presenti, si segnalano i ministri australiano Peter Garrett, francese Jean-Luis Borloo, cinese Jian Zhou, inglese Philip Woolas, giapponese Ichiro Kamoshita, il direttore dell’Epa statunitense Stephen Johnson e il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria.
Tutte le informazioni sono disponibili sul sito www. Oecd.org/envmin2008.
fonte: minambiente.it
Energia: Ministero Ambiente, nessun colpo di mano su centrali
Non esiste alcun ‘colpo di mano’ tentato dal Ministro dell’Ambiente per alcuna centrale. Semplicemente perché la decisione su eventuali riesami relativi alle autorizzazioni AIA per le oltre 30 centrali che furono autorizzate dal Ministero per lo Sviluppo Economico tra il 1999 e il 2005 – ossia nel periodo intercorrente tra l’emanazione della Direttiva Comunitaria 96/61 e la legge italiana di recepimento – spetta come è noto allo stesso Ministero per lo Sviluppo Economico.
Peraltro, anche nel caso in cui tale Ministero si pronunciasse a favore di un riesame, non vi sarebbe alcuna sospensione o revoca del titolo autorizzativo, bensì un semplice adeguamento agli obblighi comunitari derivanti dalla Direttiva e dalla legge successiva di recepimento.
Da circa un anno, il Ministero dell’Ambiente ha segnalato al Ministero dello Sviluppo Economico che le autorizzazioni rilasciate tra il 1999 e il 2005 non paiono in genere contenere tutti gli elementi richiesti dalla Direttiva. Questo potrebbe concretamente aprire la strada all’apertura di infrazioni europee nei confronti dell’Italia. Per questo, concordando sulla necessità di approfondire la materia, il Ministero dello Sviluppo Economico ha da tempo avviato una ricognizione caso per caso della questione.
Non esiste dunque alcun ‘colpo di mano’ da parte del Ministro Pecoraro e nessun blocco delle attività si produrrebbe da un eventuale riesame delle autorizzazioni AIA per il quale, comunque, ogni decisione dovrà essere assunta dal Ministero dello Sviluppo Economico.
fonte: minambiente.it
Rischio ozono nei porti
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I ricercatori del “Laboratorio di ricerca sull'amministrazione degli oceani e dell'atmosfera” del Colorado hanno sviluppato uno spettrometro di massa capace di individuare il cloruro di nitrile, un composto chimico che favorisce la formazione di ozono. Questo composto si crea quando l'ossido di azoto, presente nei gas di scappamento delle navi e nello smog cittadino, si mischia alle particelle aeree contenenti cloruro, come uno spray che esce fuori dal mare. Gli scienziati hanno trovato, vicino a Houston e a Miami, livelli inaspettatamente elevati di cloruro di nitrile. Durante il giorno, la luce del sole rompe il cloruro di nitrile in biossido di azoto e atomi di cloro altamente reattivi, che tendono a formare ozono. Questo elemento, nella parte bassa dell'atmosfera, può causare gravi problemi respiratori. Le zone più a rischio da questo punto di vista sono, secondo lo studio, il sud della California, l'area costiera orientale degli Stati Uniti, e gran parte del sud dell'Asia. «Anche se il problema -avvertono i ricercatori- é confinato ai porti industriali, ciò non significa che debba essere ignorato. Questi risultati confermano l'importanza di controllare le emissioni di ossido di azoto». fonte: lanuovaecologia.it |
Prezzi cibo, il piano anti-crisi
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Occhi puntati su Berna, dove è riunito per due giorni il vertice Onu, al lavoro sul piano di battaglia per fronteggiare l'emergenza cibo. Uno 'tsunami silenzioso', quello legato all'aumento generalizzato dei prezzi dei prodotti alimentari, che si sta abbattendo sui più poveri del Pianeta. Alla riunione di ieri, a porte chiuse, hanno partecipato i dirigenti delle 27 agenzie e organizzazioni delle Nazioni Unite, sotto la guida del segretario generale, Ban Ki Moon. Oggi il segretario Onu terrà una conferenza stampa, affiancato da Pam, Banca mondiale, Fao e Fondo internazionale per lo sviluppo dell'agricoltura. Già venerdì scorso, Ban Ki Moon aveva lanciato un appello per una "azione immediata" e concertata che facesse fronte a una "reale crisi mondiale". Era dall'inizio degli anni '70, dice all'Economist Josette Sheeran, capo del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (Pam), che nel mondo non si verificava una crisi alimentare della portata di quella attuale. L'Onu dovrà venire incontro alla richiesta immediata di aiuto da parte dei molti Paesi, ma è sul lungo termine che si giocherà la partita più difficile. All'organizzazione internazionale spetterà il difficile compito di mediazione fra i sostenitori del protezionismo e quelli a favore dell'apertura dei mercati, così come fra fautori ed avversari dei biocarburanti, contro i quali si scaglia in primis Jean Ziegler, relatore speciale Onu per il diritto all'alimentazione. Secondo Giuseppe Politi, presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori, in questo scenario tra le priorità occorre abolire i sussidi destinati a chi coltiva esclusivamente per i biocarburanti, mentre l'eliminazione di quelli a favore degli agricoltori che producono per l'alimentazione "non avrebbe alcun effetto". Secondo Politi, per i Paesi in via di sviluppo "bisogna far crescere le agricolture attraverso ricerca e innovazione". Registrando una previsione positiva per le semine di frumento, in Italia e a livello mondiale "non è escluso che le condizioni di mercato mutino - afferma Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura - perché è aumentata anche la volatilità. Un problema di così ampia portata però, non può essere gestito solo dalle dinamiche di mercato". Per questo la politica agricola comunitaria non va smantellata ma rafforzata. "La forte volatilità delle quotazioni è l'effetto delle speculazioni internazionali in atto, che si sono spostate dai mercati finanziari a quelli delle materie prime" ribadisce Coldiretti, che cita Achim Steiner, a capo del programma ambientale dell'Onu, per cui "oggi c'é abbastanza cibo sul Pianeta per dare da mangiare a tutti", e milioni di persone si sono ritrovate improvvisamente nell'impossibilità di comprare cibo a causa dell'impennata dei prezzi. Intanto Jean Ziegler, relatore speciale Onu per il diritto all'alimentazione, il cui mandato scade mercoledì, da Ginevra ha rinnovato il suo appello per una "moratoria totale" sui biocarburanti, sotto accusa come tra i responsabili dell'impennata dei prezzi agricoli. Critiche anche alla linea di Pascal Lamy, direttore generale dell'Omc, secondo Ziegler "totalmente contraria agli interessi delle popolazioni vittime della fame". L'esperto Onu ha poi denunciato le speculazioni, che sarebbero responsabili del 30% del rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari, chiedendo l'inquadramento dei mercati delle derrate agricole sul modello dei mercati finanziari. Apprezzando il cambio di rotta di Dominique Strauss-Kahn, direttore generale del Fondo monetario internazionale, Ziegler ha invitato i governi nel sostenerlo "per dare la precedenza assoluta alle culture di sussistenza". fonte: lanuovaecologia.it |
Clima, a Parigi 30 ministri dell'Ambiente
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A riunirsi nella capitale francese i ministri dell'Ambiente dei 30 paesi Ocse (L’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), i loro omologhi dei paesi candidati all' adesione (Cile, Estonia, Israele, Russia e Slovenia) e i ministri provenienti dal Brasile, Cina, India, Indonesia e Sud Africa. Il confronto è sulle modalità di azione condivise per raggiungere obiettivi ambientali comuni: riduzione dell'inquinamento, conservazione della natura e minore produzione di carbonio. A presiedere la riunione il ministro per l’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio L’incontro di Parigi è strutturato su quattro sessioni (i recenti trend ambientali e le proiezioni per i prossimi decenni; la cooperazione ambientale tra gli stati membri Ocse e le economie emergenti; competitività, eco-innovazione e cambiamento climatico; rafforzare la cooperazione tra i governi per politiche ambiziose di lotta al cambiamento climatico). L'Ocse ha recentemente pubblicato l'Environmental Outlook 2030 nel quale si evidenziano soluzioni politiche per fare fronte al cambiamento climatico, alla perdita di biodiversità, alla scarsità d'acqua e alle conseguenze sulla salute causate dall'inquinamento. Le prospettive ambientali dell'Ocse al 2030 forniscono alcune analisi delle tendenze economiche e ambientali e alcuni esempi di politiche in grado di far fronte alle problematiche più importanti. Particolare attenzione è dedicata alle azioni necessarie per evitare danni irreversibili all'ambiente, senza per questo compromettere la crescita economica e il benessere sociale, nella logica dello sviluppo sostenibile. Affrontare i problemi più importanti non solo è possibile, ma è anche conveniente, perché i costi dell' inazione sono molto elevati. A lungo termine, agire tempestivamente per affrontare le più importanti problematiche ambientali avrà un impatto positivo anche sui costi. Un'azione ritardata, invece, avrà come conseguenza che saranno i paesi in via di sviluppo, meno attrezzati per gestire e affrontare queste problematiche, a subire le peggiori conseguenze ambientali. L'assenza di politiche d'intervento e i ritardi nell'adottare politiche adeguate hanno costi economici e sociali molto elevati, con conseguenze dirette (costi della sanità pubblica) e indirette (diminuzione della produttività) sulle economie, incluse quelle dei paesi dell'Ocse. fonte: lanuovaecologia.it |
Diritto di difesa del datore di lavoro: l’accesso alle dichiarazioni dei dipendenti fatte all'Ispettore del lavoro
Fatto e diritto
Una società ha chiesto alla Direzione Provinciale del Lavoro l'accesso agli atti relativi all'accertamento redatto a suo carico da funzionari dell'ente e, in particolare, alle dichiarazioni di un dipendente denunciante che erano state poste a base della contestazione di illecito amministrativo relativo a presunte irregolarità nella registrazione di rapporti di lavoro e nell'assunzione di lavoratori. La DPL, pur consentendone la visione, negava alla società la possibilità di rilascio di copia degli atti, ritenuti non essenziali ai fini difensivi prospettati dalla ricorrente e, peraltro, conoscibili pienamente in sede di giudizio in caso di opposizione. La società allora è ricorsa al giudice.
Le ragioni della DPL
La DPL aveva opposto circolari ed atti interni dell'Amministrazione dai quali si sarebbe dovuta rilevare l'impossibilità di dar corso alla richiesta a tutela della riservatezza dei dichiaranti.
A tale proposito, l’Amministrazione resistente ha correttamente riconosciuto l’interesse della società, consentendo alla stessa la visione degli atti (cfr. nota Ministero del Lavoro del 4 dicembre 2007: »... a seguito di apposita istanza, si concedeva alla società ispezionata la visione delle dichiarazioni acquisite... La visione delle dichiarazioni in possesso di codesto Ufficio appariva in quella sede funzionale all'esercizio del diritto della difesa...«).
La decisione del Tar
Per il Tar, sussiste un interesse giuridicamente rilevante in capo alla società ricorrente, quando vuole conoscere l'esatto contenuto delle dichiarazioni dei soggetti sulla base delle quali la DPL ha effettuato la contestazione (relativa, come detto, a pretese assunzioni irregolari).
Invero, la documentazione della quale si è chiesto l'accesso, è certamente (o può essere) utile alla difesa di interessi giuridicamente rilevanti, nella specie identificabili nella compiuta difesa in un eventuale giudizio ovvero nella stessa possibilità di apprestamento di mezzi di prova idonei a contrastare o confutare dette dichiarazioni.
La ricorrente si configura, dunque, titolare di un interesse qualificato e differenziato alla regolarità della procedura e portatrice di un interesse personale e concreto per la tutela di una situazione giuridicamente rilevante ai sensi dell'art. 2 d.P.R. n. 352/1992, consistente, nel caso di specie, nella dichiarata esigenza di utilizzare gli atti stessi per la eventuale difesa delle proprie ragioni in sede giurisdizionale.
Dunque, una volta ammesso l'accesso con la visione degli atti, è del tutto incongruo negare il rilascio di copia degli stessi, non potendosi peraltro revocare in dubbio che, a seguito dell'entrata in vigore della l. 15/2005, il diritto di accesso comprende, coerentemente, anche quello di estrarre copia e che non è più possibile distinguere tra le due modalità di accesso come definite dalla originaria formulazione dell'art. 24, comma 2°, lett. d), della l. 241/1990.
Il Tar, ribadendo che deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici, ha accolto il ricorso, con conseguente declaratoria dell'obbligo dell'ente resistente di dare corso alla richiesta di accesso nei precisi termini di cui all'istanza e dunque con la facoltà di estrarre copia degli atti.
Tribunale Amministrativo Regionale dell'Abruzzo, sentenza n. 497 del 4 aprile 2008
fonte: newsfood.com
Arezzo prima città a idrogeno
A ideare il progetto è stata una piccola cooperativa di trentenni, la Fabbrica del Sole, che ha messo sul piatto 800 mila euro più i 400 mila stanziati dalla Regione Toscana. Per il momento l'idrogeno viene ricavato prevalentemente dal metano, ma entro l'anno sarà al cento per cento pulito grazie ai pannelli fotovoltaici che forniranno l'energia necessaria a scindere le molecole dell'acqua separando l'ossigeno (destinato a usi medici) dall'idrogeno.
I primi beneficiari dell'idrogenodotto saranno quattro aziende orafe (tra cui la Unoaerre, leader mondiale nel settore delle catene d'oro) che da sempre usano l'idrogeno come materia prima per le saldature e l'eliminazione degli ossidi. Ma si stanno ultimando gli accordi per portare l'idrogeno anche nelle case: sostituirà il metano in cucina e fornirà, attraverso una fuel cell, sia elettricità che calore e fresco.
"L'idrogeno viaggia a bassa pressione in un tubo di 10 centimetri di diametro a poco più di un metro di profondità, non ci sono problemi di sicurezza", spiega Emiliano Cecchini, presidente della Fabbrica del Sole. "Per ora abbiamo realizzato un chilometro di condotte ma le potenzialità sono enormi perché in questo modo è possibile distribuire in modo facile ed economico elettricità, calore, carburante per le auto. E infatti l'idea piace. All'inaugurazione offriremo un caffè all'idrogeno anche al consigliere scientifico dell'ambasciata cinese che ci ha chiesto di disegnare un progetto simile per Pujan, una città di 600 mila abitanti vicino a Shangai".
Ma non è solo Pechino a guardare con interesse allo sviluppo dell'idrogeno. Il Giappone ha scommesso su questa tecnologia 20 miliardi di euro nel periodo 2006 - 2012. E il Parlamento europeo ha deciso di realizzare, entro il 2025, una capillare rete infrastrutturale dell'idrogeno.
In Italia, oltre alla Toscana che a Pisa sta mettendo a punto il distretto dell'idrogeno da eolico, si muove con decisione anche la Puglia. Entro un anno entreranno in funzione cinque distributori di idrometano, una miscela formata dal 30 per cento di idrogeno e dal 70 per cento di metano, che potrà essere utilizzato dalle macchine a metano (senza alcuna modifica per quelle vendute negli ultimi 2 o 3 anni). "Estenderemo questo progetto, finanziato con 5 milioni di euro dal ministero dell'Ambiente e dalla Regione Puglia, al rifornimento delle barche", spiega Nicola Conenna, presidente dell'Università dell'idrogeno, con sede a Monopoli. "Le barche a vela potranno utilizzare idrogeno puro per i loro motori ausiliari e per le altre imbarcazioni sarà disponibile l'idrometano".
fonte: repubblica.it
Ue: Italia maglia nera d'Europa
Il rapporto deficit Pil nel 2007 «per la prima volta dal 2002 è sceso sotto la soglia del 3%», attestandosi all'1,9%. Ma nel 2008 e nel 2009 risalirà rispettivamente al 2,3% e al 2,4% afferma ancora la Commissione Ue, sottolineando come quest'anno «il peggioramento è dovuto a spese aggiuntive e a tagli fiscali» e «riflette una crescita più bassa del Pil». Inoltre - spiega Bruxelles - anche «le maggiori entrate fiscali sono attese esaurirsi progressivamente per l'impatto ritardato del rallentamento dell'economia».
INFLAZIONE - E anche l'inflazione sarà elevata: si situerà in Italia per il 2008 al 3% di media. L'inflazione in Eurolandia si attesterà invece nel 2008 al 3,2%. Mentre nel 2009 scenderà al 2,2%. Per questo motivo la Commisione Ue invita tutti i governi ad «evitare l'innescarsi di spirali inflazionistiche che colpirebbero particolarmente le famiglie a basso reddito». Nell'Ue-27 l'inflazione si attesterà quest'anno al 3,6% e il prossimo al 2,4%. Sul banco degli imputati soprattutto «i crescenti prezzi dell'energia e dei prodotti alimentari».
STATO DI SALUTE DELL'ECONOMIA - Descrivendo una crescita "ben al di sotto" di quella della zona euro, Bruxelles evidenzia come «il persistente divario negativo di crescita con la media della zona euro si accrescerà ulteriormente nonostante l’esposizione relativamente modesta del settore bancario italiano alla crisi dei mutui subprime». Tra i problemi dell’economia italiana, la Commissione evidenzia «la persistente sfida per la produttività», con la produttività del lavoro destinata ad aumentare solo dello 0,2% nel 2008 e nel 2009. «La decelerazione della crescita dipende da tutte le componenti della domanda», si legge nel rapporto. «I consumi privati perderanno slancio per via dell’inflazione più alta e della fiducia in calo, anche se l’aumento degli stipendi e dell’occupazione sosterrà il reddito nominale disponibile. Il tasso di risparmio delle famiglie dovrebbe aumentare appena, in parte per via di effetti negativi per i patrimoni. Gli investimenti nel settore privato dovrebbero stagnare per via una calo dell’utilizzo di capacità e di condizioni finanziarie più strette, sia per il settore delle imprese, sia per le famiglie». «Per contrasto - si legge ancora nel rapporto - nel settore pubblico l’aumento degli investimenti, incluse le costruzioni non residenziali, dovrebbe rimanere sostenuto. Il calo della domanda estera e l’apprezzamento del tasso di cambio effettivo colpirà le esportazioni. Come risultato, il divario negativo della crescita italiana delle esportazioni aumenterà».
DEFICIT - «Sia il deficit che l'avanzo primario - spiega la Commissione Ue - sono previsti peggiorare» nel 2008. In particolare, Bruxelles punta il dito sul «posticipo al 2008 dell'impatto di alcuni nuovi trasferimenti sociali, investimenti e tagli dell'Irap originariamente pianificati nel 2007». Inoltre, «gli sviluppi positivi registrati sul fronte delle casse dello Stato nei primi tre mesi del 2008 riflettono ancora le entrate maggiori delle attese, combinate con un controllo delle esecuzioni di spesa. Ma - sottolinea Bruxelles - le maggiori entrate si esauriranno progressivamente sotto l'impatto ritardato del rallentamento dell'economia e la scomparsa di alcuni fattori temporanei». «Sono poi attese alcune sentenze - ricorda la Commissione Ue - che riguardano in particolare la non deducibilità dell'Irap. E ancora, il risultato di alcuni cambiamenti sostanziali nella tassazione societaria introdotti dalla Finanziaria 2008 è caratterizzato da una considerevole incertezza». Il deficit è quindi atteso «risalire leggermente nel 2009 al 2,4%. Questo incremento marginale - spiegano gli uffici del commissario Ue agli Affari economici e monetari, Joaquin Almunia - è guidato da un ribasso delle tasse sul reddito di impresa, così come dal risultato sia di misure discrezionali sia del negativo ciclo economico». «La spesa resterà ampiamente stabile - prosegue la Commissione Ue - con un aumento netto delle remunerazioni nel 2008 che non si ripeterà».
RISCHIO PER LE FAMIGLIE A BASSO REDDITO - Secondo Almunia «La crescita economica sta rallentando nella Ue e nell’Area euro e l'attuale pressione inflazionistica importata è una questione che preoccupa. Nonostante che le nostre economie abbiano dimostrato fino ad oggi elasticità nei confronti degli shock esterni - continua Almunia in una nota - e continui ad esserci, anche se rallentata, un creazione di posti di lavoro, abbiamo bisogno di insistere in vigorose politiche macroeconomiche evitando con grande attenzione l’avvio di una spirale inflazionistica che colpirebbe in particolare le famiglie a più basso reddito».
fonte: corriere.itlunedì 28 aprile 2008
Palermo, affitti record per i fuorisede
Suppliscono parzialmente alle numerosissime istanze le borse di studio: sono 5.320 gli universitari che in questi mesi hanno ricevuto un contributo di 3.250 euro, dopo aver esibito un contratto di locazione regolarmente registrato. Che difficilmente si riesce ad ottenere visto che il mercato palermitano degli affitti è in gran parte regolato da carte private, senza nessun valore giuridico, o addirittura da patteggiamenti verbali.
Del resto in nero si risparmiano anche 50 euro al mese sul prezzo di una stanza. Quindi conviene eludere agenzie e registrazioni legali ed affidarsi ad annunci e al passa parola.
Una camera per studenti in una zona centrale della città costa mediamente da 200 a 250 euro mensili con picchi fino a 300 euro, spese escluse, naturalmente. Se poi si sceglie un monolocale si arriva a sborsare fino a 600-700 euro.
Prezzi alle stelle anche nei prestigiosi collegi universitari gestiti da enti privati o da religiosi: la pensione completa in una stanza singola costa 700 euro al collegio Arces; mentre più economici sono quelli di S.Maria al Capo, dove per un posto letto sono sufficienti 300 euro, pasti esclusi; e il periferico Don Orione dove si può dormire con 176 euro.
Cercare una stanza diventa quindi un vero e proprio salasso. Nel centro storico di Palermo però i prezzi degli affitti scendono notevolmente per case spesso fatiscenti e ai limiti dell'agibilità. Un appartamento si trova per 300-350 euro, da dividere in quattro e c'è chi per uno stanzino di tre metri per cinque, senza finestre, nei pressi della stazione, arriva a pagare 93 euro.
Piazza Giulio Cesare, la zona del Policlinico, via Oreto e via Basile - nei pressi della cittadella universitaria - diventano le aree della città più appetibili per le condizioni degli immobili e per le tariffe: da 130 a 180 euro per una stanza singola. Occorre sommare poi le spese e il contributo per il portiere e quindi i prezzi lievitano.
In questa giungla della locazione fuor di dubbio è il raddoppio degli affitti con l'introduzione dell'euro. Angela, specializzanda in medicina, fino al 2001 pagava 140 mila lire, ora per una stanza da dividere con un'altra persona sborsa 150 euro.
fonte: lasicilia.it
Tar sospende trivellazioni a Vittoria
La prima sezione del Tar ha accolto i ricorsi presentati dal Comune di Vittoria, ritenendo sussistenti gravi pericoli di inquinamento e depauperamento della falda acquifera; l'8 maggio sarà assunta una decisione di merito in un'udienza collegiale.
"È un primo risultato importante che ci viene dall'autorità giudiziaria - afferma Nicosia - ora ci aspettiamo che la stessa sensibilità abbiano le istituzioni che non possono consentire che il territorio venga inquinato e devastato, con rischi gravissimi per la risorsa più importante per la vita di una comunità come l'acqua. Siamo soddisfatti, ma non ci facciamo illusioni e continuiamo nella mobilitazione".
Lunedì prossimo è in programma nella sede della Provincia regionale una conferenza di servizio a cui prenderanno parte tecnici del genico civile, dell'Arpa e dell'Ausl che hanno espresso forti preoccupazioni sui rischi per la falda acquifera da cui proviene il 70% dell'acqua della città di Vittoria. Mercoledì prossimo, nel giorno in cui in mancanza della sospensiva del tar avrebbe avuto inizio l'occupazione del cantiere, è prevista invece una manifestazione alla quale hanno aderito il sindaco di Noto e diversi sindaci iblei, parlamentari, sindacati, associazioni ambientaliste e di impegno civico. Un telegramma di adesione è pervenuto anche da circa cinquanta operai dell'Eni in servizio a Gela.
fonte: lasicilia.it
Giro di vite in Amazzonia
Il saccheggio straniero dell'Amazzonia è una ossessione brasiliana come la drammatica finale dei mondiali di calcio persa contro l'Uruguay di Ghiggia e Schiaffino nel 1950: sono gli incubi collettivi e fondativi di una nazione giovane come il Brasile. Così, a scadenze quasi regolari, sulle Ong che lavorano nella foreste cade l'infamante accusa di biopirateria al servizio delle grandi multinazionali farmaceutiche. Quanto ci sia di vero non si sa ma i brasiliani sono molto preoccupati per i mille ricchissimi segreti della biodiversità nel polmone del mondo ed è ormai pronta una nuova legge che il governo Lula spera di far approvare entro due mesi che consentirà di controllare e vigilare tutti gli accessi e le visite in Amazzonia.
Il primo a darne notizia è stato il ministro della Giustizia, Tarso Genro (l'ex sindaco della capitale "rossa" del Brasile: Porto Alegre) quando ha detto al quotidiano O Estado de Sao Paulo che molte organizzazioni non governative che seguono progetti di cooperazione nella foresta sono in realtà una copertura per gruppi di biologi e botanici stranieri che cercano piante con proprietà curative da brevettare e sfruttare sul mercato internazionale dei farmaci naturali.
Alle parole di Genro sono seguite quelle di un alto funzionario del suo ministero che ha aggiunto: "Vogliamo che l'Amazzonia sia effettivamente nostra, non ci opponiamo né al turismo né alle Ong ma vogliamo sapere quando vengono e cosa esattamente fanno".
Il problema dei brasiliani, come quello di altri paesi, tra cui l'India, nasce dal fatto che l'Organizzazione mondiale del Commercio non ha ancora riconosciuto la proprietà intellettuale sui nuovi medicinali - alcuni ancora sconosciuti - nascosti nella flora amazzonica motivo per cui chiunque può estrarli e brevettarli rubandoli al Brasile. La nuova legge prevede che chi voglia recarsi nella foresta debba prima richiedere un permesso speciale che verrà rilasciato dal Ministero della Difesa ed affrontare un complicato iter-burocratico per ottenerlo: turisti compresi.
Per i trasgressori è prevista una multa fino a 40mila euro.
In parte le nuove regole estendono un'altra legge restrittiva che già esiste ma che riguarda solo i territori dove sono presenti tribù indigeni e resuscitano una politica di controllo sulla foresta che venne già tentata senza grandi successi negli anni dei governi dittatoriali. Oggi l'esecutivo di Brasilia spera che grazie ai nuovi sistemi satellitari sia molto più facile individuare i trasgressori.
I critici però temono che il governo brasiliano voglia in questo modo anche limitare le incursioni delle organizzazioni internazionali (prima di tutte Greenpeace) che vigilano sulla deforestazione e accusano il governo di non fare abbastanza. L'esplosione delle coltivazioni di soia - molto redditizie anche per le esportazioni brasiliane - è stato negli ultimi anni un nuovo fattore di assalto indiscriminato alla più grande foresta pluviale del mondo E, non a torto, Greenpeace e altre Ong ecologiste sostengono che in alcune aree il governo ha chiuso un occhio con lo scopo di aumentare la superficie coltivabile.
Insieme alla biopirateria e al furto dei brevetti medicinali ci sono, dietro alla proposta della nuova legge, almeno altri due aspetti: uno è nazionalistico, l'altro è una preoccupazione di politica interna. Secondo l'esercito ci sono zone, soprattutto quelle di frontiera, dove si registra una presenza incontrollata di stranieri. Alcuni - dicono le Forze Armate - starebbero fomentando gli scontri armati sempre più frequenti fra le tribù indigene e i coloni bianchi.
fonte: repubblica.it
La pattumiera di Napoli 69 giorni prima della catastrofe
Conviene cominciare a contare. Da oggi al 5 luglio mancano 69 giorni. Soltanto 69 giorni per precipitare nel pieno dell'estate, del calore, di una nuova, tragica e teatrale "emergenza rifiuti" e quindi in una crisi urbana, in una catastrofe sociale che potrebbe non risparmiare, questa volta, patologie infettive degne di altri secoli. I napoletani fanno gli scongiuri, certo. Sono superstiziosi e la superstizione è la speranza del tutto irrazionale di un incantesimo benigno. Si illudono che gli dèi alla fine li leveranno dai guai con una magia. Nessuna magia. Tra 69 giorni, l'immondizia seppellirà di nuovo le strade dell'area metropolitana tra Napoli e Caserta, i duecento comuni del territorio già più inquinato d'Europa. I numeri non lasciano spazio alla fiducia in un miracolo.
Il 5 luglio saranno sature le discariche e i "siti provvisori" che fino ad oggi hanno consentito di ospitare, più o meno, 700 mila tonnellate di immondizia spazzate via dalle strade. Come saranno in via di esaurimento (a fine luglio) i contratti che hanno permesso di spedire in Germania (più o meno) 200 mila tonnellate di rifiuti. Non è il fantasma di una crisi prossima ventura. E' l'annuncio concretissimo di un'altra crisi, peggiore dell'ultima perché potrebbe consumarsi a temperature che oscillano tra i 32 e i 36 gradi.
Il commissario Gianni De Gennaro ha fatto due conti e ha concluso che "dal 5 luglio le potenzialità di smaltimento delle 7.200 tonnellate prodotte giornalmente in Campania saranno inadeguate rispetto al fabbisogno". Lo ha detto agli amministratori, ai presidenti delle province, al presidente della regione, Antonio Bassolino. Ne ha discusso con Silvio Berlusconi che sarà presto a Napoli per il primo consiglio dei ministri. Ha preparato un piano di priorità, che il Cavaliere - in cerca di un primo colpo vincente per il suo governo - ha condiviso. Due nuovi impianti a Savignano Irpino (apertura prevista, il 20 maggio) e a Sant'Arcangelo Trimonte (pronto il 5 luglio) dovrebbero consentire di tirare in lungo fino a quando non sarà allestito il "Grande Buco" che inghiottirà tutta l'immondizia della regione.
Una "piattaforma plurifunzionale", la chiamano, dove scaricare e trattare due, tre milioni di tonnellate (ma c'è chi, sottovoce, sussurra di capacità fino a 13 milioni) di "rifiuti speciali solidi, liquidi, fangosi, pericolosi, non pericolosi". La "piattaforma" dovrebbe essere preparata in Alta Irpinia nel pianoro di Formicoso tra i borghi agricoli di Vallata, Bisaccia, Lacedonia, Andretta, Vallesaccarda, al centro di un territorio di 286 chilometri quadrati con una densità di 61 abitanti per chilometro.
Anche chi non è un addetto ha compreso ormai qual è "la filiera" che consente alle città di non soffocare tra i rifiuti trasformando quel servizio pubblico in una redditizia - oltre che indispensabile - attività industriale. Riduzione del volume dei rifiuti e raccolta differenziata. Un sistema di impianti industriali in grado di offrire canali diversificati: dal riciclaggio al recupero energetico; dal downcycling (recupero in attività secondarie) al trattamento. La discarica, il "buco", è soltanto una soluzione residuale, buona per accogliere gli scarti stabilizzati e inerti, in modo da minimizzarne l'impatto e azzerare l'urgenza di aprirne di nuove. L'impresa non è impossibile. C'è molto denaro a disposizione. Ci sono le tecnologie adeguate.
L'impresa richiede però buona politica; coerenti interventi istituzionali e di governo; un costante rapporto con le popolazioni che devono avere fiducia in chi governa per legittimarne le scelte e accettarne l'impatto nel proprio territorio.
Il denaro, le leggi, le decisioni non bastano, allora. Occorre quel che si dice "capitale sociale". "Le scelte in materia di rifiuti sono impegnative - spiega Antonio Massarutto, economista del gruppo lavoce.info - Richiedono il consenso e la collaborazione attiva delle popolazioni e dei vari livelli di governo, tutte cose che si ottengono soltanto con un paziente e continuo lavoro, alimentando un circuito virtuoso di risultati positivi. È proprio il capitale sociale che, con tutta evidenza, è stato sciaguratamente dissipato in Campania. È poco realistico pensare che si possa prescindere da un forte radicamento nel territorio, ma anche dal ruolo della politica, unica possibile garante del "patto territoriale" che sta alla base delle legittimazione all'insediamento degli impianti. La gestione dei rifiuti è condannata a fallire se continua a operare in una logica emergenziale, tirando a campare fino al deflagrare della crisi".
Bisogna salire verso le valli dell'Ufita, in Irpinia, e cercare Vallata per comprendere quanto vera sia quest'analisi. Come sia compromesso il rapporto di fiducia tra governanti e cittadini. Come l'emergenza abbia pregiudicato irrimediabilmente ogni credibilità della politica. Come in quattordici anni (da tanto dura l'emergenza) nessuno abbia mai lavorato per ottenere la collaborazione delle popolazioni.
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Nel giorno di festa, la piazza di Vallata è affollata. Capannelli davanti ai tre bar. I vecchi lungo il muro dove c'è ancora un ultimo raggio di sole caldo. Il sindaco Carmine Casarella è poco più in là, lungo il corso, in attesa della moglie per una passeggiata. Ascolta in silenzio. Appare spazientito fino a quando affiora, nel discorso, la formula "piattaforma plurifunzionale per i rifiuti non pericolosi, tossici, nocivi, fangosi". Si fa brusco ora. Chiede alla moglie di attendere ancora un po' e dice: "Venga con me a vedere...".
Ci si muove quasi in corteo. Dietro al sindaco molti di coloro che sono in piazza. Si va verso Formicoso. Lungo le curve della stretta statale, si sale da 600 a 1.100 metri verso le bianche pale di un campo eolico. Il pianoro è di un verde brillante, lucido. Il vento agita il grano ancora basso e le cime degli alberi in una valletta. C'è un gran silenzio. A perdita d'occhio solo montagne e lontano, sui cocuzzoli, paeselli che sembrano presepi, pascoli, boschi, campi di cereali, la bellezza che appassiona dell'"osso" appenninico, maltrattato dalla povertà, dall'emigrazione, dai terremoti.
Il sindaco è in piedi sul bordo del campo. Allunga il braccio verso nord. Dice: "Ecco. Sono questi i cento ettari di terreno dove vorrebbero costruire la "piattaforma plurifunzionale" o come diavolo la chiamano, ma ci può scommettere anche lo stipendio che non ce la faranno perché fare della nostra terra la pattumiera della Campania è illogico, ingiusto, umiliante, folle".
Intorno, gli uomini annuiscono e smaniano per dire anche la loro. Tacciono però perché gli argomenti del sindaco sono i loro argomenti. Dice Casarella: "Quelli della costa, di Napoli, di Caserta ci considerano dei cafoni, gente di cui si può fare a meno. È vero siamo cafoni, siamo stati poverissimi, abbiamo dovuto emigrare. Vallata contava settemila abitanti, ora siamo duemila. La nostra è stata una vita dura, isolati su queste montagne. Ma abbiamo resistito e ci siamo rimessi in piedi. Sono nate piccole aziende agricole. Abbiamo prodotti di qualità, buon latte, buoni formaggi, buona carne. Siamo una discreta e non costosa oasi turistica a un'ora e mezza da Napoli, a un'ora e mezza da Bari. Ci si viene in famiglia - la domenica - per l'aria buona, una passeggiata di salute, il cibo onesto. Vogliono fare qui la pattumiera perché siamo pochi, dicono, perché non abbiamo santi nel paradiso della politica a proteggerci. Non è ingiusto? Non è umiliante? Può essere sufficiente essere senza "padrini" o essere pochi e poveri per vedersi penalizzare in modo irrimediabile? Non è illogico? Eppoi - mi dica lei - quassù a 1.100 metri, gli inverni sono lunghi e le strade gelate o bianche di neve. Mi dice come faranno ad arrivarci i camion con i rifiuti? Qui abbiamo accettato di costruire un campo eolico perché qualcosina finisce nella casse dei nostri comuni. C'è sempre vento, in ogni stagione. Se ci costruiranno la "grande pattumiera" le esalazioni nocive, le arie intossicate arriveranno a centinaia di chilometri di distanza. Non è folle?".
Il sindaco conosce l'obiezione e l'anticipa. "Non mi dica che da qualche parte, la "piattaforma", bisogna pur farla. Non sono iscritto al partito del "no", non siamo di quella razza. Noi diciamo - e dico noi perché così la pensano tutti i comuni della provincia di Avellino - vogliamo che ciascuna provincia sia in grado di raccogliere e smaltire i propri rifiuti. Non dimentichiamo la solidarietà. Abbiamo detto di voler accettare anche quella parte dei rifiuti che Napoli non riesce a trattare, ma solo in quota parte con le altre quattro province della regione".
Ora gli uomini che accompagnano il sindaco raccontano dei sacrifici che hanno fatto per tirare su la casa, gli anni di lavoro in Francia, in Svizzera, il meritato ritorno in un luogo che, dopo la città, appare "incantato". Dicono che se, dopo tanto sudore, quel che li attende è vivere accanto a una discarica maleodorante tanto vale giocarsi il tutto per tutto per impedirlo perché si tratta di rendere inutile una vita intera. C'è chi dice, enfaticamente, "siamo pronti a morire". Nessuno intorno sorride per la tirata.
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Come la fiducia, il capitale sociale è delicato come un cristallo. S'impiega molto tempo e fatica per costruirlo. Basta un niente per disperderlo. A 69 giorni da una nuova possibile catastrofe, la politica trascura sciaguratamente anche lo sforzo di apparire agli occhi della popolazione affidabile - perché unita e collaborativa. Si divide, litiga, alza la voce. Ignora che "il consenso è funzione della credibilità degli impegni che si assumono verso il territorio". Ogni fazione, amministrazione, istituzione chiede di avere l'ultima parola e mano libera per decidere. Il quadro che ogni giorno affiora è un'opera collettiva di inettitudine, avventatezza, irresponsabilità. Incuranti dell'abisso in cui tutti possono precipitare, si fronteggiano tre piani d'intervento, l'uno il contrario dell'altro, l'uno sovrapposto e in contraddizione con l'altro.
Gianni De Gennaro vuole soltanto chiudere la fase dell'emergenza (è il suo incarico), ritornarsene a Roma e a nuovi incarichi. In assenza di un ciclo industriale dei rifiuti - che ha bisogno di molto tempo per essere realizzato - porta alle estreme conseguenze la politica del "non-ciclo" del passato. Il disgraziato modello che prevede la discarica come unico modo per smaltire i rifiuti. Si raccolgono i rifiuti, si fa un buco da qualche parte, si getta dentro tutto. La "Grande Emergenza" richiede allora un "Grande Buco" che possa raccogliere la monnezza in attesa dei tempi lunghi che consentano di costruire gli impianti industriali di trattamento, riciclaggio, recupero energetico. Responsabilità che Berlusconi intende affidare a una "sottosegretario con delega ai rifiuti".
Le province vogliono limitare i danni. Accettano di discutere soltanto un piano che preveda che ognuno faccia per sé con un moderato sovrappiù di solidarietà a favore di Napoli e Caserta. Il presidente della Regione, Antonio Bassolino, pretende che ogni decisione ritorni nella sua disponibilità, conclusa la "missione" di De Gennaro. "Spetta a me - dice - Il governo deve contribuire per le sue prerogative. Se intende organizzare una cabina di regia, siamo pronti a parlarne. Ma spetta a noi, a me individuare una linea di percorso". Lui, Bassolino, l'ha già pronta. È il nuovo "piano per la gestione del ciclo" dell'assessore Walter Ganapini. Che non concorda con De Gennaro nemmeno nella quantità di tonnellate di rifiuti da smaltire ogni giorno. Per l'assessore sono 6.500. Per il commissario 7.200. Di chi fidarsi? Perché fidarsi?
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È impossibile non vedere, in queste cabale, un sordo conflitto di potere che non ha dato ancora il suo peggio. Non è una novità sostenere che, in quattordici anni, è nata un'industria dell'"emergenza rifiuti" che distribuisce parcelle, contratti, licenze, reddito, profitti abusivi, finanziamenti nascosti, occupazione. L'ordigno ha creato un "magma sociale" che intreccia i destini del grande professionista e dell'ex-detenuto. Ha dispensato consenso e utili politici secondo un metodo di governo distruttivo e irresponsabile non inedito, addirittura storico per la Campania. "Imprese nazionali e internazionali hanno tratto profitti dalla politica dell'emergenza in cambio di una pessima prestazione, come già avvenne in Campania per il terremoto del 1980 - spiega Gabriella Gribaudi, storica - D'altro canto gruppi dirigenti locali, attraverso la struttura del commissariato, hanno potuto gestire un rilevante flusso di spesa, rafforzando il proprio potere ed estendendo la rete di amici e clienti".
Ieri come oggi, è ancora al lavoro nella regione quel "partito della spesa pubblica" che formò le sue fortune politiche ed economiche con l'invenzione di "emergenze" e "occasioni", sollecitando una gestione incontrollata delle risorse pubbliche, allargando un "blocco di potere" verticale e socialmente differenziato che ospitò, naturalmente, la "mediazione sociale" della camorra. Un partito unico, consociativo, trasversale che oggi deve ritrovare in fretta - ha solo 69 giorni - una nuova strategia, se non una nuova guida. Smantellare questo "sistema" dalla sera alla mattina non è semplice. In 69 giorni è impossibile, anche ammesso che lo si voglia. E nessuno ne ha voglia alla vigilia dell'arrivo dei 4 miliardi di euro dei fondi strutturali dell'Unione europea. Che promettono di rigenerare il "sistema"; di dare nuove slancio a carriere politiche in declino (Bassolino); di crearne di nuove (i "giovani leoni" del Partito delle Libertà); di riequilibrare quote di consenso sociale a favore dei nuovi assetti politici; di aprire il varco ad altre imprese felicemente protette.
Nessuno a Napoli si chiede che cosa accadrà il 5 di luglio. Sono altre le domande. Bassolino riuscirà a difendere l'orticello che abbandonerà tra un anno in occasione delle elezioni europee? Berlusconi prenderà tutto per sé? I due troveranno un accordo soddisfacente per non estenuarsi in una battaglia che può far perdere tutto agli agonisti, travolti dalle montagne di immondizia che presto invaderanno le città? Staremo a vedere. L'unico fatto certo è che a farne le spese saranno un infelice territorio, già umiliato, e quei cittadini comuni senza voce e protezione, come nella valle dell'Ufita. Saranno chiamati ad assumersi le responsabilità di questo disastro e, se non lo faranno, saranno indicati al pubblico disprezzo.
fonte: repubblica.it
Petrolio in volo nell'after hours
fonte: repubblica.it
mercoledì 23 aprile 2008
Accordo Interministeriale per la Formazione e Occupazione Ambientale
fonte: minambiente.it
CIP Ecoinnovazione
Il Programma supporta Progetti pilota e progetti di prima applicazione commerciale nel campo dell'innovazione e dell'ecoinnovazione.
fonte: minambiente.it
Clima, primavera cercasi
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Sono ben due i colpevoli di questa primavera così fredda e anomala. Il primo, La Nina, era già noto, ma adesso ha trovato un "complice" nella fase iniziale di un periodo di raffreddamento che colpisce il Pacifico settentrionale e centrale, dalle coste dell'Alaska a quelle di Russia e Giappone, e chiamato Pdo (Pacific Decadal Ocillation). Che il Pdo stia dando una mano a La Nina si vede chiaramente nelle immagini fornite dal Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa, sulla base dei dati del satellite oceanografico franco-americano Jason. Scoperto nel 1996, il Pdo consiste nell'alternarsi ogni 20 o 30 anni di fasi calde a fasi fredde. Gli anni '80 e '90 sono stati dominati in gran parte dalla fase calda. In quest'ultima le acque del Nord-Est del Pacifico diventano più fredde del normale, ma la temperatura dell'oceano lungo Nord America e Sud America si riscalda. Nella fase fredda la temperatura delle acque dal Nord al Sud si riscalda vicino al Giappone, mentre lungo il Nord America le acque si raffreddano. Adesso, secondo gli esperti della Nasa, ci troviamo proprio all'inizio della fase fredda del Pdo e il primo effetto si fa sentire su La Nina, il fenomeno periodico che riduce la temperatura di superficie nell'oceano Pacifico equatoriale: dopo avere imperversato come non faceva da molti anni, La Nina ha cominciato a indebolirsi ma ancora continua ad occupare l'area equatoriale del Pacifico, sostenuta dalla presenza del Pdo. Insieme, i due fenomeni di raffreddamento della superficie del Pacifico hanno ripercussioni sul clima di tutto il pianeta. Secondo gli esperti del Jpl, infatti, sia l'inizio della fase fredda della Pdo sia La Nina potrannò avere conseguenze significative sul clima globale, influenzando la formazione di uragani nel Pacifico e nell'Atlantico, siccità e inondazioni nel bacino del Pacifico. fonte: lanuovaecologia.it |
Scontri per la terra nel sud della Cina
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Secondo la stampa locale e il gruppo umanitario Chinese Human Rights Defender (Chrd), dimostranti di due diverse minoranze etniche si sono scontrate con la polizia, con il bilancio di almeno una persona morta. In un villaggio nella provincia dello Yunnan, gli abitanti appartenenti alla minoranza etnica dei Miao avrebbero portato avanti una violenta protesta per impedire che venisse scavata una miniera di tungsteno. Secondo l'agenzia China News Service (Cns), il fatto si è verificato nella contea di Malipo, dove i poliziotti, sul punto di essere sopraffatti dalla folla, hanno aperto il fuoco. Un dimostrante sarebbe morto sul colpo e altri cinque ricoverati in gravi condizioni. La compagnia che intendeva aprire la miniera afferma che era stato raggiunto un accordo, mentre gli abitanti del villaggio sostengono che dall’impresa erano stati offerti indennizzi troppo bassi. Chrd denuncia poi un secondo episodio, nella provincia di Hainan. Circa seimila persone appartenenti alla minoranza dei Li si sarebbero scontrate con la polizia nel tentativo di bloccare la costruzione di un campo da golf. Hainan è un' isola tropicale nel sud della Cina, promossa da alcuni anni come un paradiso turistico per la nuova classe media cinese. fonte: lanuovaecologia.it |
Catania, crescono i prezzi delle case
Il mercato immobiliare residenziale italiano, infatti, conferma quelle che erano le tendenze registrate alla fine dell'anno scorso: minor crescita delle compravendite rispetto al primo trimestre 2007, prezzi stagnanti o in leggera flessione sia nelle aree metropolitane sia nei centri intermedi dove, un anno fa, il mercato era ancora positivo.
In aumento anche i tempi medi di vendita: in questi primi tre mesi, infatti, si sono assestati su di un periodo medio che resta compreso fra i 5,5 e i 6 mesi (nel 2007 la media era di 4,5 mesi) in tutte le grandi città italiane (si veda la tabella 3 in allegato).
Secondo la Ubh, il prezzo medio di un'abitazione in buono stato in centro a Palermo è di 410 mila euro, 380 mila a Catania e 330 mila a Messina. Vicino al centro, invece, le case costano sensibilmente di meno nei tre capoluoghi: a Palermo 250 mila euro, a Messina 240 mila, a Catania 230 mila. A Catania il tempo medio per la vendita è di 4 mesi, al di sotto della media nazionale. Le variazione annue di prezzi fanno registrare -2,2% a Palermo, -0,7% a Messina, +1,5% a Catania.
fonte: lasicilia.it
Sud, la nuova emigrazione
Non c’è stato partito che in campagna elettorale non abbia promesso il rilancio del Mezzogiorno e adesso perfino la Lega, con Roberto Calderoli, dice che «la questione settentrionale non può essere risolta se non si affronta la questione meridionale».
È successo anche che Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno firmato un nuovo documento comune per il Sud. E, ovviamente, non sono mancati gli appelli degli economisti ad affrontare l’annoso problema delle «due Italie». Ma adesso, dopo il voto, chi si ricorderà di tutto questo?
Le persone in carne e ossa, intanto, cercano in prima persona una soluzione. Che spesso è la nuova migrazione da Sud a Nord. Che, ovvio, non è più quella degli anni Cinquanta e Sessanta, dei contadini poveri e ignoranti che con la valigia di cartone si trasferivano nel triangolo industriale per lavorare in fabbrica. Ma che, se è molto diversa qualitativamente, tocca però le stesse vette numeriche di allora. Ogni anno, infatti, si spostano dalle regioni meridionali verso quelle del Centro-Nord circa 270 mila persone: 120 mila in maniera permanente, 150 mila per uno o più mesi, dice l'istituto di ricerca Svimez. Un dato vicino a quello dei primi anni Sessanta, quando a trasferirsi al Nord erano 295 mila persone l’anno.
Una città intera che si sposta
Parlare di 270 mila uomini e donne che ogni anno vanno da Sud a Nord per lavorare o per studiare significa immaginare una città come Caltanissetta che si sposta tutta intera per trovare un futuro. Anche i contorni economici del fenomeno sono profondamente diversi da quelli del dopoguerra. Allora le rimesse degli emigranti generavano un flusso di risorse discendente, dalle regioni settentrionali a quelle del Mezzogiorno: servivano a mantenere le mogli o i genitori anziani rimasti al paese e magari a mandare avanti i lavori per costruire o ampliare la casa.
Oggi, al contrario, i soldi risalgono la Penisola, per sostenere gli studenti meridionali nelle Università del Nord o i lavoratori precari che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, ma che tirano avanti con l’aiuto delle famiglie d’origine (comprese le pensioni dei nonni) con l’obiettivo di raggiungere poi il contratto a tempo indeterminato.
Il trend consolidato
Al ministero dello Sviluppo Economico, il viceministro Sergio D’Antoni ha stimato con i suoi tecnici che si arriva a circa 10 miliardi di euro che per tutti questi motivi (compreso il mancato sviluppo nel Sud) «emigrano» ogni anno dal Mezzogiorno al Nord. Il che non è esattamente il massimo per un Paese che dovrebbe ridurre le distanze tra le due Italie.
Spiega Delio Miotti (Svimez) che da tempo studia la nuova migrazione: «Negli ultimi anni si sta consolidando un trend: più di 120 mila persone all’anno si spostano dal Sud nelle regioni del Centro-Nord cambiando residenza. Sono in gran parte giovani, tra i 20 e i 45 anni, diplomati, ma uno su cinque è laureato. A questi bisogna aggiungere altri 150 mila che si trasferiscono al Nord come pendolari di lungo periodo, cioè per almeno un mese. Sono studenti o lavoratori temporanei che non si possono trasferire stabilmente perché non hanno un reddito sufficiente per mantenersi e per portare la loro famiglia nelle regioni settentrionali, dove la vita è più cara ».
Ma se è così, perché questa emigrazione non fa più notizia? «Perché chi emigra —risponde D’Antoni— non ha problemi d’integrazione con la realtà del Nord: spesso è un giovane che usa Internet e parla inglese come i suoi coetanei settentrionali. Non diventa quindi un caso sociale, come negli anni Cinquanta.
Quella di adesso è perciò un’emigrazione invisibile, silenziosa ». Eppure ci sono comuni che lentamente si vanno svuotando delle energie migliori. Quelli a più alto tasso migratorio (intorno all’8 per mille annuo) sono in Calabria: Cirò, Petilia Policastro, Dinami, Rocca Imperiale. La zona di Cirò, in provincia di Crotone, tra il ’91 e il 2006 ha visto un calo di popolazione del 34% circa.
I giovani studenti
Se ne vanno parecchi giovani per studiare nelle Università del Centro- Nord: 151mila nell’anno accademico 2005-2006. Più di 36 mila sono partiti dalla Puglia, 25 mila dalla Calabria, 24 mila dalla Sicilia, 23 mila dalla Campania. Una parte di questi non torneranno più indietro. L’agenzia governativa Italia Lavoro ha calcolato che a fronte di 67 mila neo-laureati del Sud previsti in ingresso nel mercato del lavoro nel 2007, le imprese industriali e dei servizi del Mezzogiorno hanno espresso, nello stesso anno, una domanda di laureati pari a 12.390 unità, il 16,4% del totale. Anche se si sommano i neolaureati richiesti dalla pubblica amministrazione e dal lavoro autonomo, si può stimare che circa la metà dei giovani che si laureano nelle regioni meridionali è di troppo rispetto alla domanda locale. Nessuna meraviglia, conclude quindi Italia Lavoro, se questi giovani cercano lavoro altrove e se il 60% dei meridionali che si laurea al Nord, vi rimane anche dopo la laurea. Per necessità, più che per scelta.
Gli incentivi
Ora non ci sarebbe niente di male se questo fenomeno fosse indice di una società mobile, all’americana. Il fatto è che in Italia questo movimento è a senso unico, con un progressivo impoverimento del Mezzogiorno. Per combattere questo trend i vari governi hanno provato a incentivare fiscalmente le assunzioni nel Sud. Nell’ultima Finanziaria è stato inserito anche un bonus di 400 euro al mese per sei mesi per i neolaureati che svolgono stage nelle imprese del Sud che, se poi li assumono, ricevono un contributo di 3 mila euro. Il meccanismo sta funzionando, afferma D’Antoni. Ma non è solo un problema di incentivi. Paolo Sylos Labini, il grande economista morto nel 2005, che amava il Mezzogiorno, ripeteva che la questione meridionale prima ancora che economica è una questione civile. In altri termini, non è solo la domanda di lavoro qualificato che deve aumentare, ma devono migliorare anche le condizioni generali di vivibilità, dal funzionamento della pubblica amministrazione al controllo del territorio da parte dello Stato contro la criminalità. Altrimenti, in silenzio, i migliori se ne vanno.
fonte: corriere.it
martedì 22 aprile 2008
Miglior vita "in verde"
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Se proprio si vuole affermare di aver vissuto un'esistenza "verde", bisogna preoccuparsi anche di come sarà il proprio funerale. Il messaggio viene dalla prima fiera della 'sepoltura eco-compatibile' che si è tenuta ieri a Londra. Fra bare biodegradabili, vestiti naturali e persino urne cinerarie amiche dell'ambiente, di bambù o di vetro, tutto il necessario per chi vuole ridurre l'impatto ambientale della propria morte è a disposizione. L'idea di funerali 'verdi' circola in Gran Bretagna già da qualche anno, tanto che i sudditi di sua Maestà hanno già a disposizione agenzie di pompe funebri ad hoc. Fra le novità presentate alla London Green Funeral Exhibition ci sono le bare di vimini o di cartone, completamente biodegradabili dopo tre mesi, i vestiti di pura fibra ecologica, anche loro assolutamente non inquinanti, ma anche nuove tecniche per conservare i corpi con il ghiaccio secco e non con la tossica formaldeide. I costi sono paragonabili a quelli dei funerali normali:"Non è una questione di costi, ma di scelte - spiega alla rivista Wired Fran Hall, uno degli organizzatori - un funerale verde può essere più economico o più costoso, a seconda della gamma di soluzioni che si scelgono". Nessuna parte della cerimonia sfugge alle regole verdi, contenute in un vero e proprio manuale preparato dall'azienda londinese Natural Death Center. In Inghilterra c'é ad esempio anche un cimitero eco-compatibile, entrato in funzione dal 1995, e in cui alle lapidi sono sostituiti alberi con una placca di legno con il nome del defunto. "Il marmo non è biodegradabile - spiega l'ideatore Jeremy Smite - e la sua estrazione e il trasporto sono estremamente inquinanti". fonte: lanuovaecologia.it |