Mezzo secolo fa, a Bikini, nelle isole Marshall (Micronesia), il mare prese a bollire mentre milioni di tonnellate di sabbia, roccia e coralli venivano scagliate in cielo e tre isolotti sparivano dalle carte geografiche.
A cinquantaquattro anni di distanza dall'ultimo dei 21 test atomici americani, la ricerca condotta da un gruppo di biologi australiani, tedeschi e italiani ha scoperto che, grazie alla forzata assenza della specie umana, la vita è rifiorita. Non senza pagare un prezzo elevato allo schiaffo nucleare che ha lasciato un cratere largo due chilometri e profondo 73 metri: delle 183 specie di corallo che esistevano prima della cura atomica, 42 mancano all'appello, 28 sicuramente per colpa delle radiazioni.
"L'impatto sulla vita marina è stato ridotto dall'effetto scudo offerto dell'acqua, che è 800 volte più densa dell'aria", spiega Roberto Danovaro, del dipartimento di scienze del mare dell'Università Politecnica delle Marche. "In mare i livelli di contaminazione radioattiva sono stati relativamente bassi". Certo più bassi di quelli misurati in superficie da una ricerca americana del 1979: a Rongelap, l'isola accanto a Bikini, il 95 per cento dei nati nel periodo critico ha sviluppato il cancro alla tiroide.
Oggi però, secondo lo studio pubblicato sul Marine Pollution Bulletin, i coralli sono tornati a crescere rigogliosi. "Quando mi sono immersa non sapevo che cosa aspettarmi, temevo di trovare un paesaggio quasi lunare", racconta Zoe Richards, del centro australiano Arc che ha coordinato la ricerca. "Invece è stato incredibile: si sono sviluppate strutture coralline alte fino a otto metri. E' affascinante. Non avevo mai visto coralli grandi come alberi".
Lo stato di buona salute di queste barriere coralline emerge dal confronto con il degrado su scala mondiale prodotto dal cambiamento climatico: l'atollo di Bikini è citato nella lista dei casi positivi dall'ultimo Rapporto mondiale sullo stato delle barriere coralline pubblicato dall'Australian Institute of Marine Sciences.
Il disastro accaduto negli anni Cinquanta ha offerto la possibilità di misurare le straordinarie capacità di ripresa delle barriere coralline quando per mezzo secolo vengono protette, a parte qualche sporadica incursione dei pescatori di frodo, dagli attacchi umani.
C'è da augurarsi che ulteriori esperimenti in questa direzione avvengano in futuro in maniera meno traumatica, ad esempio allargando i confini dei parchi. Un'ipotesi meno ottimista è al centro dell'ultimo libro di Alan Weisman, Il mondo senza di noi. Ipotizzando la scomparsa della specie umana, alcuni segni della nostra presenza, come i ponti ad arco di New York, resisterebbero mille anni, ma il deserto del Sahara batterebbe rapidamente in ritirata perché "le truppe d'assalto della desertificazione, le capre, verrebbero mangiate dai leoni".
fonte: repubblica.it
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