venerdì 4 aprile 2008

Lavoro, come cambia il mercato

Può darsi che sia davvero la globalizzazione a colpirci duro nel portafogli con le forbici del carovita. E può anche darsi, anzi è proprio sicuro, che spazzi via molti impieghi «tradizionali». Ma altri impieghi sono già pronti, tantissimi, nei settori tecnologicamente più qualificati. E anche, in parte, negli altri. In tutto, da qui al 2015, secondo gli esperti si creeranno in Europa oltre 13 milioni di nuovi posti di lavoro, dei quali oltre 1,6 milioni in Italia. E sempre in Italia, altri 6,3 milioni di impieghi si renderanno disponibili soprattutto per effetto dei pensionamenti: si calcola che in quegli anni andranno in pensione 51 milioni di persone in tutta Europa, l'invecchiamento della popolazione si fa sentire anche così. Spazi aperti ai giovani: purché naturalmente sappiano prepararsi, specializzarsi, studiare, affrontare la realtà che verrà.

Tutto questo dice l'ultimo studio elaborato dal Cedefop, Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale, la prima agenzia dell'Unione Europea nata 33 anni fa. La vasta analisi, costruita su modelli macroeconomici, disegna tre differenti scenari: quello più pessimistico prevede nel periodo 2006-2015 circa 7,5 milioni di nuovi posti «aggiuntivi» di lavoro (questo è il termine usato dagli specialisti); quello più ottimistico arriva a 17,5 milioni; e quello più probabile, che si può prendere come parametro di riferimento, si assesta appunto a 13.280.000. Come sempre, c'è naturalmente anche un'altra faccia della luna. E in questo caso sono gli impieghi part-time, o a breve termine, o comunque senza piene garanzie: secondo l'Etuc, la Confederazione dei sindacati europei, rientra in questa categoria un quinto di tutti gli impieghi nel nostro continente. «La verità — dice il segretario generale della Confederazione, John Monks — è che i cattivi lavori stanno cacciando via i buoni, e troppo spesso i contratti flessibili non hanno nulla a che fare con una migliore organizzazione del lavoro, ma sono semplicemente dei mezzi per tagliare i salari».

Tuttavia, i numeri dicono che lo spazio per competere c'è ancora, e certo non solo per i part-time. Dentro quella cifra di 13 milioni e passa di «nuovi lavori aggiuntivi», e in quegli altri 51 milioni di posti di lavoro che si sono liberati a causa dei pensionamenti — ma anche dei decessi, o dei trasferimenti — vi sono molte differenziazioni: «In generale si conferma che le occupazioni dei lavoratori con bassa qualificazione sono ovunque in netto declino, con rischi elevatissimi di disoccupazione — spiega Aviana Bulgarelli, direttrice del Cedefop (e una degli unici due italiani a dirigere due delle 25 agenzie della Ue) — Mentre cresce naturalmente la richiesta di posti fortemente specializzati e ad alto contenuto di conoscenza ».

Conferma Alena Zukersteinova, coordinatrice della ricerca: per i paesi Ue più Svizzera e Norvegia, «si prevedono 8,5 milioni di posti di lavoro in meno fra quelli che richiedono solo l'istruzione obbligatoria, e invece quasi 12,5 milioni di posti in più fra quelli qualificati con un'istruzione e formazione a livello terziario; infine, 9,5 milioni posti in più per i soggetti con una buona qualificazione a livello intermedio ». I numeri riservano però qualche sorpresa. Proprio al limite inferiore delle qualifiche c'è infatti una fascia più bassa, nelle cosiddette «occupazioni elementari » (in genere, commercio o edilizia), che fa registrare un incremento in prospettiva, giustificando così i timori degli esperti su una polarizzazione del mercato ai due estremi opposti: «In ogni caso non bisogna dimenticare — spiega ancora Aviana Bulgarelli — che anche nelle occupazioni elementari, per esempio fra i commessi di negozio, o fra i muratori dei cantieri edi li, ci sarà sempre più bisogno di gente più qualificata. Un buon commesso dovrà saper comunicare con i clienti, e per essere buon muratore bisognerà anche avere conoscenze tecniche».

Ma torniamo al «trend» più generale della futura «occupazione aggiuntiva». In ogni nazione, si riscontra il calo del settore agricolo ed un ristagno dei posti di lavoro nel settore manifatturiero (anche se circa 35 milioni di persone continueranno ad esservi impiegate nel 2015), e la crescita parallela del settore «business e altri servizi»: cioè banche, finanza, assicurazioni, informatica. Ecco poi l'Italia, cominciando dalla zone più grigie. Secondo lo scenario più probabile, dal 2006 al 2015 il nostro paese dovrebbe aver bisogno di 773.000 artigiani in meno, e di 228.000 operai in meno nelle fabbriche. Dovrebbero calare anche (di 232.000 unità) gli agricoltori e pescatori specializzati, e i militari (di 5.000 unità). Negli altri settori, per quell'effetto combinato di innovazione tecnologica e competizione sui mercati globali, molte occupazioni ad alto contenuto di conoscenza dovrebbero essere in aumento. Per esempio, manager e dirigenti di piccole e medie imprese, e funzionari di alto livello: più 571.000. Professionisti, ingegneri e specialisti nei settori scientifici, sanitari ed educativi: più 358.000. Tecnici specializzati: più 1.262.000. Impiegati: più 239.000. Addetti al commercio e ai servizi: più 250.000. «Occupazioni elementari »: più 185.000. Ci sarà un incremento anche nei «settori non orientati al mercato», e cioè sanità, educazione, pubblica amministrazione: fra il 2010 e il 2015, il 4,5% in più. Ma l'incremento più marcato sarà anche in Italia quello del «business »: 11,1% in più (così come il calo più evidente dovrebbe riguardare l'industria e i settori primari: meno 16,8%). «Per concludere, l'Italia continuerà a creare quella che noi chiamiamo occupazione aggiuntiva — dice ancora Aviana Bulgarelli — e però meno che nei 10 anni precedenti ». Globalizzazione o no, c'è ancora tempo per darsi da fare. Ma non è un tempo infinito, per nessuno.

fonte: corriere.it

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