giovedì 5 agosto 2010

Agrigento, a Scala dei Turchi il cemento resiste a tutto

Un miracolo della natura imprigionato da due brutture in cemento armato che resistono da oltre 15 anni. Accedendo da Punta Grande si incontra quello che doveva diventare un albergo, mentre dal lato di Capo Rossello ci sono i resti di due differenti corpi di fabbrica di una vecchia lottizzazione privata. I responsabili di un tale scempio negli anni novanta finirono anche in galera ma gli scheletri di cemento sono ancora lì. E la Scala dei Turchi resta prigioniera dell’opera dell’uomo che nessuno si decide a cancellare.

IL CEMENTO RESISTENTE A TUTTO - A più riprese le associazioni ambientaliste si sono mobilitate ma il cemento resiste al tempo grazie alla mancanza di volontà politica. L’ultima ventata di

entusiasmo risale a quattro anni fa, subito dopo la demolizione dell’ecomostro di Punta Perotti a Bari. «Ora occorre buttar giù anche gli ecomostri della Scala dei Turchi» gridava il responsabile antiabusivismo di Legambiente, l’agrigentino Giuseppe Arnone. Oggi anche lui sembra essersi stancato. «Sono sempre convinto che debbano essere abbattuti –afferma- ma certe battaglie non posso farle da solo». E così in quel tratto di costa in cui trovavano riparo le navi dei pirati continuano a svettare gli scheletri di cemento che tanto fanno inorridire i turisti. E dire che qui la natura è un vero incanto. Il bianco accecante della Scala dei Turchi è l’effetto di una tavolozza di gusci di microrganismi mentre i vari strati della falesia marcano intervalli geologici di migliaia di anni. Una sorta di viaggio nel tempo che toglie il fiato, tanto che nel 2007 il comune di Realmonte presentò la richiesta perché la Scala venisse dichiarata patrimonio dell’Unesco. Indubbiamente lo merita, anche se prima sarebbe opportuno dichiararla patrimonio dei siciliani che dovrebbero essere i primi a tutelarla. Anche in omaggio a quel commissario Montalbano e al suo creatore Andrea Camilleri che hanno immaginato nella vicinissima Porto Empedocle la Vigata di tante nuotate nel mare cristallino.L'IMPEGNO DEL NUOVO SINDACO - Da qualche mese a Realmonte c’è un nuovo sindaco, Pietro Puccio, che della questione Scala dei Turchi si dice pronto a farsi carico. «Questo è uno dei primi problemi che sto affrontando – assicura- purtroppo tutto nasce dal fatto che chi all’epoca realizzò quei manufatti lo fece sulla base di una regolare concessione edilizia e ancora oggi continua a rivendicare il diritto di edificare. Da parte mia cercherò di evitare che resti quello schifo. Per quanto riguarda la lottizzazione si deve decidere: o i privati vengono autorizzati a completare oppure gli scheletri vanno abbattuti. Più complessa la situazione dell’albergo: c’è un contenzioso in atto e voglio prima capire a che punto siamo, quindi interverrò. Comunque la Scala dei Turchi è il fiore all’occhiello del mio comune e farò di tutto per preservarla e valorizzarla come merita».

fonte: corriere.it

mercoledì 28 luglio 2010

UN'INDAGINE SULLA CONTABILITA' AMBIENTALE DEGLI ENTI LOCALI

Cosa fanno gli enti locali italiani per l'ambiente, come lo fanno e con quale impegno di spesa? Sono questi gli interrogativi ai quali ha voluto dare risposta il Gruppo di lavoro "Contabilità ambientale degli Enti locali" del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane promuovendo un'indagine a questionario, appena conclusa, alla quale hanno aderito 112 tra Comuni, Province e Regioni. L'intento è stato di fotografare lo "stato dell'arte" in Italia del bilancio ambientale, verificando quanto è conosciuto e diffuso lo strumento, quali sono le motivazioni alla base dell'avvio o della cessazione, le difficoltà incontrate, le metodologie più utilizzate e cercare di capire quali possono essere i possibili sviluppo futuri.

L'indagine è stata realizzata in collaborazione con la società di consulenza INDICA s.r.l. e grazie al supporto di molti enti e associazioni tra cui in particolare l'ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), l'UPI (Unione delle Province Italiane), il Formez -Centro di formazione e studi, Eco dalle Città ? notiziario per l'ambiente urbano, la Rete Cartesio, la Rete delle Agende 21 locali della Toscana. Il questionario è stato compilato on-line da 95 Comuni, 12 Province, 3 Regioni e 2 Enti Parco. L'indagine ha rilevato come, dopo una prima fase pioneristica di sperimentazione, la tendenza emersa negli ultimi anni tra gli enti che hanno consolidato il sistema è di integrare la contabilità ambientale con gli strumenti ordinari di programmazione e controllo (Programma di mandato, Relazione Previsionale e Programmatica RPP, Piano Esecutivo di Gestione PEG, Piani di Settore, ecc.) e con gli altri processi e strumenti volontari per lo sviluppo sostenibile (Agenda 21 Locale, Acquisti Verdi Pubblici GPP, Bilancio di mandato/sociale, di genere/di sostenibilità, ecc). La metodologia di riferimento più utilizzata da parte degli enti è il metodo CLEAR (75% degli enti che hanno risposto di avere intrapreso un percorso di contabilità ambientale) anche integrato con altre metodologie (5%) quali EcoBudget, linee guida ISPRA, NAMEA/RAMEA o EPEA.

Dalle risposte emerge, inoltre, che le difficoltà maggiori nella prosecuzione del percorso di contabilità ambientale sono legate alla disponibilità di risorse (umane ed economiche), ma anche alla mancanza di presa di coscienza dell'importanza e utilità dello strumento, che può portare, spesso dopo il cambio di amministrazione, all'abbandono degli strumenti e sistemi di accountability ambientale. I questionari compilati dagli enti locali indicano anche chiaramente la necessità di aggiornare le metodologie di riferimento, di focalizzare meglio i temi ?caldi? legati in particolare all'energia e cambiamenti climatici, ma anche alla mobilità e i rifiuti, di integrare ancora di più il bilancio ?verde? con gli altri strumenti come le certificazione ambientale e il Patto dei Sindaci. Soprattutto, viene sentita l'esigenza di ottenere indirizzi normativi in materia. Un report con i risultati completi dell'indagine sarà presto pubblicato sul sito del Gruppo di Lavoro (http://www.a21italy.it)

fonte: ambiente.it

Barcone contro pozzo Nuove perdite di petrolio

Un'imbarcazione trainata da un rimorchiatore ha sbattuto contro un pozzo petrolifero nel Golfo del Messico. La Guardia Costiera americana ha confermato che, in seguito all'incidente, una nuova perdita di petrolio, seppur molto contenuta, si è verificata al largo della Louisiana.

Il pozzo è situato a 104 chilometri a sud di New Orleans. Il barcone "Captain Buford" era trainato da un rimorchiatore quando ha urtato il pozzo, provocando una piccola falla. Le autorità hanno precisato che l'incidente non ha nulla a che vedere con quello che ha provocato la marea nera: in quell'occasione la perdita di petrolio era stata causata da un'esplosione, in questo caso da un urto "di proporzioni contenute". "Vapori di gas e acqua salgono in superficie da una profondità di pochi metri" ha detto l'ex ammiraglio di Guardia Costiera Thad Allen, responsabile per conto della Casa Bianca dell'unità di crisi sull'emergenza marea nera. E' comunque stato immediatamente predisposto un servizio per circoscrivere la perdita.

fonte: repubblica.it

Bp perforerà nel mare libico I pozzi a 500 km dalla Sicilia

Pozzi di petrolio nel Mediterraneo, a poche centinaia di chilometri dalle coste della Sicilia, di Lampedusa e di Pallenteria. E a trivellare sarà la British Petroleum, la compagnia responsabile della "marea nera" che sta devastando il Golfo del Messico.

E' stata la stessa Bp ad annunciare che "entro le prossime settimane" inizierà una nuova perforazione al largo delle coste libiche, nel Golfo della Sirte. Un portavoce della compagnia, David Nicholas, ha ricordato che in virtù di un accordo con Tripoli siglato nel 2007 la compagnia ha ottenuto l'autorizzazione ad effettuare cinque perforazioni nel Golfo della Sirte. "Non le abbiamo ancora calendarizzate", ha aggiunto, precisando che ogni perforazione necessita di "sei mesi o più".

Le nuove perforazioni avranno luogo a una profondità di circa 5.700 piedi (1.700 metri), leggermente superiore a quella della Deepwater Horizon, la piattaforma situata al largo delle coste della Louisiana, la cui esplosione lo scorso 20 aprile ha causato la gigantesca marea nera che infesta il Golfo del Messico.

fonte: repubblica.it

Il solare costa meno del nucleare

Oggi negli Stati Uniti la produzione di energia solare costa meno di quella nucleare. Lo afferma un articolo pubblicato il 26 luglio sul New York Times, che riprende uno studio di John Blackburn, docente di economia della Duke University. Se si confrontano i prezzi attuali del fotovoltaico con quelli delle future centrali previste nel Nord Carolina, il vantaggio del solare è evidente, afferma Blackburn. «Il solare fotovoltaico ha raggiunto le altre alternative a basso costo rispetto al nucleare», spiega Blackburn, nel suo articolo Solar and Nuclear Costs - The Historic Crossover, pubblicato sul sito dell’ateneo. «Il sorpasso è avvenuto da quando il solare costa meno di 16 centesimi di dollaro a kilowattora» (12,3 centesimi di euro/kWh). Senza contare che il nucleare necessita di pesanti investimenti pubblici e il trasferimento del rischio finanziario sulle spalle dei consumatori di energia e dei cittadini che pagano le tasse.

COSTI FOTOVOLTAICO IN DISCESA - Secondo lo studio di Blackburn negli ultimi otto anni il costo del fotovoltaico è sempre diminuito, mentre quello di un singolo reattore nucleare è passato da 3 miliardi di dollari nel 2002 a dieci nel 2010. In un precedente studio Blackburn aveva dimostrato che se solare e eolico lavorano in tandem possono tranquillamente far fronte alle esigenze energetiche di uno Stato come il Nord Carolina senza le interruzioni di erogazione dovute all’instabilità di queste fonti.

COSTI NUCLEARE IN CRESCITA - I costi dell'energia fotovoltaica, alle luce degli attuali investimenti e dei progressi della tecnologia, si ridurrà ulteriormente nei prossimi dieci anni. Mentre, al contrario, i nuovi problemi e l'aumento dei costi dei progetti hanno già portato alla cancellazione o al ritardo nei tempi di consegna del 90% delle centrali nucleari pianificate negli Stati Uniti, spiega Mark Cooper, analista economico dell'Istituto di energia e ambiente della facoltà di legge dell'Università del Vermont. I costi di produzione di una centrale nucleare sono regolarmente aumentati negli ultimi anni e le stime sono costantemente in crescita.

fonte: corriere.it

mercoledì 30 giugno 2010

New York passa ai taxi ibridi

Bye bye vecchi taxi gialli di New York e benvenuti alle nuove vetture che rispettano l'ambiente, non inquinano e risparmiano in carburante. Entro il 2012, aveva promesso già 3 anni fa il sindaco Michael Bloomberg, ci saranno 13mila taxi a motore elettrico in giro per la Grande Mela. Nel frattempo Obama, lo scorso anno, presentava il nuovo piano energetico nazionale e ordinava ai produttori di adeguarsi entro il 2016 alla soglia di consumo massimo delle 35 mpg (miglia per gallone) di carburante, i nostri 13 km con un litro. E le promesse iniziano ora a farsi realtà: spariscono, seppur lentamente, le vecchie Ford Crown Victoria molto diffuse in città, mentre compaiono i primi modelli di autoveicoli a risparmio energetico, anche se le lamentele per le loro dimensioni anguste fioccano. Ford invece chiude la sua linea di produzione dei mitici taxi newyorchesi in Canada.

IL PIANO BLOOMBERG – A maggio 2007 era arrivata la promessa del sindaco Bloomberg: ogni taxi della Grande Mela sarebbe stato ibrido da lì a 5 anni. In tutto circa 13mila vetture da sostituire con esemplari a basso consumo, il 20 per cento ogni anno fino ad arrivare al 2012. Di questi 13mila taxi, il 90 per cento erano tutte dello stesso modello, Ford Crown Victoria, quell'auto che, come raccontava questo week-end il New York Times, a breve non esisterà più perché Ford ha deciso di chiudere entro la fine dell'anno la fabbrica canadese che la costruisce. Le Crown Victoria andranno dunque a esaurimento: simbolo del trasporto passeggeri in città, ma note anche dalle forze dell'ordine, visto che la Polizia le usava già dal 1992. Per sostituirle, in concerto con il piano Bloomberg, si è attivata anche la Taxi and Limousine Commission, che ha promosso il concorso "Taxi of Tomorrow" per disegnare l’alternativa gialla alla Crown Victoria.

TAXI IBRIDI – Per il momento ci sono ancora 8mila esemplari di taxi Crown Victoria per le vie di New York. Ma alcuni gestori del servizio sono già passati alla soluzione ibrida da qualche tempo, scegliendo tra i veicoli a disposizione delle varie case automobilistiche, come la Nissan Altima, la Toyota Camry, la Ford Escape, che rispettano tutte, chi più chi meno, i dettami di Obama in tema di risparmio di carburante. La stessa Ford sta lavorando anche a un nuovo modello di Transit, che per ora è solo un concept, per rispondere alle lamentele dei clienti che stanno provando le macchine ibride: d'accordo la tutela dell'ambiente, ma i nuovi modelli non sono molto adatti per chi è alto e picchia testa e ginocchia e per la scomodità nelle operazioni di salita e discesa.

fonte: corriere.it

Borse in recupero dopo il martedì nero

La giornata sembra svoltare rispetto alle tendenze infauste con cui si erano chiusi i listini di martedì. Le Borse europee aprono la giornata in territorio positivo. A Milano l’indice Ftse It All Share guadagno 0,31%, Parigi lo 0,1%, Francoforte lo 0,08%, Londra lo 0,15%. Dopo un avvio in lieve progresso e un successivo ripiegamento in territorio negativo (-0,07%), Piazza Affari si è di nuovo orientata al segno positivo e al momento il Ftse Mib è in attivo con un +0,61%, collocando Milano come la migliore tra le piazze europee. L'andamento dell'asta Bce promette di condizionare sensibilmente la performance dei mercati perché un volume eccessivo di richieste da parte del sistema finanziario potrebbe essere interpretato come un'ammissione di nuove gravi difficoltà nel settore e di un preoccupante malfunzionamento del mercato del credito interbancario.

RECUPERANO LE BANCHE- Dopo un avvio incerto i titoli bancari intanto hanno preso la strada dei rialzi:, con la quota in continua oscillazione intorno alla parità. L'indice Ftse Mib passa da un minimo del -0,4% a un massimo del +0,7%, e ora segna un +0,29%, a 19.291 punti, con l'All Share a +0,26%. Occhi puntati sugli esiti dell'asta Bce della mattinata, che darà il polso della situazione sul mercato interbancario. Nell'attesa sono proprio i bancari a recuperare terreno dopo i cali di ieri: Unicredit a +0,4%, Intesa +0,7%, Mediobanca +0,9%, Banco Popolare +1,5%. Riscontri in parte positivi nell'energia, con Eni ed Enel in rialzo, Saipem a +1,1%; giù invece i difensivi. Atlantia guadagna lo 0,6% dopo l'annuncio di un rincaro delle tariffe autostradali. Balzo di Autogrill (+2,3%). Bene Fiat (+1,2%), con Exor +2%. Pirelli a +1,3%. Nel lusso bene Bulgari e Geox. In calo Telecom (-1,1%). Tra i minori in luce Amplifon (+2,2%) dopo un report positivo

fonte: corriere.it

martedì 8 giugno 2010

I giardinieri del corallo

Le barriere coralline del mondo cominceranno a disintegrarsi entro la fine del secolo, come conseguenza dell'aumento di anidride carbonica che rende gli oceani più acidi. Questo l'allarme lanciato dagli scienziati che hanno identificato il 'punto di non ritorno' dell'ecosistema dei coralli, ovvero il momento in cui la capacità delle barriere di rigenerarsi verrà sorpassata dalla velocità con cui si disgregano. E tra i numerosi rimedi che sono stati ipotizzati o messi in campo per la salvaguardia delle barriere è stata prospettata una soluzione semplice ed economica per tenerle in vita rigogliose. Si tratta di una sorta di giardinaggio marino: basta trapiantare rametti di corallo rotti sulle barriere coralline e questi nel giro di qualche anno formeranno nuovi grandi coralli adulti, del tutto reintegrati nella barriera.

Graham Forrester, dell'università di Rhode Island, ha studiato infatti un sistema molto simile a quello usato nel per piantare talee (rametti di una pianta messi a germogliare). Secondo quanto riferito sulla rivista Restoration Ecology, questa tecnica è stata testata con successo al largo delle Isole Vergini britanniche le cui barriere coralline sono messe a dura prova dalle tempeste. Non serve essere un giardiniere esperto per sapere che piantando un rametto rotto ne può nascere una nuova pianta grande e rigogliosa: il rametto (o talea) interrato emette radici e genera un nuovo individuo.

Gli esperti hanno provato a fare lo stesso con pezzi di corallo: hanno 'piantato' rametti di corallo danneggiati, scoprendo nel giro di pochi mesi molte di queste microcolonie 'attecchiscono' a perfezione e in alcuni anni riescono a formare nuovi grandi banchi corallini. Trovare misure urgenti rimane comunque uno degli obiettivi dei ricercatori perché oltre 9 mila barriere coralline in tutto il mondo - dicono gli scienziati - inizieranno a morire quando i livelli di anidride carbonica nell'atmosfera raggiungeranno la concentrazione di 560 parti per milione. Attualmente questa concentrazione è di 388 ppm, ma si stima raggiungerà le 560 ppm per la fine del secolo.

"Questi ecosistemi, che ospitano la più grande biodiversità marina degli oceani verranno severamente danneggiati comunque in meno di 100 anni", dice Jacob Silverman, della Carnegie Institution, della Stanford University della California, responsabile dello studio che ha innescato l'allarme. Pesca, protezione delle coste, turismo: sono solo alcuni dei 'servizi' resi all'uomo dalle barriere coralline, un impatto economico stimato in 172 miliardi di dollari l'anno. Mezzo miliardo di persone dipende da questi ecosistemi per la propria sopravvivenza, così come oltre un quarto di tutte le specie di pesci marini.

Le barriere coralline attualmente sono condannate a scomparire quasi totalmente, considerando che la loro salute è legata alla crescita delle temperature e all'acidificazione degli oceani, oltre che allo sviluppo delle coste, all'eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche e all'inquinamento. Dal 1950 è già scomparso il 20% delle barriere coralline, un altro 20% è a rischio di collasso, mentre il 58% è minacciato dalle attività umane (di cui l'80% nel Sudest asiatico).

fonte: lanuovaecologia.it

Louisiana, si contano i danni dei 320 km di macchia oleosa

La marea nera costerà 31 miliardi di dollari. Le operazioni di pulitura e di copertura del pozzo sono costate a Bp 990 milioni di dollari. Ma per la pulitura del Golfo serviranno tra gli 11 e i 17 miliardi cui vanno aggiunti circa 14 miliardi per risarcire i danni

Ennesima gaffe ieri da parte della Bp, nel giorno numero 48 del disastro ambientale nel Golfo del Messico. Già da circa 24 ore sembra che il nuovo 'tappo' stia funzionando, seppur parzialmente, visto che riesce a catturare solo la metà del petrolio che fuoriesce dal pozzo sottomarino estendendosi per un raggio lungo più che da Roma e Firenze. Ma tanto basta al capo della compagnia petrolifera, Tony Hayward, per dirsi "pleased', cioé felice del risultato appena raggiunto.
Espressione duramente censurata dall'ammiraglio Thad Allen, che ha frenato l'entusiasmo espresso dalla compagnia, prima responsabile di un disastro che sta mettendo in ginocchio intere comunità: "Stiamo facendo i giusti progressi - ha detto l'alto ufficiale che sta seguendo per conto della Casa Bianca tutte le operazioni nel Golfo - tuttavia penso che nessuno possa sentirsi felice sino a quando c'é petrolio in acqua".

Non è la prima volta che Hayward compie un passo falso. Già la settimana scorsa disse in un'intervista: "rivoglio la mia vita". Una frase che fece infuriare in parenti degli undici operai che morirono nello scoppio della base.
L'ammiraglio ha riferito in tv che la macchia di petrolio che esce dal pozzo a 1.500 metri di profondità si sta estendendo a macchie di leopardo per un raggio di 200 miglia, pari a 320 km. Intanto la Cnn mostra già le mappe simulate che mostrano dove, secondo gli studiosi, il petrolio arriverà quando invaderà nelle prossime settimane l'oceano Atlantico. Il New York Times, invece, punta a scoprire cosa accadde sulla Deepwater Horizon quel maledetto 20 aprile. E il risultato dell'inchiesta è sconfortante. Come sintetizza il titolo in prima pagina non è chiaro chi comandasse sulla base.

"Per più di sei giorni - racconta il Nyt - a maggio, in una fredda e anonima stanza d'albergo della zona, sei agenti federali hanno interrogato senza sosta i responsabili della base Deepwater Horizon, per saperne di più". Ma le risposte non furono soddisfacenti. L'articolo descrive la frustrazione degli inquirenti di fronte alle risposte evasive dei loro interlocutori. Dopo aver tentato di ricostruire, minuto dopo minuto, le ore precedenti e immediatamente successive all'incidente, gli agenti hanno costatato l'assoluta mancanza di organizzazione e di coordinamento tra i responsabili della base, tanto che le eccezioni alle regole erano ormai diventate all'ordine del giorno. Insomma, gravi difetti d'informazione, ritardi nella reazione. Tutti fattori che, secondo gli inquirenti, hanno reso questo tipo di incidente molto più probabile del previsto, soprattutto visto che a operare nella stessa strutture erano diverse compagnie.

Infine, l'ennesima stima dei danni economici finali del disastro. Ma stavolta i numeri fanno impressione: secondo le cifre del Credit Suisse, pubblicate in prima pagina dal Washington Post, la marea nera costerà 31 miliardi di dollari, circa 25,8 miliardi di euro. Più o meno quanto la manovra correttiva di Giulio Tremonti.
Sinora, il prezzo delle operazioni di pulitura e di copertura del pozzo, s'é aggirato sui 990 milioni di dollari, con una media giornaliera che varia tra i 14 e i 30 milioni di dollari. In futuro, secondo questo studio, per concludere la pulitura del Golfo, tra mare e coste, serviranno tra gli 11 e i 17 miliardi.
A questi vanno aggiunti i circa 14 miliardi che saranno necessari per risarcire i danni enormi che la marea di petrolio sta già causando all'industria della pesca e del turismo.

fonte: lanuovaecologia.it

Le regioni del biologico

Sembrava un'idea un po' così; verrà invece realizzata ed è un'ottima idea.


Si tratta del G20 delle regioni ortofrutticole d'Europa: un vertice degli assessori all'agricoltura delle regioni dell'UE a più forte vocazione ortofrutticola per mettere a fuoco gli obiettivi prioritari comuni da sostenere a Bruxelles e per creare una governance europea del sistema ortofrutta. L'idea, lanciata dall'assessore all'agricoltura dell'Emilia Romagna Tiberio Rabboni, è piaciuta a molti suoi colleghi di altre regioni di diversi Paesi. Così il primo G20 delle regioni ortofrutticole si terrà a Cesena il 6 ottobre 2010.
Proposta: facciamo qualcosa di analogo per il biologico. Anche il biologico ha bisogno di governance, di governance vera, allargata non tanto ad un'Europa generica ma all'Europa mediterranea che è una grande culla del biologico mondiale e, insieme, allargata agli altri Paesi mediterranei che producono biologico, come la Tunisia. Potrebbe trattarsi di un vertice periodico proprio di regioni che danno valore alle produzioni bio e interessate ad allearsi per far fronte alle insidie che derivano dagli OGM e non solo. Le regioni oggi contano più che nel passato e dalle regioni potrebbe scaturire una grande lobby a tutela dei prodotti bio, a tutela della biodiversità nello straordinario bacino del Mediterraneo.

fonte: greenplanet.net

Nel 2030 otto milioni di posti di lavoro dalle rinnovabili

L’energia pulita potrebbe diventare il traino dell’economia e dell’occupazione entro il 2030. E’ questo lo scenario “rinnovabile” fotografato da Energy [ R]evolution uno studio presentato oggi da Greenpeace e dall’European Renewable Energy Council su come ridurre le emissioni di CO2 e garantire allo stesso tempo la crescita economica. Un cambiamento possibile grazie all’utilizzo, in alternativa ai combustibili fossili, proprio delle rinnovabili e a uno sviluppo su vasta scala di sistemi ad alta efficienza energetica. Condizione indispensabile per raggiungere questo ambizioso traguardo sarà spingere i governi a investire nei “lavori verdi” e nell’utilizzo di fonti energetiche alternative. Una rivoluzione energetica, come l’hanno definita gli stessi attivisti di Greenpeace, che potrebbe portare tra vent’anni alla creazione di 12 milioni di posti di lavoro (di cui appunto 8,5 nelle rinnovabili). Un obiettivo importante se si considera che a oggi gli occupati diretti e indiretti nei diversi comparti delle rinnovabili sono solo 2,4 milioni a fronte di 8,7 del settore energetico a livello mondiale. Secondo le stime degli analisti che hanno lavorato a Energy [ R]evolution entro il 2030 anche il mercato globale per le tecnologie rinnovabili passerà dagli attuali 100 miliardi di dollari l’anno, a più di 600 miliardi di dollari.
La chiave di Energy [ R]evolution consiste nel creare un sistema in cui i costi degli investimenti nel settore siano condivisi in modo equo. Uno di questi meccanismi è il “Greenhouse Development Rights” che calcola quote nazionali di obbligazioni globali di gas a effetto serra. Le quote sono basate su una combinazione di responsabilità (contributo ai cambiamenti climatici) e capacità finanziaria. Positivo anche lo scenario delineato dal rapporto sulle future emissioni globali di CO2 che potrebbero raggiungere un picco nel 2015 per poi tornare a diminuire. Se l’ approvvigionamento energetico sarà basato esclusivamente su fonti “pulite” nel 2050 le emissioni di CO2 potrebbero diminuire circa dell’80% rispetto al 1990.
Il rapporto presentato oggi da Greenpeace e dall’EREC delinea i percorsi possibili per raggiungere il 100% di energie rinnovabili, anche se è ancora lungo il percorso per raggiungere questo obiettivo. In una nota pubblicata sul sito dell’associazione si legge, infatti: “Non ci sono ostacoli tecnologici, ma solo politici. Anche in Italia assistiamo al tentativo miope del governo di bloccare – nella proposta della legge Finanziaria – quegli strumenti e incentivi che hanno permesso solo negli ultimissimi anni il decollo delle fonti rinnovabili nel nostro Paese”.

fonte: rinnovabili.it

In Veneto il solare sostituisce l’amianto

Cinque nuovi tetti solari spunteranno in Veneto e porteranno alla regione altri 7,5 MW di potenza pulita e rinnovabile. Dietro la loro realizzazione c’è l’importante accordo siglato tra Solaria Energía y Medio Ambiente, l’unica azienda fotovoltaica quotata alla Borsa spagnola, e l’italiana Elpo Gmbh. Il contratto, firmato in questi giorni, si riferisce nel dettaglio alla fornitura di moduli fotovoltaici che andranno ad essere integrati in 5 coperture a sostituzione delle preesistenti componenti di amianto; il progetto conta, oltre che su consolidate competenze tecniche, anche su tempistiche rapide e precise onde evitare di interrompere i cicli lavorativi delle aziende agricole coinvolte. L’accordo può vantare un valore di circa 12 milioni di euro e prevede che ogni tetto venga completato in non oltre 42 giorni mentre la fornitura richiederà un periodo di 4 mesi.
Don Arturo Díaz-Tejeiro, Presidente di Solaria non ha dubbi nell’affermare che si tratti di “un importante incentivo per entrambe le società”, in grado di rafforzare la strategia di crescita della compagnia spagnola a livello internazionale. “Grazie alla nostra comprovata esperienza nel settore delle rinnovabili siamo in grado di offrire soluzioni a valore aggiunto a quei mercati che stanno investendo molto nell’energia, come Italia e Germania”, ha concluso Díaz-Tejeiro. Solaria ha già all’attivo nel nostro Paese contratti per oltre 40 MWe nel 2011 si impegnerà nel rafforzamento del marchio in Italia, nella ricerca di solidi partner a livello distributivo, nella sigla di nuovi accordi per lo sviluppo e implementazione di progetti fotovoltaici, sistemi per la generazione di energia e sviluppo di attività operative e di manutenzione.

fonte: rinnovabili.it

L’evoluzione del sistema energetico

E’ stata pubblicata la terza edizione di Energy [R]evolution, uno studio promosso da Greenpeace ed EREC (European Renewable Energy Council), che in questa versione (la prima è del 2007) approfondisce lo scenario più ambizioso e spinto per uscire dalle fonti fossili e dal nucleare (al 2050 il 95% dell’elettricità e l’80% dell’energia primaria prodotta con rinnovabili), tagliare la CO2 dell’80% entro il 2050 rispetto al 1990, mettendo in pratica una decisa rivoluzione energetica dal punto di vista della produzione, distribuzione e del consumo di energia, creando nel contempo 8 milioni e mezzo di occupati nei lavori verdi entro il 2030. Nello scenario di Energy [R]evolution, le emissioni globali di CO2 raggiungerebbero il picco nel 2015 per poi cominciare a scendere.

Il nostro scenario – ha detto Sven Teske, di Greenpeace International e co-autore del rapporto – mostra come eliminare l’imprevedibilità dei costi delle fonti fossili, l’opera distruttiva dell’attività mineraria e dell’esplorazione petrolifera, come dimostra il recente caso della Bp nel Golfo del Messico. Investire nelle persone, piuttosto che nelle fonti fossili sporche e pericolose, non solo spingerebbe l’economia globale, ma conterrebbe i cambiamenti climatici”.

Nell’ultimo studio Energy [R]evolution (vedi excutive summary allegato in basso, mentre per la versione completa - 260 pp. - clicca qui, pdf 9 Mb) hanno collaborato l’Institute of Technical Thermodynamics at the German Aerospace Centre (DLR), il Dutch Institute Ecofys e più di 40 tra scienziati e ingegneri provenienti da università, istituti di ricerca e settori industriali di tutto il mondo.

Lo scenario più ambizioso delineato dallo studio (advanced scenario) assume come premessa che per porre un freno alle emissioni globali la vita degli impianti termoelettrici alimentati a carbone sia di 20 anni anziché di 40. Per coprire il divario energetico che ne deriverebbe il tasso di crescita annuale delle rinnovabili, soprattutto di fotovoltaico, eolico e solare termodinamico, viene innalzato fortemente (vedi grafico Greenpeace su evoluzione di fonti e consumi di energia primaria dal 2007 al 2050).

Oggi le fonti rinnovabili coprono il 13% della domanda mondiale di energia primaria, mentre la quota nella produzione di energia elettrica è del 18%; nel settore del calore è di circa il 24%. L’80% circa dell’offerta di energia primaria proviene da fonti fossili. Alla luce di questo quadro sarà fondamentale sfruttare il potenziale di efficienza energetica così da far aumentare solo marginalmente la domanda di energia: dall’attuale 305.095 PJ/anno (2007) a 340.933 PJ/anno nel 2050. L’International Energy Agency nel suo scenario (WEO 2009), considerato come scenario di riferimento dal rapporto di Greenpeace, stima una domanda di 531.485 PJ/anno al 2050.

Nel settore dei trasporti le rinnovabili elettriche avranno un peso importante: dopo il 2020 la quota di veicoli elettrici aumenterà dal 4% a oltre il 50% nel 2050. Si dovrà assistere ad un forte trasferimento del trasporto delle merci su rotaia e il sistema di trasporto pubblico sarà per lo più basato sull’elettricità per quanto concerne l'alimentazione. L’energia rinnovabile potrà in parte anche essere utilizzata per produrre idrogeno, come combustibile secondario, nel trasporto, ma anche nell’industria.

Nella prima fase aumenterà, secondo lo scenario, l’uso della cogenerazione (CHP) ad alto rendimento, soprattutto di impianti alimentati a gas naturale e biomasse. Nel più lungo periodo la diminuzione della domanda di energia termica e un maggiore potenziale per la produzione di calore da rinnovabili consentirà di limitare la diffusione di impianti CHP. In particolare, il gas sarà sostituito da tecnologie moderne più efficienti alimentate a biomasse, solare termico e a concentrazione e pompe di calore geotermiche. Nel settore del calore il contributo delle rinnovabili arriverà al 2050 a quota 91%.

La grande spinta delle rinnovabili sarà data, comunque, dal settore elettrico: entro il 2050 circa il 95% dell’elettricità sarà prodotta da fonti rinnovabili: 14.045 GW di potenza capaci di generare 43.922 TWh/anno.

L’analisi mostra anche come sia possibile creare, entro il 2030, dodici milioni di posti di lavoro, di cui otto e mezzo soltanto nel settore delle fonti rinnovabili. Allo stato attuale, i posti di lavoro in energie rinnovabili sono soltanto 2,4 milioni a fronte di 8,7 del settore energetico a livello mondiale. Invece, attuando Energy [R]evolution, si creerebbero 3,2 milioni di nuovi posti di lavoro, il 33% in più di quelli attuali, sempre nel settore dell’energia.
Il mercato globale per le tecnologie rinnovabili, entro il 2030, passerà dagli attuali 100 miliardi di dollari l’anno, a più di 600 miliardi di dollari.

La chiave per rendere concreto lo scenario avanzato Energy [R]evolution sta nel creare un sistema in cui i costi degli investimenti nel settore siano condivisi in modo equo. Uno di questi meccanismi è il “Greenhouse Development Rights” che calcola quote nazionali di obbligazioni globali di gas a effetto serra. Le quote sono basate su una combinazione di responsabilità (contributo ai cambiamenti climatici) e capacità finanziaria.

«Il nuovo rapporto Energy [R]evolution 2010 – ha detto Giuseppe Onufrio, presidente di Greenpeace Italia - delinea i percorsi possibili per raggiungere il 100% di energie rinnovabili. Non ci sono ostacoli tecnologici, ma solo di tipo politico. Anche in Italia assistiamo al tentativo miope del governo di bloccare – nella proposta della legge Finanziaria - quegli strumenti e incentivi che hanno permesso solo negli ultimissimi anni il decollo delle fonti rinnovabili nel nostro Paese. Chiediamo al governo di rinsavire cancellando la norma che elimina il ritiro obbligatorio dei certificati verdi e di rifinanziare gli incentivi fiscali del 55% su efficienza e rinnovabili nell’edilizia».

fonte: qualenergia.it

L'ecomafia non va in crisi "G5 criminalità", Italia prima

Nell'Italia indebolita dalla crisi c'è un'organizzazione in buona salute. E' l'ecomafia che non manca di liquidità perché nessuno si può rifiutare di pagare. Non ha bilanci in sofferenza perché nel 2009 è rimasta stabile incassando 20,5 miliardi di euro. Non ha il problema dei mercati che si chiudono perché guadagna spazio rafforzandosi soprattutto nel Lazio che ha conquistato il secondo posto dopo la Campania. Così nel "G5 della criminalità" l'Italia figura in testa. Perdiamo competitività come paese, ma abbiamo la mafia più potente. La ricerca e le industrie più innovative risentono delle incertezze del governo, ma siamo il secondo mercato illegale del pianeta, dopo gli Usa e prima del Giappone e della Cina. E' il ritratto che emerge da "Ecomafia 2010", il rapporto curato da Legambiente 1, con la prefazione di Roberto Saviano e l'introduzione del procuratore antimafia Pietro Grasso, per i tipi di Edizioni Ambiente.

Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, auspica una "più incisiva" azione di contrasto e una "costante opera di prevenzione" a tutela dell'ambiente. "Il Rapporto - osserva il capo dello Stato - rappresenta anche quest'anno un importante contributo per la conoscenza dei comportamenti criminali che compromettono il nostro patrimonio naturale e per un'approfondita riflessione sugli interventi più idonei". Servono, dice Napolitano, "nuove metodologie di rilevazione e l'adeguamento del quadro normativo al rapido evolversi di un fenomeno criminale in forme sempre più sofisticate e aggressive". E poi, la prevenzione, "incentrata su iniziative volte a promuovere, soprattutto tra le nuove generazioni, la cultura del rispetto e della tutela dell'ambiente".

Campania, cosche e rifiuti. Mentre l'emergenza rifiuti in Campania veniva ufficialmente cancellata dal primo gennaio 2009, come se il problema fosse stato risolto, i numeri mostrano una straordinaria attività delle cosche proprio in questo campo: le infrazioni accertate nel ciclo dei rifiuti segnano un più 33 per cento (da 3.911 nel 2008 a 5.217 nel 2009). Un quadro ancora più preciso potrebbe essere tracciato se nel "Rapporto rifiuti 2010" dell'Ispra non mancasse un dato chiave: quello sui rifiuti speciali, categoria molto delicata in cui passa buona parte del traffico illegale.

Animali e racket. Tra le altre novità del 2009, anno del pressing per la deregulation sulla caccia, ci sono la crescita dei reati contro la fauna (+58% ) e la buona tenuta del racket degli animali che, stando alla stima della Lega antivivisezione 2 (Lav), tra corse clandestine di cavalli, combattimenti tra cani, traffici di fauna viva esotica o protetta, macellazione clandestina si conferma un business da 3 miliardi di euro.

L'abusivismo edilizio. Alle cosche altri 2 miliardi arrivano dall'abusivismo edilizio e la mafia ha scoperto un nuovo modo per fare ottimi guadagni nel ramo del commercio: aprire direttamente negozi, supermarket e grandi centri. Così si riciclano i soldi accumulati illecitamente e si esercita il controllo sociale attraverso la gestione degli appalti, delle forniture e dei posti di lavoro.

Calcestruzzo, infrastrutture a rischio. Infine cresce l'allarme per il calcestruzzo depotenziato: a rischio strade, ponti, viadotti, ferrovie, gallerie, case, centri commerciali, scuole, ospedali e commissariati. Un business molto redditizio per i clan che si aggiudicano appalti nazionali e locali per costruire opere pubbliche e private. Nell'elenco delle opere taroccate con calcestruzzo di pessima qualità ci sono gli aeroporti di Palermo e Trapani, il porto turistico di Balestrate, il lungomare di Mazara del Vallo, l'ormai famoso Ospedale San Giovanni di Dio ad Agrigento e perfino per il Commissariato di Polizia di Catelvetrano (Tp); per il Palazzo di giustizia e la diga foranea di Gela, la piattaforma di emergenza dell'ospedale di Caltanissetta e lo svincolo di Castelbuono dell'autostrada Palermo-Messina.

L'offensiva contro le ecomafie. A fronte di questo assalto dell'ecomafia c'è comunque un rafforzamento della capacità di risposta. Aumentano gli arresti (+ 43%, da 221 nel 2008 agli attuali 316) e gli illeciti accertati (28.576 oggi, 25.776 lo scorso anno) pari a 78 reati al giorno, cioè più di 3 l'ora. Aumentano del 33,4% le persone denunciate (da 21.336 a 28.472) e dell'11% i sequestri effettuati (da 9.676 a 10.737).

Le richieste al governo. Ma - fa notare il vicepresidente di Legambiente Sebastiano Venneri - l'offensiva contro l'ecomafia dovrebbe essere sostenuta dal governo con una serie di misure concrete: introduzione dei delitti contro l'ambiente nel codice penale; uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali nelle indagini; bonifica delle aree più inquinate e delle opere pubbliche realizzate con calcestruzzo povero.

fonte: repubblica.it

sabato 5 giugno 2010

Giornata mondiale dell'ambiente Riflessione sui «tradimenti» alla natura

Eccoci al 5 giugno, ricorrenza ormai tradizionale del Wed, come viene chiamato per brevità nei Paesi di lingua anglosassone, ossia del World Environment Day, giornata mondiale dell’ambiente. L’acronimo Wed, in inglese, suona anche come sposalizio: l’unione simbolica dell’uomo con la natura, con tanto di rinnovata promessa di amarsi e rispettarsi per sempre. Ma quest’anno più che i segnali di armoniosa convivenza, sembrano prevalere quelli di divorzio.

TRADIMENTI - Troppi i tradimenti perpetrati dall’uomo nei confronti dell’ambiente, negli ultimi tempi. Nel Golfo del Messico, da oltre un mese, la Bp tenta di arginare il fiume di petrolio che sgorga dal fondo (un milione di litri al giorno), risultato di un incauto sfruttamento delle risorse naturali. Tutti fanno voti che il quarto tentativo di tappare la bocca del pozzo fuori controllo abbia successo, come sembra dalla prime dichiarazioni; in caso contrario la marea nera, trasportata dalle grandi correnti oceaniche, potrebbe diffondersi in tutto l’Atlantico, e il disastro balzare dalla scala locale a quella planetaria. Per restare in Messico, a Cancun, fervono i preparativi della prossima conferenza mondiale sui cambiamenti climatici (29 novembre-10 dicembre) che ha all’ordine del giorno la formulazione di un nuovo Protocollo per la tutela dell’atmosfera e del sistema climatico. Dopo il clamoroso flop dell’anno scorso a Copenaghen, le attese che il vertice di Cancun possa dare continuità ai patti di Kyoto, rilanciando un programma condiviso di riduzione dei gas serra, sono alte. Ma il persistente stallo dei negoziati, proseguiti nel frattempo a Bonn, non lascia ben sperare: Stati Uniti da una parte, Cina India e altri Paesi in rapido sviluppo dall’altra, non sembrano ancora maturi per entrare a pieno titolo nel meccanismo degli impegni di riduzione vincolanti. E mentre incombe la scadenza dell’attuale trattato climatico (2012), già si parla di rinviare la decisione al successivo vertice del Sud Africa.

BIODIVERSITÀ - Non vanno tanto meglio le cose sul fronte delle iniziative per limitare la perdita di biodiversità, cioè la scomparsa delle specie viventi provocata dall’impatto delle attività umane sugli ecosistemi: tema al centro del Wed di quest’anno. Le più recenti valutazioni degli esperti in biodiversità parlano di un’accelerazione del tasso di estinzione, che avrebbe ormai superato di alcune migliaia di volte quello dovuto ai soli fattori naturali. Su circa cento milioni di specie esistenti sul pianeta, almeno diecimila ogni anno starebbero scomparendo a causa del nostro sviluppo non sostenibile. Con questo pesante fardello di colpe sulle spalle, le Nazioni Unite intendono fare della giornata mondiale dell’ambiente qualcosa di più che la solita passerella di celebrazioni retoriche: piuttosto un’opportunità per informare l’opinione pubblica mondiale sulle azioni concrete di riparazione in atto da parte dei vari organismi ambientali e, soprattutto, per svolgere campagne educative rivolte ai giovani.

RISORSE - «Bisogna aver chiaro che tutto l’impianto degli ecosistemi planetari genera risorse e servizi per lo sviluppo dell’umanità valutati, in termini economici, più di 70 mila miliardi di dollari ogni anno», ha dichiarato il direttore generale dell’Unep Achim Steiner, alla vigilia del Wed a Kigali (Ruanda). «Ne consegue che la cattiva gestione o l’aggressione agli ecosistemi può avere effetti economici negativi ben più gravi dell’attuale crisi economica. Gli investimenti per il recupero degli ecosistemi naturali offesi sono da considerare un necessario investimento redditizio, piuttosto che un onere passivo».

AZIONI - Il responsabile dell’Unep ha pure annunciato una serie di azioni di successo attualmente in fase di sviluppo in varie località del mondo, con il concorso di programmi ambientali nazionali e internazionali. Per esempio, in Ruanda, Congo e Uganda, norme e controlli più severi attuati nei territori montani in cui vivono i gorilla resi famosi dalla zoologa Dian Fossey (e dal film interpretato da Sigourney Weaver), hanno fermato la strage di questi animali, i quali stanno incrementando la loro popolazione. Il loro territorio, trasformato in stupendi parchi naturali, è ora meta di pellegrinaggio di turisti e studiosi da tutto il mondo. A Istanbul in Turchia, nell’arco di due decenni il sistema di depurazione delle acque, prima riservato a poche centinaia di migliaia di abitanti, è stato esteso a 9 milioni di cittadini (il 95% della popolazione), determinando la rinascita di corsi d’acqua superficiali e sotterranei che erano diventati inutilizzabili a causa dell’inquinamento. In India e in Vietnam il recupero di migliaia di ettari di terreni popolati da mangrovie (formazioni vegetali dei litorali bassi), ha riacceso la vita animale e vegetale, con vantaggi economici enormi per l’industria alimentare locale.

UNEP - Istituita nel lontano 1972, contestualmente alla fondazione del Programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep, United Nation Environment Programme), la Giornata mondiale dell’ambiente viene celebrata contestualmente in molte capitali e città del mondo, ma ha come principali punti di riferimenti due vertici internazionali, uno a Kigali, nella capitale del Ruanda, l’altro a Pittsburgh, negli Stati Uniti. A Kigali il direttore dell’Unep, oltre a presentare il rapporto sul recupero della biodiversità intitolato Dead Planet, Living Planet: Biodiversity and Ecosystem Restoration for Sustainable Development, presenzia a una suggestiva cerimonia di battesimo dei gorilla di montagna. A Pittsburgh la maggior parte delle relazioni presentate ha come il tema dominante l’idrosfera del nostro pianeta e la necessità di preservarla dall’aggressione dei prodotti inquinanti: un tema quanto mai attuale, che era stato scelto prima del disastro petrolifero nel Golfo del Messico. In Italia le iniziative del Wed sono indirizzate prevalentemente agli studenti, con il lancio da parte delle ministre Gelmini e Prestigiacomo di un progetto da un milione di euro riservato alle scuole per realizzare progetti di educazione ambientale

fonte: corriere.it

giovedì 27 maggio 2010

Rapporto annuale Istat: stavolta si è conteggiata anche la sostenibilità

Un lavoro meritorio e atteso, almeno da chi ha a cuore la sostenibilità, da molto tempo. L'Istat per la prima volta, infatti, ha pubblicato nel suo "Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2009" un intero capitolo, il 4°, sulla sostenibilità ambientale. Ma il punto vero è che tutto il lavoro è impostato finalmente incrociando l'economia con l'ecologia e su base scientifico/matematica. Nel merito i dati confermano quello che ci si aspettava, ovvero che le emissioni (gassose e non) calano causa crisi, ma che ancora di disaccoppiamento non c'è traccia.

La criticità più evidente del rapporto, però, è che nonostante si parli esplicitamente di come «L'industria, in particolare, è invitata a farsi carico dello sviluppo di tecnologie che rispettino l'ambiente nell'energia e nei trasporti e che possano produrre il "disaccoppiamento" (decoupling) tra crescita economica e sfruttamento delle risorse naturali», sulla coda di questo sfruttamento, ovvero gli scarti, ovvero i rifiuti speciali, non si dice praticamente niente, riservando le analisi solo a quelli urbani che sappiamo essere un quarto dei totali. Forse è il problema della mancanza di dati precisi ad aver causato questo vuoto, ma almeno andava detto: cosa che invece è stata omessa. Vista la dimensione della novità non solo del rapporto in quanto tale, ma anche di come è stato scritto (quasi un documento da associazione ambientalista) abbiamo deciso di pubblicarlo integralmente.

4.4 La sostenibilità ambientale: risorse naturali e spesa per la protezione

Il Consiglio di Gotheborg del giugno 2001 ha approvato la strategia europea per lo sviluppo sostenibile, aggiungendo la dimensione ambientale a quelle già previste dalla strategia di Lisbona. Il Consiglio ha fornito indicazioni di priorità in tema di cambiamenti climatici, trasporti, minacce alla salute pubblica, gestione responsabile delle risorse naturali e ha avviato un processo istituzionale affinché gli Stati membri adottino strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile, a partire da processi di consultazione di tutti i soggetti interessati. L'industria, in particolare, è invitata a farsi carico dello sviluppo di tecnologie che rispettino l'ambiente nell'energia e nei trasporti e che possano produrre il "disaccoppiamento" (decoupling) tra crescita economica e sfruttamento delle risorse naturali.

La dimensione ambientale della sostenibilità va naturalmente analizzata considerando le strette interconnessioni con la dimensione economica, anche alla luce della crisi. Per assicurare adeguati livelli di benessere alle future generazioni, infatti, è fondamentale il mantenimento degli stock di capitale naturale, che dovrebbero essere garantiti da politiche ambientali, alle quali possono essere associati costi economici. Risulta particolarmente rilevante, quindi, l'analisi delle risorse naturali utilizzate per la produzione e il consumo di beni e servizi, in quanto i prelievi diretti di risorse naturali dall'ambiente nazionale e dall'estero sono responsabili di pressioni effettive e potenziali di vario tipo sull'ambiente (danni al paesaggio, emissioni nelle acque e in atmosfera, generazione di rifiuti). Benché il confronto tra la produzione dei rifiuti urbani con i principali indicatori socio-economici mostri come l'obiettivo del disaccoppiamento fra crescita economica e produzione dei rifiuti non sia stato ancora conseguito, in termini di sostenibilità complessiva alcuni traguardi sono stati raggiunti, sia per la riduzione complessiva del volume di rifiuti urbani prodotti in Italia, sia per gli obiettivi stabiliti dalla legge sulla quota di raccolta differenziata.

D'altra parte, i consumi energetici e le fonti utilizzate per soddisfare la domanda di energia determinano ripercussioni sull'ambiente, particolarmente evidenti quando si tratta di combustibili fossili, che nel processo di combustione rilasciano anidride carbonica; per questo, il maggior uso di risorse rinnovabili appare necessario.

Anche se in Italia continuano a diminuire le emissioni di gas serra (-2 per cento nel 2008 e -9 per cento nel 2009), il conseguimento dell'obiettivo del Protocollo di Kyoto di una riduzione del 6,5 per cento rispetto ai valori del 1990 - che il nostro Paese deve perseguire entro il 2012 - è lontano. Lo stesso vale per quelli enunciati dall'Unione europea, con la strategia integrata in materia di energia e cambiamenti climatici, che prevedono un abbattimento delle emissioni del 30 per cento al 2020 (se altri paesi sviluppati accetteranno di assumersi impegni analoghi) e dell'85 per cento al 2050. L'andamento delle emissioni di gas serra imputabili alle attività produttive mette in luce, comunque, importanti evoluzioni strutturali dell'economia e, nelle singole attività, dell'efficienza energetica e di quella dal punto di vista ambientale (misurata dalle emissioni per unità di input energetico).

Infine, alcuni cambiamenti nella mobilità individuale hanno determinato effetti positivi in termini di sostenibilità ambientale, grazie alla tendenza a preferire mezzi più nuovi e meno inquinanti e alla crescita degli utenti del trasporto pubblico locale. La diffusione di mezzi che garantiscono emissioni inquinanti dei gas di scarico più basse e consumi di carburante ridotti è stata favorita dagli incentivi all'acquisto di vetture nuove.

La portata dello sforzo economico messo in atto sia per soddisfare la domanda corrente di servizi ambientali, sia per affrontare quella futura, attraverso appropriati investimenti, emerge dall'analisi della spesa sostenuta dalle amministrazioni pubbliche per la gestione dei rifiuti, delle acque reflue e delle risorse idriche. La gestione dei servizi idrici urbani (prelievo, trasporto e distribuzione di acqua potabile, raccolta e depurazione delle acque reflue), interessata da significativi cambiamenti normativi, si è evoluta anche nella direzione della tutela ambientale integrale del ciclo delle acque, in termini sia qualitativi sia quantitativi, a vantaggio delle generazioni presenti e future.

4.4.1 Il metabolismo socioeconomico e i flussi materiali

Il fabbisogno di risorse naturali generato dalla produzione e dal consumo degli italiani è soddisfatto solo parzialmente da prelievi diretti dalle risorse naturali italiane. Per il terzo anno consecutivo, nel 2008 questi prelievi di materiali utilizzati sono diminuiti, avvicinandosi ai valori minimi raggiunti negli anni 1985, 1994, 1997 e 2003.

Per quanto riguarda le biomasse, la riduzione conferma una tendenza di lungo periodo al progressivo abbandono delle attività dalle quali esse provengono, in particolare quelle agricole. Più legata al ciclo economico è, invece, la riduzione dell'estrazione interna di minerali non energetici, provenienti per la stragrande maggioranza da cave e scavi, utilizzati prevalentemente nelle costruzioni. Il prelievo di questi materiali comporta danni al paesaggio e pressioni potenziali di vario tipo sull'ecosistema; la loro ricollocazione, in particolare, va a interferire con la biodiversità e i cicli naturali delle acque, contribuendo tra l'altro a disastrose alluvioni.

Sul territorio nazionale vengono effettuati anche prelievi diretti di risorse naturali non valorizzate economicamente, ma strumentali all'accesso ai materiali utili o all'utilizzo dello spazio. I materiali prelevati (residui di piante, scarti di cava e miniera; terra e rocce da scavi per costruzioni) non sono incorporati in prodotti di alcun tipo e solo di recente i loro flussi sono stati valutati statisticamente, pur trattandosi di flussi "nascosti". Anch'essi comportano pressioni sull'ambiente - effettive e potenziali - poiché divengono rifiuti, talvolta pericolosi, nel momento stesso in cui sono sottratti alla natura. Gli andamenti di lungo periodo possono essere ricondotti, per le biomasse, all'affermarsi di colture con maggiori scarti; per i residui minerali, alla progressiva scomparsa delle miniere; per le terre e rocce da scavo alla riduzione delle volumetrie dei nuovi edifici costruiti, al punto che gli ultimi anni mostrano un andamento coerente di questo indicatore con quello dei corrispettivi materiali utilizzati.

Data la scarsa dotazione nazionale di risorse naturali pregiate, quali minerali metalliferi e combustibili fossili, per l'Italia è necessario approvvigionarsi all'estero. Per tali input, l'effetto della crisi economica è stato particolarmente evidente: dopo una crescita ininterrotta dal 1996 (nel 2007 era stato raggiunto il massimo storico di oltre 383 milioni di tonnellate), nel 2008 si registra una secca battuta d'arresto e, per la prima volta dal 1993, un calo contemporaneo delle principali componenti. Particolarmente importante è il caso dei combustibili fossili e dei prodotti derivati, per l'ampiezza dei flussi e per le conseguenze ambientali del loro utilizzo: su questi flussi, che nel complesso superano i 200 milioni di tonnellate annue già dal 2003 e rappresentano oltre il 50 per cento di tutte le importazioni in termini di peso, si fonda, infatti, il "metabolismo della società italiana".

Sulla loro evidente tendenza alla crescita, si innestano fluttuazioni cicliche, che tuttavia, prima della attuale crisi, solo in due occasioni hanno avuto segno negativo: il calo nel 2008 è stato dell'1,9 per cento rispetto all'anno precedente e del 2,1 per cento rispetto al massimo storico raggiunto nel 2006. Una diminuzione ben più pronunciata si era registrata nel 1993 (-4,6 per cento), mentre nel 2001 la riduzione era stata dello 0,5 per cento.

La tendenza alla crescita nell'ultimo decennio delle importazioni in termini fisici è ancor più evidente per i minerali non energetici e i prodotti derivati, che però nel 2008 diminuiscono del 6,8 per cento. Non si tratta tuttavia di un episodio unico: nel 1993 e nel 1996 si erano già registrate flessioni più ampie (rispettivamente del 7,3 e del 9,7 per cento), mentre nel 2002 queste importazioni erano scese del 2,4 per cento. Per quanto riguarda le biomasse, all'effetto della crescita economica sulla domanda di importazioni si aggiunge una tendenza di lungo periodo a rimpiazzare la produzione interna con il ricorso al mercato internazionale. Per quanto riguarda il breve periodo, il calo del 2008 è stato uguale a quello dei minerali non energetici (-6,8 per cento); un calo maggiore si era osservato soltanto nel 1992 (-9,3 per cento). Si nota infine una tendenza di lungo periodo alla crescita anche per la piccola componente dei prodotti altamente elaborati, da associare al generale spostamento verso la fine della filiera produttiva di tutte le importazioni italiane. In questo contesto, la caduta del 13,8 per cento del 2008 è particolarmente vistosa.

Lo spostamento delle importazioni verso la fine della filiera produttiva ha come conseguenza l'aumento dei flussi materiali necessari per la produzione all'estero dei prodotti importati. Tali flussi, anch'essi "nascosti" al pari dei materiali inutilizzati, solo di recente sono diventati oggetto di attenzione da parte della statistica ufficiale. Utilizzati "a monte" per produrre i beni importati, essi costituiscono una sorta di "impronta ecologica" delle importazioni, sia in termini di utilizzo di risorse aggiuntivo rispetto alla materia in queste ultime incorporata, sia in termini di rifiuti ed emissioni generati "a monte". L'analisi del fabbisogno complessivo di flussi materiali, sia visibili sia "nascosti", del sistema socioeconomico italiano mette in luce come nell'ultimo decennio la componente ciclica prevalga sulla tendenza strutturale alla crescita dell'indicatore. Questo, per effetto soprattutto delle componenti interne, sembra aver anticipato la crisi attuale, essendo la flessione del 2008 più pronunciata di quanto non sia avvenuto in concomitanza dei precedenti periodi di rallentamento o caduta dell'attività economica. Andrà verificato su più lunghi periodi di osservazione se all'effetto della crisi si sia sommato in Italia quello, auspicabile, di un tendenziale disaccoppiamento tra il livello dei flussi materiali riconducibili alle attività antropiche e quello di tali attività. L'indicatore relativo al consumo di materiale interno, 38 che comprende tutti i materiali dissipati nell'ambiente naturale del territorio nazionale o accumulati alla fine di ciascun anno in stock antropici, mette in risalto alcuni aspetti fondamentali della movimentazione dei flussi materiali legata al metabolismo del sistema socioeconomico italiano, cioè dei materiali emessi nelle acque o dell'atmosfera, oppure che si trovano alla fine dell'anno incorporati in rifiuti deposti nelle discariche o in infrastrutture ed edifici che modificano il territorio o in altri beni durevoli destinati a diventare rifiuti nell'arco di anni o decenni.

fonte: greenreport.it

Super-bio, multi-bio, ciao ciao bio

Attenti alle multinazionali, stanno imparando la lezione. La Coca Cola si mette a fare i frullati di frutta "naturali" proprio come ha cominciato a fare la Barilla con i frullati del "Mulino Bianco". Se il biologico come noi lo intendiamo, non si dà la famosa mossa che auspichiamo da un paio d'anni ormai, il suo spazio sarà occupato dai colossi dell'alimentazione. Che c'è di sorprendente? Non è forse vero che le grandi catene dei supermercati marchiano con i loro nomi una gamma sempre più grande di prodotti bio? Ed avviene da qualche anno. Dunque, siamo ad un passo da un'ulteriore svolta. E per qualche fornitore in grado di certificare biologico a grandi numeri sarà un affare: niente comunque rispetto all'affare che si presenterà davanti alle multinazionali. Hanno i soldi per promuoversi con marchi appropriati, per trovare spazi sugli scaffali di supermercati e negozi, per convincere ancora di più il consumatore che il biologico fa bene e il loro biologico fa ancora meglio. A quel punto, in questo scenario, per chi resta fuori dal "grande gioco" delle multinazionali e della grandi catene resterà la nicchia dei prodotti del commercio equo e solidale - perché dietro hanno una cultura, un sentimento politico - e al biologico che conosciamo noi in Italia, che si conosce in Grecia, in Spagna, in Tunisia, rimarranno briciole, nicchie piccole per produzioni particolari, per specializzazioni rare.

Per avere prospettive più ampie qual è questa mossa che il settore dovrebbe darsi? Non è una novità. Anche alla recente assemblea in provincia di Modena del CCPB e del Consorzio Il Biologico è stato ricordato quel che c'è da fare: una migliore politica di marca, maggior concentrazione dell'offerta, una politica di filiera vera, un'effettiva disponibilità dei fondi pubblici a favore del sistema produttivo.

Circa quest'ultimo punto c'è attesa per le prossime mosse del neo-ministro Galan che in settimana è tornato a ribadire di essere favorevole alla ricerca scientifica nel settore degli OGM affermando però il giorno dopo che "la biodiversità è uno dei valori cui dobbiamo tenere di più, da promuovere tra le giovani generazioni".

fonte: greenplanet.net

Meno imballaggi e più recupero, l'Italia dona nuova vita al legno

Diminuisce il numero degli imballaggi in legno e aumenta la quantità recuperata, che arriva a quota 60% superando il 55,8% registrato nel 2008. I dati, in riferimento al 2009, sono stati resi noti durante il quarto appuntamento Convegno Nazionale del settore alla Fiera di Milano-Rho, promosso da Rilegno (consorzio nazionale per il coordinamento e la promozione, raccolta, recupero e riciclaggio degli imballaggi in legno) e da Conlegno (Consorzio Servizi Legno-Sughero), a cui hanno preso circa 130 esperti del settore.
Nel particolare Rilegno si occupa, attraverso la stipula di convenzioni con enti pubblici e privati presenti sul territorio, di organizzare il recupero del legno per poi procedere al riuso o al riciclo. Gli accordi ormai ammontano a 325 e coprono il territorio con 4713 comuni affiliati per un totale di 41 milioni di abitanti.
Accanto ai derivati del legno scende anche l’impiego degli altri materiali solitamente utilizzati per la realizzazione di imballaggi come acciaio, alluminio, carta, plastica, vetro con percentuali in continua crescita: le stime del Conai rivelano, per l’anno 2009, la gestione di 1 milione e 531.800 tonnellate di rifiuti legnosi in tutta Italia divisi tra imballaggi il cui 52% (ossia 789.000 tonnellate) avviato al recupero, e mobilio. Al prodotto recuperato si deve poi aggiungere un milione e 267.800 tonnellate di rifiuti recuperati da altri consorzi che, se sommate, rappresentano il 60,6% sul totale dei prodotti immessi sul mercato.
Parte degli imballaggi recuperati vengono avviati al recupero meccanico (un milione di tonnellate nel 2009) nelle industrie del riciclo, dove diventano pannelli truciolati, mentre 206mila tonnellate derivano dalla rigenerazione del pellet, 9000 tonnellate vanno al compostaggio e 55.800 sono destinate al recupero energetico.
I dati presentati hanno quindi rilevato un crescente interesse vero il recupero e il riuso dei materiali rispetto al 2008 segnato anche grazie all’aumento della partecipazione di ben 74 comuni solo nello scorso anno e con un aumento della raccolte che segna un +10% al sud, +5% al nord e +1% al centro.

fonte: rinnovabili.it

Via al terzo condono Berlusconi «Un nuovo regalo alle ecomafie»

Nell'ultima versione della manovra c'è ancora quello che viene definito "condono mascherato": la sanatoria per l'emersione delle case-fantasma si estenderà anche a quegli immobili su cui sono state effettuate variazioni e ampliamenti non denunciati al fisco. I titolari degli immobili "oggetto di interventi edilizi che abbiano determinato una variazione di consistenza ovvero di destinazione non dichiarata in Catasto, sono tenuti a procedere alla presentazione, ai fini fiscali, della relativa dichiarazione di aggiornamento catastale", recita il comma 9 dell'articolo dedicata all'aggiornamento del catasto. Anche in questo caso c'è tempo fino al 31 dicembre di quest'anno per mettersi in regola, altrimenti l'Agenzia del Territorio avvierà gli appositi accertamenti di concerto con i Comuni.
Dopo un lungo tira è molla, dunque, la conferma che il pacchetto del governo contiene anche la sanatoria edilizia. Immediata la protesta delle opposizioni e delle associazioni ambientaliste. “Le ecomafie commosse ringraziano – commentano in una nota Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, senatori del Pd – con il condono delle case fantasma potranno essere sanati centinaia di migliaia di abusi edilizi, anche quelli compiuti in aree vincolate e anche quelle che nascono da poderosi interessi speculativi, compreso il business dell’ecomafie”.
Contesta il provvedimento anche Legambiente, che sotolinea come gli ultimi due condoni edilizi abbiano portato nelle casse dello Stato il 50% in meno di quanto previsto, a fronte di un danno enorme e di rischi pesanti per la sicurezza dei cittadini in un paese geologicamente fragile come l’Italia. “A ogni annuncio di sanatoria è seguito un boom di case abusive – spiega il presidente Vittorio Cogliati Dezza – Nel 2003 le nuove abitazioni fuorilegge sono state 40mila, con un incremento della produzione abusiva superiore al 41% tra 2003 e 2001, e nel 1994 furono costruite addirittura 83mila abitazioni. Un prezzo altissimo per il paese. Meglio sarebbe ripristinare l’Ici, il cui importo annuale equivaleva a quanto si prevede di ottenere con questo condono”.

fonte: lanuovaecologia.it

Il salasso del nucleare e la devastazione del petrolio

Il costo delle nuove centrali nucleari è troppo alto. Se si definiscono correttamente i rischi … i numeri semplicemente non tornano”. Un’affermazione che non viene da un analista finanziario. A parlare è J. Wayne Leonard, amministratore delegato di Entergy, il secondo operatore di impianti atomici negli Usa, intervenuto lunedì al Reuters Global Energy Summit. La sua società aveva proposto nel 2008 di realizzare due nuove centrali, ma ha abbandonato il progetto a causa del prezzo esorbitante. E questo malgrado gli incentivi voluti prima da Bush e poi da Obama …
E qualcuno, in malafede, continua a parlare della necessità di costruire nuove centrali nucleari per “abbassare” la bolletta elettrica.

Dal nucleare al petrolio. La BP ha perso in poche settimane l’immagine che il precedente Amministratore Delegato John Browne aveva cercato di accreditare, cambiando il logo della società in “Beyond Petroleum”, lanciando BP Solar, definendo obbiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
Naturalmente l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon sta comportando e comporterà enormi costi, che solo in parte verranno coperti dalla società. Ma il danno di immagine, anche per il modo in cui si sta gestendo l’incidente, è gravissimo.

I dirigenti se ne stanno rendendo conto in ritardo. È dei giorni scorsi la notizia della decisione della multinazionale di destinare mezzo miliardo di dollari per finanziare una ricerca indipendente per valutare gli impatti ambientali della fuoriuscita di petrolio. Sarà interessante vedere in quali altre forme si cercherà di recuperare credibilità. Non sarà per niente semplice, anche perché negli Usa c’erano già stati gravi incidenti nelle raffinerie.

Sarà necessaria una rivisitazione completa delle attività e della strategia della compagnia. Seguiremo, tra l’altro, i prossimi passi sul versante delle fonti rinnovabili. Negli ultimi due anni BP aveva chiuso o ridimensionato impianti negli Stati Uniti, in Spagna e in Australia, perdendo il ruolo che aveva conquistato di una delle società leader del fotovoltaico.

Ci aspettiamo una forte ripresa di investimenti in questo settore. Ma il futuro delle compagnie petrolifere si presenta sempre più difficile. Con l’avvicinarsi del peak oil aumenta la quota del petrolio non convenzionale prodotto con elevatissimi impatti ambientali e il greggio convenzionale si deve già cercare in aree sempre più problematiche.

fonte: qualenergia.it

SOPPRESSI INAIL,ISPESL E IPSEMA, ARRIVA "POLO SICUREZZA"

Nasce il "Polo della salute e della sicurezza". Lo prevede la manovra economica varata questa sera dal Consiglio dei ministri. Secondo quanto spiegato da fonti ministeriali, si prevede la nascita di un Polo integrato per la salute e la sicurezza nel lavoro, derivante dall'accorpamento di tre enti: Inail (10.848 unità di personale), Ispesl (circa 1200 unità di personale di cui circa 750 ricercatori) e Ipsema (230 unità di personale).

Da un punto di vista organizzativo, l'istituzione di un Ente unico per la salute e la sicurezza nel lavoro, con natura di ente pubblico non economico, con conseguente soppressione degli istituti che in essa confluiscono, si giustifica con l'esigenza di concentrare presso un unico soggetto tutti i compiti relativi alla sicurezza nel lavoro, o per certi versi intimamente connessi, anche in considerazione del fatto che Inail, Ispesl e Ipsema, oltre ad erogare le prestazioni di propria competenza, già esercitano le proprie attività, anche di consulenza, in materia di salute e sicurezza sul lavoro in una logica di sistema con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della Salute, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

fonte: ambiente.it

2010, un'annata da record i primi 4 mesi mai così caldi

A NOI italiani sembrerà strano e quasi impossibile, ma a livello planetario il primo quadrimestre del 2010 risulta essere il più caldo da quando si raccolgono dati della temperatura terrestre in modo scientifico, ossia dal 1880 a questa parte. Lo affermano le rilevazione del National Climatic Data Center del Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration). I dati tengono conto delle temperature degli oceani e della terraferma raccolti su tutto il pianeta.

Durante il solo mese di aprile, a livello globale, la temperatura terrestre ha segnato una media di 14,5°C che risulta essere di 0,76°C superiore al periodo considerato. Per l'intero quadrimestre (gennaio-aprile 2010), invece, la temperatura è risultata di 0,69°C superiore al valore medio.

Le aree del pianeta che sono risultate essere particolarmente calde sono quelle del Canada, dell'Alaska, degli Stati Uniti orientali, dell'Australia, dell'Asia meridionale, del nord Africa e del nord della Russia. E' vero comunque che ci sono state anche delle aree che hanno segnato un andamento opposto, come l'Argentina, la Russia orientale la Cina e la Mongolia, dove la temperatura è risultata inferiore alle medie, anche se di poco.

Secondo il Noaa, ad avere un quadrimestre così caldo ha contribuito notevolmente El Nino (la corrente calda che ad intervalli non regolari di anni riscalda una gran parte dell'Oceano Pacifico), che solo ad aprile ha iniziato ad affievolirsi. El Nino aveva contribuito notevolmente a riscaldare l'atmosfera del pianeta anche nel 1997-98, quando poi si registrò l'anno più caldo di sempre, il 1998 appunto.

Ma non è solo l'atmosfera a mostrare record assoluti. Anche dal pianeta dei ghiacci polari la situazione conferma il riscaldamento globale. Se verso gennaio e febbraio infatti, i ghiacci si erano avvicinati per estensione a quelli della media del ventennio che va dal 1970 al 1990, durante il mese di aprile il loro sviluppo è ripiombato ben al di sotto del valore medio. E questo è l'undicesimo anno consecutivo di una simile situazione, anche se l'estensione è ancora notevole essendo seconda solo al 2001.

Mark Serreze del NSIDC (National Snow and Ice Data Center) degli Stati Uniti ha così commentato questa situazione: "L'estensione dei ghiacci al Polo Nord ha raggiunto valori notevoli durante l'inverno solo perché vi sono stati venti molto forti ed estremamente freddi. Ma se si misura lo spessore di tali ghiacci si scopre che essi sono molto sottili, meno di 2 m, e dunque, se l'estate sarà calda, scompariranno molto velocemente".

Cosa aspettarsi per i prossimi mesi? Secondo la Nasa il 2010 potrebbe essere l'anno più caldo di sempre e dunque l'estate prossima potrebbe ricordare molto da vicino quelle del 1998, del 2003 e del 2005.

fonte: repubblica.it

Trote e tinche a rischio così muoiono i nostri fiumi

Una festa triste quella che si celebra in onore della biodiversità, cioè di quella grande ricchezza di forme di vita che la specie umana sta massacrando, spesso senza accorgersene. A livello globale due ecosistemi su tre sono in declino. In Italia non va meglio. È a rischio estinzione il 66 per cento degli uccelli, il 64 per cento dei mammiferi e per i pesci di acqua dolce si arriva a un picco dell'88 per cento. Perché un calo così rapido? Per capirlo il Wwf ha preparato un rapporto che analizza lo stato di salute di 29 fiumi.

Due le risposte che emergono dallo studio. La prima è che la grande riforma del 1989, la creazione delle autorità di bacino invocata per anni da Antonio Cederna, è stata sacrificata in nome del federalismo: la burocrazia delle Regioni ha riacciuffato quello che era stato strappato alla burocrazia dello Stato. La gestione a misura di territorio è stata in buona parte soppiantata dalla gestione in nome di confini formali. La seconda risposta è una diretta conseguenza della prima. Indebolito il controllore, si indeboliscono i controllati.

Qualche esempio. Sul Loreto, in Sicilia, le briglie in cemento continuano a crescere moltiplicando la velocità di scorrimento delle acque, diminuendo la depurazione, indebolendo l'alimentazione delle falde idriche. Sull'Agri, in Basilicata, sono stati contati 74 sbarramenti e 26 depositi di rifiuti. Sull'Adda 15 cave. Sul Piave 12 cantieri di lavorazione della ghiaia in 33 ettari. Sul Volturno sono stati trovati cumuli di eternit, cioè di materiali che contengono amianto (noto cancerogeno).

Nel delta del Po i pesci siluri e gli altri oriundi spinti verso Nord dal cambiamento climatico hanno fatto fuori il 95 per cento dei pesci autoctoni. Nella lista rossa delle specie minacciate sono finiti quasi tutti i pesci di acqua dolce. Su 48 specie solo il cavedano è fuori pericolo. Storione, trota macrostigma, trota marmorata e ghiozzo di ruscello sono quasi spariti; anguilla e tinca sono a rischio in molti fiumi.

«Ma ci sono anche aree che vanno in controtendenza», aggiunge Andrea Agapito, responsabile acque del Wwf. «Sul Tagliamento è stato bloccato un progetto che prevedeva l'aumento delle casse artificiali di contenimento delle acque. Sul Po, in provincia di Alessandria e di Mantova, si cominciano a fare i primi passi in direzione della rinaturalizzazione, cioè di un ripristino delle difese naturali del fiume costituite dagli alberi e dalle zone di espansione naturale durante le piene».

«La situazione italiana è difficile, anche se partiamo da un patrimonio eccezionale, il più ricco d'Europa», osserva il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo. «Ora dobbiamo cambiare passo. Per la difesa della biodiversità serve una regia unica, bisogna coinvolgere tutte le competenze e porre il tema come elemento centrale nelle strategie del Paese».

fonte: repubblica.it

Obama, mai più rischi "Trivellazioni solo sicure"

Nuove trivellazioni per la ricerca di petrolio in mare in futuro dovranno essere permesse solo se sarà garantito che non potranno provocare disastri ambientali. Lo ha affermato il presidente americano Barack Obama nel suo discorso settimanale via radio e internet. Parole che risuonano nella nazione mentre il greggio continua a fuoriuscire dalle falle sottomarine apertesi a fine aprile per l'affondamento di una piattaforma 1 della British Petroleum nel golfo del Messico.

"Se le leggi che abbiamo non sono adeguate, o se non le abbiamo attuate, io lo voglio sapere - ha detto Obama -. Voglio sapere cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato nella nostra risposta al disastro", ha aggiunto il presidente, sottolineando la necessità di fare "molto di più per proteggere la salute e l'incolumità della nostra gente, salvaguardare la qualità della nostra aria e dell'acqua" e verificare "come operano le industrie petrolifera e del gas e come ne regoliamo" le attività.

Obama ha quindi ufficializzato la nascita della commissione che dovrà far luce sul disastro ambientale nel Golfo del Messico. Lo scopo dell'organismo bipartisan è "di analizzare le cause all'origine del disastro e di offrire opzioni sul tipo di misure a tutela della sicurezza e dell'ambiente che dobbiamo adottare per evitare il ripetersi di un simile disastro".

Come anticipato da Cnn, la commissione è presieduta dal senatore democratico Bob Graham, ex governatore della Florida, e dal repubblicano William Reilly (nella foto), ex numero uno dell'Environmental Protection Agency (Epa, l'equivalente del nostro ministero dell'ambiente). Scelti a Obama per la loro "grande esperienza" e "capacità di giudizio". "Nei giorni a venire nominerò per la commissione altri cinque americani, tra scienziati, ingegneri e attivisti del settore dell'ambiente - ha aggiunto Obama -. E li incaricherò di riferire tra sei mesi fornendo raccomandazioni su come prevenire e mitigare l'impatto di eventuali perdite di petrolio causate da prospezioni in mare". La commissione - è una delle ipotesi fatte da Cnn - potebbe arrivare alla messa al bando della Bp, col conseguente allontanamento della compagnia da tutti i giacimenti petroliferi federali Usa.

Dopo il fallimento delle cupole in acciaio 2, la multinazionale inglese del petrolio tenterà di tappare le falle con un tappo di cemento la prossima settimana, in ulteriore ritardo rispetto alle previsioni. Nella migliore delle ipotesi, l'operazione comincerà martedi. E saranno giorni in cui la Bp dovrà continuare a rispondere 3 alle tante accuse che le vengono mosse, dalla mancata trasparenza nelle operazioni di recupero al conflitto di interesse generato dal fatto che alcuni laboratori di analisi sono legati alle compagnie petrolifere.

fonte: repubblica.it

Marea nera, la Bp avvia l'operazione "Top kill" per tappare la falla

Via libera dalla Guardia costiera americana alla British Petroleum per avviare il cosiddetto 'top kill' (l'immissione di liquido denso e di cemento) per bloccare la fuoriuscita di greggio dal pozzo petrolifero danneggiato nel Golfo del Messico. Il contrammiraglio Mary Landry, comandante di tutte le operazioni nel Golfo del Messico, ha dato «l'autorizzazione finale necessaria per iniziare la procedura». Il segretario all'Interno Ken Salazar ha annunciato che le operazioni sono iniziate: non è chiaro quanto dureranno, se diverse ore o più giorni. Secondo gli esperti della Bp, il tentativo ha il 60-70% di speranze di farcela. In caso contrario, se la valvola fosse danneggiata (un fatto che non si può escludere vista la pressione), la marea nera potrebbe essere peggiore di prima. Lo stesso presidente americano, Barack Obama, ha affermato che non ci sono garanzie che il tentativo funzioni.

MAREA NERA - La situazione continua insomma a impensierire la Casa Bianca. Tanto che lo stesso Obama si sarebbe espresso in privato con un duro «tappate quel maledetto buco». Il leader Usa venerdì effettuerà la sua seconda visita in Louisiana per valutare nuovamente i danni del disastro.

PIATTAFORMA - Nel frattempo la Bp ha fatto trapelare alla commissione di indagine del Congresso americano la notizia che, a partire da 51 minuti prima dell'incidente che ha provocato anche undici morti, c'erano state tre segnalazioni di allarme. I tre segnali riguardavano una pressione abnorme (98 kg per centimetro quadro) a fondo pozzo. Ma anche nelle ore precedenti all'esplosione si erano verificati alcuni problemi (perdite di liquido) in una valvola che doveva impedire l'eruzione del greggio fuori dal pozzo.

TRIVELLAZIONI - Secondo alcuni documenti di cui è venuto in possesso il Washington Post, l'agenzia federale che regola e controlla le trivellazioni off-shore negli Stati Uniti ignorò a più riprese gli avvertimenti sui rischi ambientali nel Golfo del Messico lanciati dai consulenti scientifici del governo Usa. Funzionari del Minerals Management Service (Mms) avrebbero aggirato alcune procedure e falsificato documentazioni pur di rispettare le scadenze federali per la concessione delle licenze e riscuotere gli incentivi, sia sotto l'amministrazione Bush che quella Obama. Furono allentati i criteri per la concessione delle licenze previsti dalla legislazione americana a tutela dell'ambiente marino. Per le trivellazioni nel Golfo del Messico e in Alaska, l'Mms chiese di non essere troppo scrupolosi nelle ispezioni per non far slittare il via libera e a nulla valsero le obiezioni sollevate da altre agenzie federali.

ALASKA - Ma per la British Petroleum i guai non finiscono qui. Dopo l'affondamento della piattaforma Deepwater Horizon e la conseguente marea nera di petrolio nel Golfo del Messico, un oleodotto in Alaska è stato chiuso in seguito a una perdita di greggio dovuta ad alcuni inconvenienti tecnici. La decisione è stata presa dopo che migliaia di barili di petrolio si sono riversati in un contenitore di emergenza durante un test dei comandi anti-incendio alla stazione di pompaggio numero 9, situata a circa 160 chilometri a sud di Fairbanks.

fonte: corriere.it

sabato 22 maggio 2010

Come ti 'socializzo' i danni da petrolio e da nucleare

Il petrolio come il nucleare: se le rispettive industrie dovessero essere tenute a rispondere degli eventuali danni provocati non potrebbero esistere in un mercato liberalizzato. Ecco che, come capita nel nostro sistema economico di stampo liberista, ma solo a metà, si socializzano costi ambientali e perdite economiche, mentre i profitti restano privati. Nasce dal disastro della piattaforma BP nel Golfo del Messico una riflessione sull’economia delle fonti sporche che questa settimana vediamo sviluppata da diversi editorialisti di matrice ambientalista.

Al momento, come sappiamo, per i danni enormi provocati dal greggio che continua a fuoriuscire e che ha raggiunto le coste della Louisiana, BP sarà tenuta a pagare solo 75 milioni di dollari, il tetto massimo di risarcimento per le compagnie petrolifere per la legge Usa. “Una cifra che secondo ogni calcolo coprirebbe a stento i danni causati nella sola prima ora dalla perdita”, commenta Harvey Wasserman su The Huffington Post.
I tentativi in questi giorni di innalzare il risarcimento massimo a carico dei petrolieri, portandolo a 10 miliardi di dollari, d’altra parte, sono stati bloccati da senatori repubblicani al soldo delle compagnie (Lisa Murkowski (R-Alaska) finanziata dall’industria del petrolio e del gas per 225 ila dollari negli ultimi 5 anni e James Inhofe (R-Oklahoma), pagato 564mila dollari.

L’argomento principale contro l’innalzamento dei risarcimenti è che questo avrebbe spinto le compagnie più piccole fuori dal mercato delle trivellazioni off-shore. “Ma se non possono permettersi di assicurarsi contro un danno che possono provocare, perché dovrebbe essere permesso loro di trivellare?”, si chiede David Roberts su Grist.org. L’opposizione all’innalzamento a 10 miliardi del tetto, anch'essa una cifra insufficiente a risarcire dei danni che si stanno verificando in Louisiana – continua - fa capire che neanche i grandi come BP sarebbero in grado di pagare per i disastri che possono provocare.

Il rischio potenziale nelle trivellazioni off-shore è infatti così grande che nessuna compagnia privata potrebbe assumerselo. Allora ecco che arrivano in soccorso i soldi dei contribuenti, come si verificherà per quelli americani a causa della marea nera del Golfo del Messico.
Altra industria che non potrebbe sopravvivere senza socializzare i possibili rischi è quella nucleare. In India per far costruire nuove centrali si sta spingendo per una legge che deresponsabilizza i costruttori e fissa un risarcimento massimo di 450 milioni di dollari (Qualenergia.it, Il nucleare? Una catastrofe economica); negli Usa la cifra massima che le aziende devono pagare in caso incidente è di 11 miliardi di dollari. Non occorre dilungarsi per capire che si parla di somme irrisorie rispetto ai possibili danni di un incidente nucleare: Chernobyl, secondo lo studio pubblicato a dicembre scorso dalla New York Academy of Sciences, ha fatto 985mila morti (ma da qui al 2056 dovremmo attendercene altri centinaia di migliaia, per la sola Italia la stima è di circa tremila) e solo in Bielorussia e in Ucraina si sono avuti danni per 500 miliardi di dollari.

Un’industria con rischi tali evidentemente non può farsene carico da sola come dovrebbe avvenire in una situazione di libero mercato, e così governi e industria si accordano per scaricare i rischi sul pubblico. “C’è un nome per i sistemi politici in cui governo e industria si accordano per far guadagnare i detentori del capitale a spese del pubblico: corporativismo”, denuncia Roberts su Grist.org. E continua citando Amory Lovins e la sua visione di un sistema basato su fonti rinnovabili e generazione distribuita come opposto ad uno, quello che ha per protagonisti fossili e nucleare, costruito su di una visione gigantistica e centralistica della produzione di energia.

“Il rischio di perdite (di petrolio, ndr) catastrofiche non può essere eliminato, e non può essere sostenuto tramite polizze assicurative dell’industria privata. È parte integrante del modello che sia il pubblico a farsi carico dei rischi. Un sistema basato sulle rinnovabili, al contrario, è esente da tali rischi. È più garantito a fronte di imprevisti mentre rischi e ricompense sono interamente a carico degli attori privati in un mercato competitivo. In ultima analisi è più democratico: non distribuisce solo la produzione di energia, distribuisce anche il potere socio-economico.”
Ma, conclude “anche se (il modello basato su rinnovabili e generazione distribuita, ndr) porta più benefici alla società, il gigantismo è più prezioso per le élites politiche ed economiche. Concentra il potere energetico nelle loro mani”. Niente di nuovo sotto il sole, ma è sempre bene ricordarlo.

fonte: qualenergia.it

STRESS DA LAVOPRO; UN TEST PER TUTTI

In piena estate (il 1° agosto per l'esattezza) diverrà operativo l'obbligo di valutare i rischi da stress lavoro-correlato. I datori di lavoro devono prepararsi, per tempo, alla scadenza. La novità, dimenticata da molti, presenta una complessità che sta "sfuggendo" alla maggior parte dei soggetti interessati. Lo stress lavorativo s'inserisce nel quadro del decreto sulla sicurezza, testo che, ponendo una nozione di salute lavorativa comprensiva del benessere sociale sul lavoro evidenzia, implicitamente, l'importanza giuridica di una particolare attenzione datoriale rispetto a quel tipo di stress. L'articolo 28 comma 2 del Testo unico (Dlgs n. 81/2008) cita, espressamente, lo "stress lavoro-correlato", imponendo una specifica valutazione di rischi. Un primo problema in materia è che la disposizione non dà, però, ulteriori informazioni. La norma, piuttosto, rinvia, per i "contenuti»" a uno specifico accordo europeo del 2004, firmato da varie associazioni europee di datori e di organizzazioni sindacali di lavoratori, testo, che data la sua natura, individua un quadro d'intenti, ma non dà, ai singoli datori, esaustive indicazioni di ordine tecnico.

Il documento, comunque, segnala che lo stress lavoro-correlato è "una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale" e che esso è "conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro". Non si tratta, però, di una vera e propria nozione, che sarebbe stata, invece, utile per costruire l'"impalcatura" valutativa. Su questa tipologia di stress, tuttavia, la "Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro", prevista all'articolo 6 del Dlgs n. 81 dovrebbe fornire, secondo quanto previsto dal comma 1- bis dell'articolo 28, delle indicazioni. Ulteriore problema in materia è che esse, al momento, mancano. Per avere elementi utili, nel frattempo, datori e loro staff, pertanto, devono fare affidamento solo su guide e su altri documenti elaborati da vari soggetti pubblici e privati.

In questa situazione d'incertezza qualche punto fermo giuridico è, comunque, individuabile. Innanzitutto, l'obbligo in esame fa parte del più generale obbligo di valutazione di "tutti i rischi" di cui all'articolo 28 del Dlgs n. 81/2008 e, perciò, richiede di procedere all'elaborazione di un documento secondo i canoni di contenuto individuati dal comma 2 di quell'articolo. Così, per realizzare, compiutamente, il proprio «dover fare» il datore dovrà provvedere a integrare il documento valutativo (di cui agli articoli 17 e 28, comma 1, del Dlgs n. 81/2008), già predisposto o a produrre un ulteriore documento aggiuntivo sullo stress lavoro correlato, ma avente le stesse caratteristiche dell'altro più generale.

In ogni caso, il documento relativo allo stress lavorativo dovrà contenere, sulla base del comma 2 dell'articolo 28:
- il programma delle misure di miglioramento della condizione individuale rispetto allo stress;
- i ruoli dell'organizzazione aziendale che debbono provvedere;
- l'individuazione delle procedure organizzative per l'attuazione delle misure da realizzare.
È da ritenere, peraltro, che i datori che impiegano fino a 10 lavoratori potranno utilizzare, (dal 1° agosto 2010) fino al 30 giugno 2012, l'autocertificazione sulla valutazione, fruendo, anche in ordine alla valutazione qui in esame e con opportuna integrazione, della modalità generale prevista dall'articolo 29 comma 5 del Dlgs n. 81/2008, In una fase in cui in cui molte aziende sono in crisi, l'obbligo di valutare lo stress può apparire, a taluni, fuori luogo. È da ritenere, ragionevolmente, che non sia così. La valutazione, infatti, non presenta un costo significativo, ma richiede piuttosto di mobilitare competenze spesso presenti in azienda e, al massimo, di integrarle con un esborso molto limitato. Inoltre, migliorare i "fondamentali" della propria azienda, cioè, in questo caso, la condizione individuale e sociale degli uomini e delle donne che lavorano in essa, rappresenta a ben vedere, per ogni datore lungimirante, un valido investimento.

fonte: ambiente.it

Trote e tinche a rischio così muionono i nostri fiumi

Una festa triste quella che si celebra oggi in onore della biodiversità, cioè di quella grande ricchezza di forme di vita che la specie umana sta massacrando, spesso senza accorgersene. A livello globale due ecosistemi su tre sono in declino. In Italia non va meglio. È a rischio estinzione il 66 per cento degli uccelli, il 64 per cento dei mammiferi e per i pesci di acqua dolce si arriva a un picco dell'88 per cento. Perché un calo così rapido? Per capirlo il Wwf ha preparato un rapporto che analizza lo stato di salute di 29 fiumi.

Due le risposte che emergono dallo studio. La prima è che la grande riforma del 1989, la creazione delle autorità di bacino invocata per anni da Antonio Cederna, è stata sacrificata in nome del federalismo: la burocrazia delle Regioni ha riacciuffato quello che era stato strappato alla burocrazia dello Stato. La gestione a misura di territorio è stata in buona parte soppiantata dalla gestione in nome di confini formali. La seconda risposta è una diretta conseguenza della prima. Indebolito il controllore, si indeboliscono i controllati.

Qualche esempio. Sul Loreto, in Sicilia, le briglie in cemento continuano a crescere moltiplicando la velocità di scorrimento delle acque, diminuendo la depurazione, indebolendo l'alimentazione delle falde idriche. Sull'Agri, in Basilicata, sono stati contati 74 sbarramenti e 26 depositi di rifiuti. Sull'Adda 15 cave. Sul Piave 12 cantieri di lavorazione della ghiaia in 33 ettari. Sul Volturno sono stati trovati cumuli di eternit, cioè di materiali che contengono amianto (noto cancerogeno).

Nel delta del Po i pesci siluri e gli altri oriundi spinti verso Nord dal cambiamento climatico hanno fatto fuori il 95 per cento dei pesci autoctoni. Nella lista rossa delle specie minacciate sono finiti quasi tutti i pesci di acqua dolce. Su 48 specie solo il cavedano è fuori pericolo. Storione, trota macrostigma, trota marmorata e ghiozzo di ruscello sono quasi spariti; anguilla e tinca sono a rischio in molti fiumi.

«Ma ci sono anche aree che vanno in controtendenza», aggiunge Andrea Agapito, responsabile acque del Wwf. «Sul Tagliamento è stato bloccato un progetto che prevedeva l'aumento delle casse artificiali di contenimento delle acque. Sul Po, in provincia di Alessandria e di Mantova, si cominciano a fare i primi passi in direzione della rinaturalizzazione, cioè di un ripristino delle difese naturali del fiume costituite dagli alberi e dalle zone di espansione naturale durante le piene».

«La situazione italiana è difficile, anche se partiamo da un patrimonio eccezionale, il più ricco d'Europa», osserva il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo. «Ora dobbiamo cambiare passo. Per la difesa della biodiversità serve una regia unica, bisogna coinvolgere tutte le competenze e porre il tema come elemento centrale nelle strategie del Paese»

fonte: repubblica.it
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Passatempo Preistorico

Moonstone Madness

Pronti a partire, pronti per distruggere tutto? Bene, allora fate un salto indietro nell'era preistorica e immergetevi in questa nuova avventura dal gusto tribale. A bordo del vostro cinghiale dovrete raccogliere le gemme preziose necessarie per passare alle missioni successive, saltando gli ostacoli se non volete perdere il vostro bottino e distruggendo i totem a testate per conquistare altre gemme utili. Inoltre, una magica piuma vi catapulterà verso il cielo dove punti e gemme preziose sono presenti in gran quantità, per cui approfittatene! cercate di completare la missione entro il tempo limite, utilizzando le FRECCE direzionali per muovervi, abbassarvi e saltare, e la SPACEBAR per prendere a testate i totem.

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Blog Action Day 2009

24 October 2009 INTERNATIONAL DAY OF CLIMATE ACTION

Parco Sempione - Ecopass 2008

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