mercoledì 30 dicembre 2009

Noaa: ecco il rapporto annuale (provvisorio) sul clima del 2009

E' ormai dal 1998 che ogni anno la National oceanic and atmospheric administration (Noaa), dipendente dal segretariato al Commercio statunitense, pubblica il rapporto "State of the climate". Per il 2009, è ancora disponibile la versione provvisoria, aggiornata con i dati di ottobre, e a cui mancano quindi le valutazioni riferite ai mesi di novembre e dicembre: la versione definitiva sarà resa disponibile a metà gennaio.

Per ora, comunque, è utile riportare quanto la Noaa afferma nella sua analisi del clima dell'anno che va a terminare: alcuni dati sono già noti anche perché l'istituto di analisi americano, insieme al database della Nasa e quello dell'Hadley center inglese, fornisce alla World meteorological organization (Wmo) le sue analisi di temperatura, che vengono poi interpolate e fuse in un'unica valutazione sul clima dell'anno passato, valutazione che ha avuto ampia eco nei giorni di Copenhagen.

Comunque sia, è da ribadire che secondo la Noaa il 2009 è stato, fino ad ottobre, il quinto anno più caldo dal 1850, con una temperatura media superficiale superiore di 0,56° C alla media climatologica. A questo proposito ricordiamo che, mentre per vari istituti la temperatura media terrestre sarebbe di 14° esatti, per la Noaa essa è invece di 13,9°, quindi un decimo di grado inferiore. Ciò fa sì che un'anomalia che per la Noaa ammonta a 0,56° corrisponde, per altri centri di ricerca, ad un'anomalia (ad esempio secondo la Wmo, nel suo rapporto in cui unisce dati Noaa, Nasa e Hadley-Cru) di 0,46° rispetto alla media: ed ecco come è possibile che invece, per la Wmo, l'anomalia aggiornata ad ottobre sia stata di 0,44° ± 0,11° C.

Comunque sia, la Noaa stima che l'anno che va a terminare si piazzerà al «quarto, quinto o sesto posto» nella triste classifica degli anni più caldi dall'inizio delle misurazioni considerate attendibili (1880), ma poi si spinge a stimare, come più probabile anomalia a fine anno, la stessa di 0,56° che attualmente caratterizza il 2009 non ancora analizzato in toto. Il decennio 2000-2009 viene giudicato (come già sapevamo, per il motivo sopra citato) come «il più caldo dall'inizio delle registrazioni, con una temperatura media superficiale superiore di 0,54° alla media del 20° secolo, e che supera agilmente l'anomalia degli anni '90, che era stata di 0,36° C».

Il 2009, quinto anno più caldo, seguirà quindi quel 2008 che è stato (con un'anomalia di 0,48° C) sì il decimo più caldo dall'inizio delle misurazioni, ma anche uno dei (relativamente) più freschi degli ultimi 10 anni. Secondo la Noaa, questa discontinuità è da associarsi prevalentemente a quanto avvenuto nelle acque superficiali del medio oceano Pacifico nel giugno scorso, allorché la fresca fase di Niña (e le sue influenze raffreddanti su varie parti del sistema atmosferico) si è trasformata in una moderata fase di Niño, che ha notoriamente l'effetto opposto.

Peraltro, il previsto perdurare del Niño è alla base della valutazione sull'ipotetico clima del 2010 che è stata prodotta dall'Hadley center inglese, valutazione secondo la quale il 2010 è destinato a diventare l'anno più caldo dall'inizio delle misurazioni. Ma questo è un altro discorso, e certo ha una "scientificità" diversa il parlare di ciò che è successo in via oggettiva e il prevedere cosa avverrà in via ipotetica.

Su scala regionale, l'anomalia di temperatura del 2009 si è "diffusa" un po' in tutto il globo, con poche eccezioni: secondo la Noaa, le anomalie calde più importanti «si sono verificate nelle regioni alle alte latitudini dell'emisfero boreale, incluse gran parte dell'Europa e dell'Asia, ma anche in Messico, Africa e Australia. Condizioni più fresche della media si sono verificate negli oceani meridionali, in parti del Pacifico nord-orientale, e in una regione a cavallo tra Canada meridionale e Stati uniti settentrionali»: ed è stata questa l'unica zona situata sulle terre emerse dove quest'anno si sia avuta una (moderata) anomalia verso il freddo.

Nell'immagine sono riportati tutti gli eventi meteo significativi, e quelli "estremi" propriamente intesi, che hanno caratterizzato l'annata che sta terminando, non solo in termini di estremi (caldi e freddi) di temperatura che si sono avuti, ma anche in termini di conseguenze sul territorio di eventi piovosi, come ad esempio le frane avvenute ad ottobre nel messinese causate anche da apporti precipitativi molto alti e concentrati, e che sono l'unico "evento estremo" riportato dalla Noaa per l'Italia nel 2009.

Riguardo alla dinamica generale delle precipitazioni, comunque, la Noaa riporta che (sempre in riferimento al periodo gennaio-ottobre) esse sono state intorno alla media climatologica 1961-1990, e anche la loro distribuzione sul pianeta ha visto un certo equilibrio tra zone più umide della media, e zone più secche. Da riportare, anche alla luce delle proiezioni sulle possibili evoluzioni del clima (e quindi della società) futuro, è la inusitata debolezza che quest'anno ha caratterizzato il Monsone indiano: la quantità di pioggia caduta è stata il 77% della quantità media della stagione monsonica, e questo è «il valore più basso dell'ultimo decennio». Anomalia significativa, ma in direzione inversa e cioè verso piogge parecchio sopra la media, ha visto invece investire le vicine isole Filippine, piogge che sono «prevalentemente dovute agli effetti dei tifoni del 2009».

Riguardo ai tifoni/uragani stessi, comunque (vedi immagine) l'attività stagionale è stata giudicata «sotto la media» o «intorno alla media» in tutti i bacini oceanici, mentre in nessuna zona è stata registrata un'attività superiore alla media di questi eventi estremi. Ciò non toglie che, come detto, a livello locale questa tendenza globale si è esplicata in modo molto diverso: nelle Filippine, appunto, il tifone Ketsana (26 settembre) ha sommerso l'80% della capitale Manila, con un'inondazione giudicata «la peggiore degli ultimi 40 anni» e apporti pluviometrici cha hanno superato ogni record precedentemente registrato in zona.

Infine, riguardo alla dinamica dei ghiacci marini polari artici, il valore di estensione minimo di quest'anno è stato di 5,4 milioni di kmq, cioè il 23% inferiore alla media 1979-2000. Si tratta della terza minore estensione annuale, dopo il 2007 e il 2008, dall'inizio delle misure satellitari (1979). Al di là delle oscillazioni annuali, comunque, assume valore ben più significativo il fatto che quella del 2009 è stata «la 13° annata consecutiva con un'estensione di ghiaccio marino sotto la media, e gli ultimi 5 anni hanno visto le minori estensioni della banchisa mai misurate».

Riguardo all'Antartide, prosegue invece il moderato trend al rialzo del ghiaccio marino, che comunque come noto non trova corrispondenza nella quantità di ghiaccio totale contenuto all'interno del continente antartico, che è invece stimata da varie ricerche compiute in via di riduzione. E va ricordato anche che recenti scoperte sembrano attribuire quella che è stata definita "l'anomalia antartica", oltre che a già note caratteristiche territoriali del continente, ad una mutazione del regime dei venti intorno ad esso, data dal persistere del "buco" nel sovrastante strato di ozono atmosferico. Ma questo è un altro discorso: ci limitiamo qui a riportare che, secondo la Noaa, il ghiaccio marino dell'emisfero meridionale ha avuto un'estensione nel corso del 2009 che in alcuni mesi (es. in aprile, quando tipicamente il ghiaccio marino australe è ai minimi) è stata giudicata come «la seconda più ampia dall'inizio delle misurazioni».

fonte: greenreport.it

INQUINANTI UE, UN REGISTRO TUTTO NUOVO

Per l'inquinamento nuove regole secondo quanto stabilito nel 2009 dalla Commissione europea e dall'Agenzia europea dell'ambiente sulla base di un nuovo registro integrato delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR). L'E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register) è la versione aggiornata del PRTR, il registro istituito dal regolamento 166/2006/Ce che ha sostituito il precedente EPER del 2000 allargandone il campo di indagine: i dati sono ora relativi a 91 sostanze (contro 50) e ad oltre 24mila stabilimenti (contro 12mila) operanti in 65 settori economici (contro 56). Il registro contiene informazioni sulle emissioni di sostanze inquinanti nell'aria, nell'acqua e nel suolo rilasciate da complessi industriali in tutta Europa. Vi si trovano anche altre informazioni, come la quantita' e il tipo di rifiuti trasferiti negli impianti preposti al loro trattamento, sia all'interno che al di fuori di ciascun paese. L'istituzione del registro permettera' ai cittadini europei di accedere direttamente alle informazioni sulle emissioni rilasciate dai complessi industriali in tutta Europa e li aiuterà a partecipare in prima persona alle decisioni che si ripercuotono sull'ambiente. E' quindi un segno della volontà delle autorità pubbliche e del settore industriale di divulgare le informazioni ai cittadini rispettando tra l'altro il mandato della convenzione di Århus. Le informazioni del registro, che riguardano le sostanze inquinanti rilasciate nell'aria, nell'acqua e nel suolo dai singoli impianti nel 2007, coprono il 30% delle emissioni totali di ossidi di azoto (NO x), ovvero la maggior parte delle emissioni provenienti da tutte le fonti tranne i mezzi di trasporto, e il 76% delle emissioni totali di ossidi di zolfo (SO x) rilasciate nell'aria nei 27 paesi dell'Ue e in Norvegia. Il registro informa anche sulla quantita' di acque reflue e rifiuti trasferiti, compresi i trasferimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi, e fornisce i primi dati sulle sostanze inquinanti rilasciate nell'acqua da fonti diffuse, come le perdite di azoto e fosforo in agricoltura. Il sito web ha un potente motore di ricerca che consente ai visitatori di impostarlo in base ad uno o piu' criteri e di avvalersi di una carta geografica. E' possibile, ad esempio, ricercare la quantità di rifiuti pericolosi e non pericolosi trasferiti in un dato paese (ricerca in base ai rifiuti), oppure le emissioni rilasciate da un determinato sito industriale, interrogando il registro in base al nome o alla località (ricerca per impianto). Nel 2003 le parti della convenzione di Arhus hanno adottato il protocollo sui registri delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (PRTR), entrato in vigore l'8 ottobre 2009. La Comunità europea l'ha sottoscritto ed ha adottato il regolamento (CE) n. 166/2006 per la sua attuazione. Il regolamento definisce i livelli minimi di attività e di inquinamento oltre i quali i complessi industriali devono fornire informazioni e su questo aspetto è più rigoroso del protocollo PRTR, in quanto prescrive agli Stati membri di trasmettere dati su cinque ulteriori sostanze inquinanti e impone obblighi di comunicazione più stringenti per altre sei. A partire dal 2010 i dati contenuti nel registro saranno aggiornati ogni anno in aprile. Oltre ai dati dei 27 Stati membri dell'Unione europea, vi figurano quelli dell'Islanda, del Liechtenstein e della Norvegia

fonte: ambiente.it

Francia: prove simulate per la tassa sulla CO2

Entrerà in vigore sul tutto il territorio francese dal 1° gennaio 2010: parliamo della carbon tax, l’accisa che sarà applicata su petrolio, gas e carbone con un prezzo di 17 euro per tonnellata di CO2 eq. emessa; le famiglie andranno in contro ad un aumento nel prezzo di un litro di carburante di 4,5 centesimi al litro di benzina 4 centesimi e di 0,4 centesimi per kilowatt di gas escludendo l’energia elettrica.
Per cercare rendere le cose più semplici e permettere ai cittadini di valutare l’importo della tassa sul carbonio per l’anno 2010, l’associazione dei consumatori CLCV ha lanciato un simulatore on-line che dà una valutazione dei costi a seconda del profilo personale, attraverso l’inserimento di informazioni quali: chilometraggio annuo stimato, il tipo di carburante, il numero di bambini in casa o anche una stima del consumo domestico di gas all’anno.
Il calcolo permetterà di valutare quanto potrebbe essere necessario pagare o l’importo della riduzione d’imposta concessa dallo Stato, se il profilo risultasse sufficientemente “verde”. Secondo una prima stima del Governo francese saranno circa 36 milioni di famiglie a dover pagare la carbon tax una volta entrata in vigore. L’accisa vedrà lievitare nel tempo il suo prezzo che dai 17 euro per tonnellata di CO2 del 1° gennaio 2010 aumenterà fino a raggiungere i 100 euro per tonnellata entro il 2030.

fonte: rinnovabili.it

Ispra: tagli per un terzo dei ricercatori sull'ambiente?

La protesta dei lavoratori dell’Ispra, si trascina da tempo ed è arrivata anche sulle pagine dell’ultimo numero di una delle più autorevoli riviste scientifiche, “Science”, con un articolo intitolato Don’t Shoot Research, Italian Environmental Scientists Protest, oggi arriva anche al Parlamento con un’interrogazione del Partito Democratico.
Dopo un taglio di circa duecento posti, per il 2010 si prevede il blocco dei rinnovi dei contratti a termine: oltre 250 ricercatori rimarrebbero senza lavoro.
“L’Ispra – si legge nel testo presentato dal PD – è il principale ente pubblico di ricerca che si occupa di ambiente, con molte funzioni fondamentali anche in ambito di controllo ambientale. Per assolvere alla pluralità di compiti, sarebbe essenziale che l’Ispra non perdesse personale né fondi. In questo senso, l’accorpamento dei tre enti che hanno dato vita all’Ispra – Apat, Infs e Icram – avrebbe dovuto corrispondere a una migliore utilizzazione delle competenze tecnico-scientifiche, sia del personale di ruolo sia di quello a tempo determinato e precario”.
E invece sembra che il pericolo di perdere il posto di lavoro interessi oggi più di un terzo dei ricercatori in forza all’istituto.
Già in estate, dai sindacati, era giunto un allarme sui rischi che la costituzione del nuovo Ente avrebbe potuto creare in termini di gestione del personale.
“E’ assurdo e inaccettabile – ha dichiarato Roberto Della Seta senatore del Pd, membro della 13ª Commissione permanente Territorio, ambiente, beni ambientali, – che né il ministro Prestigiacomo né il commissario dell’Ispra abbiano finora accettato d’incontrare i lavoratori in lotta. Li trattano come avversari, quasi come degli intrusi, mentre sono un patrimonio di conoscenza e di intelligenza prezioso, di cui qualunque altro Paese andrebbe fiero. Chiedono solo di poter dare il loro contributo di lavoro e di ricerca in un campo, l’ambiente, che in tutto il mondo vede crescere anno dopo anno gli investimenti sia pubblici che privati”.
Anche Guido Bertolaso ha di recente ricordato “l’impressionante sequenza di disastri avvenuta nel 2009 in Italia – sottolineando che – i tempi sono maturi per un programma che metta a sistema la sicurezza del territorio”. E molti dei compiti di prevenzione ambientale sono proprio dell’Ispra.

fonte: rinnovabili.it

Ecco la pianta più vecchia ha la bellezza di 13.000 anni

C'era ancora l'ultima era glaciale quando, 13.000 anni fa, un piccolo seme di una quercia iniziò a svilupparsi e a crescere in un'arida area della California e da allora ha continuato a vivere fino ai nostri giorni, seppur sotto forma di clone.

Circa dieci anni fa, Mitch Provance dell'Università della California, stava conducendo un sopralluogo sulle montagne della regione di Jurupa, quando si trovò ad attraversare una macchia di una particolare specie di querce. Provance trovò interessante quel gruppo di alberi non solo perché si trovavano in un ambiente che non era tipico per loro (a quota più alta), ma perché tutte le piante erano estremamente simili l'una all'altra. Provance intuì quasi immediatamente che ciascuna pianta poteva essere un clone dell'altra.

A quel punto è iniziato uno studio specifico che ha portato a scoprire che tutte le piante avevano proteine esattamente simili. "Le probabilità che tali cespugli potessero essere tutti così uguali dal punto di vista del loro chimismo erano insignificanti", ha detto Jeffrey Ross-lbarra che ha eseguito la ricerca, pubblicata su PlosOne.

L'unica possibilità che può spiegare una tale diffusione di piante simili consiste nell'ammettere che le piante sono cloni di se stesse.

Per porre una data sulla prima pianta che è cresciuta in quel luogo i ricercatori sono risaliti ai cicli di vita che quella macchia ha avuto. Li hanno contati considerando che ciascuno è di 40-50 anni e che per incendi o per altri motivi terminano la loro vita rinascendo all'interno della macchia stessa per poi allargarsi. In questo modo sono riusciti a risalire all'età: circa 13.000 anni.

Qualche ricercatore tuttavia ha dubbi sul metodo utilizzato per risalire così indietro nel tempo. Tra questi vi è Marc Abrams dell'Università della Pennsylvania, il quale sostiene che si dovrebbero trovare altri indizi per avere la certezza che si tratta di un'unica pianta che si è clonata in un così lungo lasso di tempo. Ross-lbarra sostiene che se si riuscisse a trovare un piccolo pezzo di legno fossilizzato, l'analisi del carbonio potrebbe dare la conferma definitiva.

Fino ad oggi la più antica pianta conosciuta era una conifera scoperta al confine tra la Svezia e la Norvegia, che risalirebbe a circa 9.000 anni fa. Dopo queste eccezioni segue "Matusalemme", un pino Bristlecone che vive vicino Las Vegas, la cui età si aggira attorno ai 5.000 anni. Altri alberi vecchi di migliaia di anni vivono in Iran, dove un cipresso sembra avere 4.000 anni; in Cile dove un altro cipresso ha compiuto i 3.600 anni. In Italia il censimento degli alberi monumentali realizzato dal Corpo forestale dello Stato ha individuato l'albero più antico della nostra penisola nell'oleastro di San Baltolu di Luras, in provincia di Sassari: ha 3.000 anni. Dal punto di vista scientifico si tratta di un Olea europaea oleaster, in altre parole un olivo selvatico. Un esemplare di 15 metri di altezza e 11 metri di circonferenza.

fonte: repubblica.it

martedì 29 dicembre 2009

L'eccezionalità diventata norma e la percezione (folle) della natura ad uso e consumo dell'uomo

Leggendo le cronache di queste alluvioni annunciate che sconvolgono i bacini idrici, mangiano montagne, allagano le pianure di un Paese fragile ed immobile che consuma cemento a ritmi frenetici cinesi, vengono subito in mente due o tre cose.

La prima è il richiamo ossessivo all'eccezionalità dell'evento. Un mantra salvifico e in qualche modo consolatorio che recitano soprattutto politici ed amministratori, come se ormai "l'eccezionalità" non fosse diventata la norma, come se gli "eventi estremi" non fossero ormai la quotidianità climatica che segna il nostro tempo, come se gli annunci fatti da scienziati, ambientalisti, Ipcc ed Unfcc che questo (esattamente questo) sarebbe accaduto, fossero una clamorosa scoperta che rinnoviamo stupiti ad ogni violento e prolungato nubifragio.

Le esondazioni di Natale dimostrano che occorre al più presto pensare all'eccezionalità come normalità, come quello che ci aspetta, attrezzarci a questo, a far fronte a quel che accadrà in una delle regioni del pianeta, quella mediterranea, ritenuta più a rischio nei vari scenari dell'Ipcc.

Ma quell'acqua e fango che avanzano, invadono strade e sfondano porte ci dicono anche che i nostri calcoli sono sbagliati, proprio perché fatti con i dati della normalità, con i corsi e ricorsi decennali, centennali e duecentennali che non esistono più, spazzati via da un clima che non ubbidisce più a regole che credevamo immutabili. E se sono sbagliati i calcoli sono sbagliati anche i rimedi, le previsioni, le misure.

Dai commenti e dalle proteste di questi giorni (anche di chi giustamente piange i suoi beni e trema per il pericolo scampato) emerge un'altra cosa con cui bisognerà fare i conti. Una cosa che ha a che fare con la politica, la cultura popolare e la percezione della natura.

In molti, probabilmente la maggioranza, sono convinti che, grazie alla tecnologia ed all'intervento umano, tutte le catastrofi potrebbero essere evitate e se non lo sono è colpa della mancanza di infrastrutture, investimenti, uomini dedicati. Non è così (o meglio non è sempre e solo così).

Al di là dell'argine che cede, delle nutrie (importate dall'uomo) che lo scavano, dell'alveo non pulito dal Consorzio... non esiste miracolo tecnologico che possa mettere per sempre al riparo l'uomo dalla natura, dalla sua forza benefica e devastante.

Il pensarlo fa parte di quell'artificializzazione della realtà che stiamo vivendo, rispecchia, dalle nostre imbandite tavole natalizie, l'opposto fatalismo di chi nei Paesi poveri e poverissimi vive le catastrofi naturali come inevitabile, come volere di un Dio imperscrutabile.

Pensare che basti alzare argini, spalmare cemento, imbrigliare e confinare altrove la forza della natura ci salverà da ogni pericolo è una vana speranza, l'uomo deve comprendere, o ritornare a comprendere, che ci sono posti non fatti per le sue case, le sue strade e le sua fabbriche, posti che la natura prima o poi si riprenderà.

Occorre pensare alla terra non più come a qualcosa di immutabile, ma a qualcosa che si assesta, crolla, si muove, esonda, distrugge, modifica e crea. Allora occorre fargli spazio, perché nessuna barriera resiste. Ce lo dicono le molte tragedie "naturali" vissute dall'Italia in questo luttuoso 2009 di terremoti e frane, alluvioni e slavine.

Anche le critiche alla Protezione civile sono abbastanza ingenerose, probabilmente la vigilia ha sorpreso molti volontari ed operatori con il panettone in bocca, la reazione è stata quella di un giorno di festa dove non ci si attende che pace e tranquillità, ma è proprio quanto si diceva prima: la natura e le sue forze sono sempre al lavoro, non conoscono soste e feste, si mettono in moto come, quanto e dove più le aggrada e l'uomo in quel momento (ri)diventa una parte del tutto e le sue ambiziose opere poco più di nulla.

Fateci caso, almeno in Toscana, in molte delle aree colpite dall'alluvione sono in progetto grandi infrastrutture, mega-supermercati, villaggi e porti turistici affacciati su spiagge erose, con il mare che ormai scava le strade... nessuno, salvo i soliti pochi, parla di rivedere queste scelte, in molti accusano i "verdi" di non aver lasciato fare (ma dove?) infrastrutture pesanti che probabilmente non sarebbero servite a nient'altro che ad amplificare i danni.

Asciugata l'acqua e la rabbia, le autostrade e gli svincoli avanzeranno nel fango e i mobili svedesi arriveranno finalmente a Migliarino, si costruiranno i villaggi turistici alle foci dei fiumi che oggi fanno paura e le dighe foranee per ospitare un turismo nautico che si mangerà definitivamente quello balneare.

L'uomo fa presto a dimenticare, la natura no.

L'alluvione di Natale potrebbe essere un monito, un richiamo a far meglio, a comprendere le nuove dinamiche ambientali con le quali dovremo fare i conti, ma ne dubitiamo.

Fino ad oggi l'esperienze che abbiamo vissuto (salvo rare eccezioni) sono state quelle della messa in sicurezza del territorio per continuare a fare quel che si faceva prima e più di prima. Il risultato è spesso stato quello di un'ulteriore cementificazione, "indurimento" e infrastrutturizzazione che ha cambiato nuovamente i parametri della messa in sicurezza ed esposto nuovamente il territorio ai pericoli che si sarebbero dovuti evitare.

Se si mette in sicurezza per continuare a costruire dove non si dovrebbe, se si ricostruisce dove l'acqua si era ripresa i suoi antichi cammini, probabilmente c'è qualcosa che non va.

La grande ed indifferibile opera pubblica del recupero del nostro territorio nazionale ha probabilmente bisogno di essere costruita con una materia prima essenziale: il rispetto degli equilibri esistenti, che sono fatti sempre più anche di repentini e violenti squilibri, dell'adattamento delle opere dell'uomo ai mutamenti naturali e non della natura all'uomo, non rincorrendo un impossibile sogno prometeico di addomesticamento della forza della natura con la tecnologia, ma mettendo la tecnologia al servizio della sicurezza dell'uomo e dell'equilibrio che abbiamo contribuito a rompere.

fonte:greenreport.it

FIRMATO IL DECRETO SUI SITI NUCLEARI

Si ricuce lo strappo nel governo sul nucleare. Il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, secondo quanto apprende l'agenzia di stampa Radiocor, ha firmato nel tardo pomeriggio il decreto che fissa i criteri per l'individuazione dei siti idonei ad ospitare gli impianti nucleari.In precedenza, il ministro dell'Ambiente aveva preso carta e penna e si era rivolta con una lettera al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, chiedendo alcune modifiche allo schema di decreto legislativo approvato ieri dal Consiglio dei ministri. La responsabile del dicastero dell'Ambiente aveva contestato il comma 7 dell'articolo 13 del decreto nel punto dove si stabilisce che le autorizzazioni Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) e Via (Valutazione di Impatto Ambientale) "non possono avere a oggetto questioni già sottoposte a valutazione ambientale strategica o alla valutazione dell'Agenzia nell'ambito della localizzazione del sito".

fonte: ambiente.it

Qatar, robot solari per controllare il traffico

L’Ashghal, ossia l’autorità per i Lavori Pubblici del Quatar, è pronta a rivoluzionare i propri metodi gestione dei veicoli sulle strade della capitale tramite un’invenzione fornita dal Qatar Science Club (QSC). Si tratta di un robot solare, ossia alimentato tramite delle celle fotovoltaiche, che avrà il compito di guidare le auto nelle deviazioni del traffico avvertendo gli automobilisti di fermarsi o frenare, un lavoro attualmente svolto da uomini.
L’iniziativa è nata in una riunione tenutasi nella sede principale del QSC dopo che i funzionari dell’Ashghal sono stati informati in merito alle attività del club nei settori di ingegneria informatica, elettronica e meccanica. Il robot è stato realizzato in fibra ottica per sostenere al meglio il clima caldo del deserto del Qatar e concepito per rimanere sul posto di lavoro per 24 ore senza alcun aiuto umano. Un’attività altrimenti spossante per gli operatori umani.
Il dispositivo immagazzina l’energia catturata tramite le celle solari in una batteria per renderla disponibile anche quando il sole è tramontato. Rashid Ibrahim, vice Segretario Generale del QSC, ha espresso la speranza che il robot venga prodotto e utilizzato in tutti i settori che richiedo faticoso lavoro manuale, a cominciare dalle aziende che operano nel settore stradale.

fonte: rinnovabili.it

Germania: l’industria solare propone tagli agli incentivi

Le imprese tedesche del settore solare riunite nell’associazione BSW-Solar hanno avanzato una proposta al proprio Governo che si concretizzerà ufficialmente nell’audizione ministeriale del prossimo 13 gennaio: tagliare gli incentivi dedicati al fotovoltaico, definiti nel Renewable Energy Act, più rapidamente del previsto. A riferirlo è il quotidiano Handelsblatt anticipando un’intervista al Ceo di Solarworld Frank Asbeck. Fino ad oggi i piani governativi prevedono una riduzione del 10 per cento del Feed-in-Tariff a partire dai primi mesi del 2010 e un altro 10 per cento per l’anno successivo. Ma i produttori rappresentati dalla BSW suggeriscono di accelerare il ritmo con cui le sovvenzioni saranno ridotte, introducendo un ulteriore taglio del 5% a metà anno.
Si tratterebbe dunque di una riduzione complessiva del 25 per cento entro due anni a cui in cambio l’industria tedesca chiede standard internazionali in materia ambientale e di qualità nella normativa. La mossa dovrebbe andare incontro ai consumatori che pagano le sovvenzioni attraverso le bollette dell’energia elettrica dopo il boom del settore, determinato da un calo del 26% dei costi dei moduli e da incentivi invece stabili. E l’esplosione del fotovoltaico si fa sentire chiaramente in Germania: l’energia rinnovabile attualmente ricopre il 16 per cento del consumo totale di elettricità: L’obiettivo nazionale in tal senso è raggiungere il 30 per cento entro il 2020.

fonte: rinnovabili.it

Decreto Scajola: requisiti delle zone sede delle centrali nucleari

“Con questo provvedimento si sono fissati i criteri per la localizzazione dei siti dando come obiettivo prioritario non soltanto la loro sicurezza, ma anche le esigenze di tutela della salute della popolazione e di protezione dell’ambiente. Sulla base di tali criteri saranno poi le imprese interessate a proporre in quali zone intendono realizzare gli impianti nucleari”.
Questa la dichiarazione del ministro per lo Sviluppo, Scajola, in merito al decreto che fissa i criteri per l’individuazione per i siti dove dovrebbero sorgere le centrali nucleari in Italia, frutto dell’accordo con i partner francesi.
Da queste parole si desume che dovrebbero essere, nel rispetto di alcuni criteri generali, le stesse imprese che realizzeranno gli impianti a scegliere la loro collocazione.
Il programma sulla produzione di energia nucleare, secondo gli obiettivi del governo, porteranno al completamento della prima centrale nel 2013.
Scajola insiste sul concetto che si tratta di una scelta indispensabile per una maggiore autonomia dall’importazione di energia sia pure, come precisa il ministro, con una “particolare attenzione alla sicurezza delle persone e alla protezione dell’ambiente”.
Tre i ministri che hanno preparato il decreto, oltre a Scajola, il ministro dell’Ambiente e Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture.
Ora la parola passa alla Conferenza Stato-Regioni e in seguito alle Commissioni Parlamentari. L’iter prevede poi il ritorno del decreto al consiglio dei ministri per la formulazione definitiva della cosiddetta “strategia nucleare” dove saranno esplicitati tutti gli obiettivi.
I siti prescelti dovranno rispondere ad “uno schema di parametri di riferimento relativi a caratteristiche ambientali e tecniche” proposti dell’Agenzia del Nucleare e stabiliti dal ministero dello Sviluppo, da quello dell’Ambiente e quello dei Trasporti. In questi parametri rientrano le caratteristiche ambientali vale a dire “popolazione e fattori socio-economici, qualità dell’aria, risorse idriche, fattori climatici, suolo e geologia, valore paesaggistico, valore architettonico-storico, accessibilità”. Poi ci sono i requisiti tecnici in merito a “stato sismo-tettonico, distanza da aree abitate, geotecnica, disponibilità di adeguate risorse per il sistema di raffreddamento della tipologia di impianti ammessa, strategicità dell’area per il sistema energetico e caratteristiche della rete elettrica, rischi potenziali indotti da attività umane nel territorio circostante”.
Per i territori in cui verranno impiantate le centrali ci saranno dei compensi in benefici economici su base annua. Verranno erogati e corrisposti anticipatamente per ogni anno di costruzione dell’impianto dai tre ai quattromila euro per ogni MW sino ad una potenza di 1.600 MW. Questa sarà poi aumentata del 20% per potenze maggiori. Incentivi e benefici anche per le amministrazioni comunali situate entro un’area di venti chilometri dall’impianto, per gli utenti della zona sconti sulla bolletta elettrica, sui rifiuti urbani e anche sulle addizionali Irpef e Irpeg e perfino sull’Ici.
Questi territori, assicurano al ministero, saranno soggetti a speciali forme di vigilanza e protezione dal momento che ospiteranno le centrali nucleari e saranno quindi considerati “di interesse strategico nazionale”.

fonte: rinnovabili.it

Il fotovoltaico si fa 'micro' come i glitter

A guardarli al microscopio, per di questo si ha bisogno per poterli osservare bene, hanno tutto l’aspetto di quelle pailettes di cui la moda non riesce a fare a meno: piccoli e luminosi brillantini di soli pochi micrometri di spessore. E invece si tratta dell’ultimo progetto intrapreso dagli scienziati del Sandia National Laboratories e con cui si è segnato un importante traguardo nel campo del micro-fotovoltaico, tale da poter rivoluzionare il modo in cui l’energia solare viene raccolta e utilizzata. Gli scienziati statunitensi hanno, infatti, sviluppato delle celle solari esagonali in silicio cristallino delle stesse dimensioni di un glitter, 0,25-1 millimetro di larghezza e 14-20 micrometri di spessore (contro i 70 micrometri di un capello umano) e con un’efficienza di conversione pari al 14,9%.
Ogni micro-unità viene formata su wafer di silicio, quindi incisa e rilasciata in forme esagonali, con contatti elettrici già prefabbricati su ogni pezzo grazie all’impiego di tecniche prese in prestito dalla tecnologia dei circuiti integrati e del MEMS (Micro Electro-Mechanical Systems); le celle così ottenute sono, dunque, 10 volte più sottili delle convenzionali 15×15 cm, ma possiedono la stessa efficienza.
In altre parole, con un impiego di silicio 100 volte inferiore ai dispositivi in commercio si genera la stessa quantità di energia elettrica. Un vantaggio enorme e non unico perché le ‘celle glitter’, a detta degli scienziati del Sandia, possono vantare una ventina di ‘pro’, incluse nuove applicazioni, migliori prestazioni e un potenziale di riduzione dei costi. A partire da una funzionalità maggiore, come spiega Murat Okandan del team di lavoro: “Dal momento che sono molto più piccole e hanno meno deformazioni meccaniche per un dato ambiente rispetto alle celle convenzionali, possono anche essere più affidabili e durare più a lungo”.
Minor uso di silicio equivale ad un minor costo produttivo, possono essere fabbricate da wafer commerciale di qualsiasi taglia ed inoltre dimostrano una tolleranza all’ombra migliore rispetto ai tradizionali moduli. “Le unità potrebbero essere prodotte in serie e avvolte intorno a forme insolite per la costruzione di tende solari integrate, e magari anche di abbigliamento”, spiegano i ricercatori aggiungendo che con robot manipolatori, i cosiddetti macchinari pick-and-place, se ne potrebbero assemblare fino a 130 mila pezzi l’ora ad un costo di un decimo di centesimo per modulo.

fonte: rinnovabili.it

giovedì 24 dicembre 2009

WWF: 'Dec-albero', semplici consigli per un Natale sostenibile

A Natale non bisogna dimenticare il rispetto per l’ambiente. Sembra essere questo il messaggio che il WWF ha voluto lanciare alla soglia delle festività attraverso il ‘Dec-Albero’, dieci consigli per festeggiare in allegria all’insegna della sostenibilità.
Dalle luminarie a basso consumo all’utilizzo di prodotti locali e quindi a chilometri zero, dallo shopping in bicicletta o con i mezzi pubblici contribuendo a ridurre le emissioni dannose, all’acquisto di apparecchi elettronici che siano ad alta efficienza, affinché i benefici di un acquisto intelligente durino tutto l’anno e non contribuiscano all’aumento delle emissioni di CO2 in atmosfera.
Ma la maggiore attenzione è riservata al grande protagonista del Natale, l’albero: non è importante che sia un abete né tantomeno che l’abete sia vero, spesso il nostro clima non gli permette di sopravvivere. Sarebbe meglio quindi addobbare un tipico albero delle nostre zone, stesso effetto con un pizzico di originalità in più.
Ma come dimenticare le luminarie, sono loro le coprotagoniste delle Feste, ma meglio se a LED o comunque a basso consumo, per evitare inutili sprechi avendo l’accortezza di non lasciarle accese tutta la notte inutilmente.
Per il cenone natalizio all’insegna della tradizione si possono scegliere, rispettando l’ambiente, prodotti locali che non hanno contribuito ad inquinare, visto il breve tratto percorso per arrivare sulle nostre tavole, e prodotti certificati che non vadano ad alimentare il commercio illegale di specie protette.
Festeggiare rispettando l’ambiente potrebbe rendere tutti più felici!

fonte: rinnovabili.it

mercoledì 23 dicembre 2009

Nucleare, strappo della Prestigiacomo

Rischia di essere tutto in salita il percorso del decreto legislativo sui siti delle centrali nucleari, per i contrasti tra i ministri Claudio Scajola (Sviluppo economico) e Stefania Prestigiacomo (Ambiente). Già martedì - secondo quanto si apprende - nel consiglio dei ministri che ha esaminato il provvedimento c’è stato un serrato confronto tra i due, con la titolare dell'Ambiente che ha contestato alcuni punti del dlgs.

SCONTRO - Una contrapposizione superata con la mediazione del sottosegretario Gianni Letta, anche se comunque il decreto è stato approvato «salvo intesa». Ma la Prestigiacomo è tornata all'attacco, con una lettera a Letta in cui chiede di cambiare alcune disposizioni, altrimenti non firmerà (il dlgs è proposto da Scajola «con il concerto» dei ministri di Ambiente e Infrastrutture). Nel mirino della Prestigiacomo c'è l’articolo 13, e in particolare il comma 7, secondo cui «l'Aia (autorizzazione integrata ambientale) e la Via si svolgono secondo le disposizioni di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni; non possono avere a oggetto questioni già sottoposte a valutazione ambientale strategica (Vas) o alla valutazione dell’Agenzia nell’ambito della localizzazione del sito».
Si stabilisce quindi che dopo la Vas, con cui sono individuate le aree adatte per le centrali, gli operatori devono indicare il sito prescelto e chiedere l’autorizzazione dell’agenzia per la sicurezza nucleare. Incassato questo via libera, le società devono fare domanda per la valutazione d'impatto ambientale (Via), che però - secondo l’articolo 13 - non può rimettere in discussione la Vas. Con la Prestigiacomo che rivendica un ruolo maggiore nel percorso autorizzativo degli impianti, si profilano quindi nuovi ostacoli sulla via del ritorno all’atomo. Già in precedenza il ministero dell’Ambiente aveva presentato alcune decine di richieste di modifica, la maggior parte delle quali sono state accolte. Tuttavia, non si è trovato l'accordo sull'articolo 13, tanto che il decreto è stato approvato «salvo intesa». Che ancora non c’è.

fonte: corriere.it

Nucleare, sì alle nuove centrali In primavera la decisione sui siti

Il governo ha dato via libera ai criteri per l'individuazione dei siti su cui potranno essere costruite le nuove centrali nucleari, e dei compensi da destinare ai territori che accoglieranno i nuovi impianti. Il Consiglio dei ministri ha approvato due schemi di decreti legislativi, uno sulla "localizzazione e l'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica e nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio, nonché misure compensative e campagne informative". L'altro sul "riassetto della normativa su ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche".

I siti. Dove le centrali? Si saprà a marzo. Le aree idonee a ospitare le prossime centrali nucleari italiane - che verranno rese note dopo le prossime elezioni regionali - dovranno rispondere a "uno schema di parametri di riferimento relativi a caratteristiche ambientali e tecniche", come previsto dal decreto legislativo approvato. I siti che ospiteranno le centrali nucleari saranno "di interesse strategico nazionale" e come tali "soggetti a speciali forme di vigilanza e protezione", si legge nella bozza di decreto legislativo.

I parametri. Lo "schema di parametri" dovrà essere poi definito dal ministero dello Sviluppo economico, da quello dell'Ambiente e dei Trasporti su proposta dell'Agenzia del nucleare, entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo stesso. In particolare, le caratteristiche ambientali riguardano "popolazione e fattori socio-economici, qualità dell'aria, risorse idriche, fattori climatici, suolo e geologia, valore paesaggistico, valore architettonico-storico, accessibilità".
Le caratteristiche teecniche. Le caratteristiche tecniche riguardano la "sismo-tettonica, distanza da aree abitate, geotecnica, disponibilità di adeguate risorse per il sistema di raffreddamento della tipologia di impianti ammessa, strategicità dell'area per il sistema energetico e caratteristiche della rete elettrica, rischi potenziali indotti da attività umane nel territorio circostante".

I compensi. Per quanto riguarda i compensi da destinare ai territori che ospiteranno le centrali nucleari, si tratterà di un beneficio economico su base annuale da corrispondere anticipatamente per ciascun anno di costruzione dell'impianto; l'aliquota è pari a 3.000-4.000 euro per ogni Mw sino ad una potenza di 1.600 Mw, "maggiorata del 20% per potenze superiori".

Benefici economici. "A pioggia" per le Province e i Comuni che ospiteranno i prossimi impianti ma anche per i Comuni limitrofi in un'area di 20 chilometri dal perimetro dell'impianto. Le imprese e gli abitanti delle zone in questione non avranno solo sconti nella bolletta elettrica ma anche in quella per i rifiuti urbani, per le addizionali Irpef e Irpeg e per l'Ici.

Le reazioni. Un piano "non fattibile e insensato", commenta il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che non vede "l'utilità di avventurarsi in un progetto con tecnologie che dobbiamo importare dall'estero". Mentre l'Italia dei valori ha presentato i quesiti per il referendum contro il nucleare: "Se il governo si adoperasse con la stessa determinazione per affrontare l'emergenza economica, occupazionale e ambientale - commenta Paolo Brutti, responsabile Ambiente del partito - forse la condizione di vita degli italiani non sarebbe così a rischio come lo è ora". Legambiente mette in guardia: "Con le compensazioni economiche arriva una maxi stangata per gli italiani" dice Stefano Ciafani, responsabile scientifico dell'associazione, riferendosi ai rimborsi e agli sgravi fiscali. "Da dove arriveranno questi soldi? Sarà una donazione di un benefattore? Il governo finalmente scopre le carte e svela la maxistangata causata dal ritorno dell'atomo in Italia: a pagare sarà come sempre Pantalone, con buona pace dell'alleggerimento delle bollette elettriche sbandierato nell'ultimo anno e mezzo dal governo". Intanto il Codacons invita il governo, "prima di individuare qualsiasi sito", a "testare i reattori di nuova generazione in grado di garantire sicurezza e ridurre la produzione di scorie".

fonte: repubblica.it

martedì 22 dicembre 2009

Quanto ci costa un mondo pulito diminuire le emissioni è low cost

Il numero, nell'intesa uscita da Copenaghen, non c'è, ma prima o poi, mettersi al lavoro per dimezzare, entro il 2050, le emissioni di anidride carbonica, rispetto al 1990, sarà inevitabile, se non si vuole che l'impatto dell'effetto serra (siccità, inondazioni, secondo gli scienziati) ci travolga, aumentando la temperatura media del pianeta di più di 2 gradi. È un taglio da guardare con timore, una medicina necessaria, ma amarissima? I passi da compiere li conosciamo: abbattere i consumi di combustibili fossili, come petrolio, carbone, gas, espandere massicciamente le centrali ad energia pulita (sole, vento, nucleare). Si tratta di investimenti enormi. In più, tutte le industrie che emettono CO2 dovranno pagare per i diritti alle emissioni e scaricheranno i maggiori costi sui prezzi.

Una valanga che travolgerà il nostro stile di vita, costringendoci a rinunce e penitenze? La risposta è no. Dimezzare le emissioni non significa che saremo costretti ad andare in giro in sandali e lana grezza. Al contrario, gli effetti sulla vita quotidiana sono straordinariamente limitati.

I modelli econometrici hanno un valore di predizione necessariamente limitato, tanto più quando si tratta di prevedere il comportamento dei prezzi, da qui a quarant'anni. Se prestiamo fede ai più recenti esercizi degli economisti, tuttavia, meno emissioni non significano disastro in vista. Secondo uno studio della scorsa estate della Northwestern University, tagliare le emissioni del 50 per cento comporterebbe, negli Stati Uniti, un aumento generale del prezzi al consumo non superiore, in media, al 5 per cento. È vero, però, che, per arrivare ad un taglio globale del 50 per cento delle emissioni, i paesi industrializzati dovrebbero ridurre le loro (come ha già annunciato di voler fare Obama), dell'80 per cento. Ma anche questo taglio non avrebbe effetti drammatici, secondo il Pew Center on Global Climate Change: "Anche tagliare le emissioni dell'80 per cento nell'arco di quattro decenni avrebbe, nella gran parte dei casi, un effetto molto limitato sui consumatori".

Lo stesso vale per l'Europa. La rivista New Scientist ha commissionato a Cambridge Econometrics - una società di consulenza che fornisce regolarmente, sul cambiamento climatico, modelli econometrici al governo britannico, ma a scadenza più ravvicinata - una previsione dell'impatto sui prezzi, per i consumatori inglesi, di un taglio delle emissioni, al 2050, dell'80 per cento, rispetto al 1990. I ricercatori ci sono arrivati, prendendo come riferimento l'esperienza storica. Cioè quanto, in passato, i mutamenti del costo dell'energia hanno influenzato i prezzi di 40 diversi prodotti di consumo. Risultato? L'impatto, sui prezzi di gran parte dei prodotti di consumo è modesto: l'1-2 per cento. Il prezzo del cibo aumenterebbe, in media, dell'1 per cento, come quello dei vestiti e delle automobili. Una pinta di birra costerebbe il 2 per cento in più, un pc portatile da 1.000 euro ne costerebbe 1.020. Anche una lavatrice o un frigorifero costerebbero solo il 2 per cento in più.

Questo avviene perché l'energia necessaria a produrre questi beni rappresenta, appunto, l'1-2 per cento del prezzo finale. I beni e i prodotti in cui l'energia pesa di più subirebbero una spinta assai più forte, ma sono relativamente pochi. La bolletta dell'elettricità, ad esempio, rincarerebbe del 15 per cento. E ancora di più i viaggi aerei, dove l'energia rappresenta oltre il 7 per cento del prezzo finale. Dato che le compagnie aeree, al momento, non hanno un'alternativa a basso contenuto di anidride carbonica come combustibile, pagarsi i diritti alle emissioni sarebbe un costo pesante. Cambridge Econometrics prevede un aumento del 140 per cento del prezzo dei biglietti aerei.

In effetti, i calcoli del modello presuppongono due ipotesi. La prima è che il governo fornisca incentivi ai cittadini perché, invece del gas, usino l'elettricità per la cucina e, soprattutto, il riscaldamento. La seconda è che il governo stesso investa massicciamente nelle infrastrutture necessarie per le auto elettriche. Da qui a 40 anni, non sono, però, ipotesi remote. E, comunque, dice un altro studio, realizzato da un gigante mondiale della consulenza, come McKinsey, hanno un peso relativo: "Quattro quinti delle riduzioni nelle emissioni - sostengono gli analisti della McKinsey - possono essere realizzati sfruttando tecnologie che già oggi esistono su scala commerciale". Basterebbe, dicono, un prezzo dei diritti alle emissioni di 50 dollari per tonnellata di CO2. "E il 40 per cento delle riduzioni - aggiungono - di fatto consentono di risparmiare soldi".

Ma allora, le previsioni catastrofiche, come quelle di un luminare di Yale, William Nordhaus, secondo il quale stabilizzare clima e temperature costerebbe, solo agli Usa, 20 mila miliardi di dollari? Si tratta di intendersi. Stephen Schneider, di Stanford, ha rifatto i conti di Nordhaus. I 20 mila miliardi di dollari, infatti, non sono il costo immediato, ma al 2100. Se si assume che, da qui ad allora, l'economia americana crescerà in media del 2 per cento l'anno, un ritmo abbastanza ordinario per il gigante Usa, il prezzo da pagare per salvare il pianeta non sembra un granché: "Vuol dire solo - secondo Schneider - che gli americani dovranno aspettare il 2101 per essere ricchi, quanto, senza toccare le emissioni, sarebbero stati nel 2100".

fonte: repubblica.it

lunedì 21 dicembre 2009

Eco-Guida 2010, inizia la raccolta dati

Sarà pubblicata il prossimo anno, come già avvenuto nel 2008 e 2009, la nuova edizione della guida annuale al risparmio di carburante ed alle emissioni di anidride carbonica delle automobili. Prevista da una direttiva europea al fine di fornire ai consumatori informazioni utili per un acquisto consapevole delle autovetture, è stata approvata con decreto interministeriale 1° luglio 2009 dal Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con i Ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture e Trasporti e mira nel concreto a sviluppare un comportamento più virtuoso da parte degli automobilisti, con effetti positivi sull’ambiente, sulla sicurezza, ed anche sull’economia, data la necessità di ridurre le importazioni di petrolio per mantenere in attivo la bilancia commerciale.
La Direzione generale per il mercato, la concorrenza, i consumatori, la vigilanza e la normativa tecnica ha iniziato, d’intesa con le associazioni del settore automobilistico (ANFIA ed UNRAE), la raccolta dei dati per l’edizione 2010, con la lettera circolare alle case automobilistiche ed alle loro associazioni. In tal senso i costruttori di autovetture sono tenuti ad elencare tutti i nuovi modelli indicare: il tipo di carburante, il valore corrispondente al consumo ufficiale di carburante e quello delle emissioni specifiche di CO2.
Nella guida sarà presente l’elenco, diviso per marche, dei modelli di automobili con le relative performance in termini di consumi, nei vari cicli (urbano, extraurbano e misto), nonché una lista dei modelli che emettono meno anidride carbonica.

fonte: rinnovabili.it

Che cosa ci ha lasciato Copenhagen

Un flop, una conclusione se non completamente fallimentare, molto molto al di sotto delle attese. Anche "Obama green" ha deluso, ha tradito le premesse della sua presidenza, le promesse ambientaliste della campagna elettorale. Il vertice sul clima di Copenhagen ha avuto anche, sabato 19 dicembre pomeriggio, una conclusione tragicomica quando il delegato sudafricano - ultimo a prendere la parola prima del rompete le righe - ha lanciato un appello a vegliare perché le date della prossima riunione sul clima, prevista a Bonn, non coincida con i mondiali di calcio del 2010 in Sudafrica.
Il vertice, cominciato il 7 dicembre, ha coinvolto 193 Paesi, oltre 100 capi di Stato e premier. Sono state 45 mila le richieste di accredito. Questa montagna ha partorito un topolino. L'accordo, un documento di appena tre pagine, fissa come obiettivo il limite di riscaldamento del pianeta a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Prevede anche degli aiuti di 30 miliardi di dollari su tre anni (2010, 2011 e 2012) per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici, e una successiva crescita degli aiuti fino a 100 miliardi di dollari entro il 2020. Obiettivi, appunto, da firmare nel 2010; nessun impegno operativo "da subito"; niente di vincolante. Un ristretto club, formato da Barack Obama, dal premier cinese Wen Jiabao, dal primo ministro indiano Manmohan Singh, dal presidente del Sudafrica Jacob Zuma e dal presidente del Brasile Lula da Silva, ha stabilito così. Punto e basta. Tutti gli altri, Unione Europea compresa, hanno fatto da comparse. I Paesi poveri hanno lasciato Copenhagen a testa bassa. Un commentatore autorevole come Bill Emmott, ha scritto: "In sostanza l'accordo rappresenta la promessa di stipularne uno successivo l'anno prossimo".

Ci sono molte letture che si possono fare. Quella internazionale dice: America ed Europa non sono più in grado di dettare le regole, mentre la Cina - grazie a una delegazione attiva e compatta - ha detto e fatto quello che ha voluto (nessuna interferenza internazionale sul tema, in cambio della promessa di una prima regolamentazione interna) grazie anche all'appoggio di una parte importante dei Paesi emergenti. Quella ambientalista dice: prevalgono altri interessi, economici, strategici, sulle emergenze di oggi e di domani dell'ambiente naturale del pianeta. Se vogliamo essere indulgenti possiamo dire: è stato l'inizio di una strada lunga e difficile.
Se non vogliamo esserlo, dobbiamo essere chiari: è stato un vertice scandaloso, soldi buttati.

fonte: greenplanet.net

La Terra con tre gradi in più così sarà sconvolto il pianeta

Un pianeta che nella seconda metà del secolo si troverà in bilico sulla catastrofe, con una popolazione vicina ai 9 miliardi di esseri umani e gli ecosistemi in ginocchio, non più in grado di fornire abbastanza acqua, cibo ed energia. E' lo scenario post Copenaghen: un mondo soffocato dai gas serra, più caldo di 3 gradi. Mentre le delegazioni dei 192 paesi che hanno partecipato alla conferenza sul clima salgono sull'aereo portando a casa un mini accordo teorico, senza i target per il taglio delle emissioni di anidride carbonica, è stata messa a punto una prima analisi, che Repubblica è in grado di anticipare, che proietta a livello globale le conseguenze del flop del summit Onu. L'ha preparata Greenpeace per mostrare le conseguenze della resa di fronte alla minaccia climatica. Ecco cosa succederebbe se, continuando a bruciare petrolio e carbone e a tagliare foreste, permettessimo al global warming di crescere al di là di ogni controllo.

MONSONI
Il ritmo dei monsoni cambierà, gli uragani diventeranno più intensi e più frequenti, il livello dei mari crescerà spazzando via decine di città costiere e di isole (gli arcipelaghi che a Copenaghen si sono opposti fino all'ultimo al patto al ribasso tra Stati Uniti e Cina rifiutandosi di firmare l'intesa). Le aree aride e semiaride in Africa si espanderanno almeno del 5-8 per cento, si perderà fino all'80 per cento della foresta pluviale amazzonica, la taiga cinese, la tundra siberiana e la tundra canadese saranno seriamente colpite.

GHIACCIAI
Il Polo Nord diventerà presto navigabile d'estate. Un rialzo di 3 gradi della temperatura media distruggerebbe un terzo dei ghiacciai tibetani in 40 anni. La popolazione mondiale sottoposta a un crescente stress idrico passerebbe dal miliardo attuale a 3,2 miliardi. E altri 200-600 milioni di persone si aggiungerebbero all'elenco di chi non ha abbastanza cibo per sopravvivere.
LE SPECIE A RISCHIO
Significative estinzioni sono previste in tutto il pianeta: a rischio un terzo delle specie. Spariranno il 15-40 per cento delle specie endemiche negli hot spot della biodiversità mondiale. In America latina rischia l'estinzione il 25 per cento delle specie arboree della savana.

SALUTE
L'onda d'urto sulla qualità e sulla durata della vita sarebbe devastante. "Con un aumento di 3 gradi, 3,5 miliardi di persone nel mondo saranno a rischio di contrarre la dengue e 2 miliardi a rischio malaria, una malattia che già oggi uccide 1 milione di persone l'anno", precisa Roberto Bertollini, responsabile del settore cambiamenti climatici dell'Organizzazione mondiale di sanità. "Inoltre, a causa della carenza di acqua, aumenteranno le vittime della diarrea, che uccide 2,2 milioni di persone l'anno, e della siccità, che moltiplicherà per sei il suo impatto. Nel nord America si prevede il 70 per cento di crescita dei giorni a rischio ozono. La Ue stima che nel continente ci saranno 86 mila morti in più all'anno: diventeranno frequenti le ondate di calore che in Europa hanno provocato 70 mila morti aggiuntivi nell'estate del 2003".

L'ITALIA
Anche in Italia l'impatto si annuncia pesante. "Se il livello del mare salisse di un metro nel 2100, l'Italia dovrebbe proteggere buona parte delle sue coste", calcola Angelo Bonelli, presidente dei Verdi. "Da uno studio che abbiamo commissionato a un gruppo di ricercatori risulta che in Italia il 22,8 per cento delle coste è soggetto a erosione: sono 1.733 chilometri". A rischio risultano le coste dell'alto Adriatico da Venezia fino a Grado e verso Sud fin quasi a Rimini, mentre verso l'interno l'acqua potrebbe arrivare sino a Ferrara. In Toscana sarebbero in pericolo le coste vicino a Livorno e verso Nord quelle di Tombolo fino all'Arno: il mare arriverebbe alla periferia di Pisa. Nel Lazio, Latina verrebbe sommersa e verso sud il Tirreno ruberebbe gran parte delle coste vicino al Golfo di Gaeta. Sul versante opposto, la Puglia vedrebbe sommergere Manfredonia e le coste che si snodano verso Barletta, mentre la Sardegna potrebbe dire addio alle coste del Golfo di Oristano, a parte della penisola del Sinis e allo Stagno di Cagliari. L'aumento del livello del Mediterraneo provocherebbe inoltre un altro problema: l'infiltrazione salina nelle falde acquifere che comprometterebbe una parte importante delle risorse idriche, soprattutto in Puglia e Sicilia.

LA SPERANZA
"I potenti della Terra hanno fallito l'obiettivo di impedire cambiamenti climatici disastrosi: l'unico risultato concreto è l'arresto di quattro nostri attivisti, in prigione per aver protestato contro l'impreparazione dei governi", accusa Kumi Naidoo, direttore di Greenpeace International. "Ma non è finita. I cittadini di tutto il mondo chiedevano un vero accordo prima che il summit iniziasse, e continuano a chiederlo. Dobbiamo ottenere dalle amministrazioni, a tutti i livelli, azioni concrete che permettano di salvare centinaia di milioni di persone dalle devastazioni prodotte da un pianeta sempre più caldo". Se ci sarà una forte reazione dell'opinione pubblica, calcola Greenpeace, eviteremo lo scenario segnato da una frenata troppo lenta nell'emissione di gas serra: serve un colpo di reni che permetta di chiudere entro il 2010 un accordo basato su tagli rapidi, consistenti e vincolanti.

fonte: repubblica.it

Trionfo di "Cindia" sull'America "Non può dettare le regole"

Le ragioni della vittoria politica di "Cindia" al vertice sul cambiamento climatico? Il responsabile Onu per l'ambiente Yvo de Boer le riassume così: "In India 400 milioni di persone vivono senza accesso alla corrente elettrica. Come gli dici di spegnere una lampadina che non hanno?" È ciò che il premier indiano Manmohan Singh aveva in mente quando ha detto: "Ogni accordo sul clima deve considerare i bisogni di crescita delle nazioni in via di sviluppo". Se a qualcosa è servito Copenaghen, forse è proprio questo. Mai più l'Occidente potrà dettare tempi e regole per far fronte all'emergenza ambientale, ignorando che il saccheggio dell'ambiente visto dai paesi emergenti è anzitutto un lascito nostro.

"Tutto il mondo dovrebbe essere felice per i risultati del vertice", ha detto raggiante Xie Zhenhua, il capodelegazione cinese, nel riprendere l'aereo per Pechino. La sua esultanza non lasciava dubbi sull'esito. "Noi cinesi - ha aggiunto Xie - abbiamo preservato il nostro interesse nazionale e la nostra sovranità". Non è proprio così che Barack Obama ha cercato di vendere agli americani l'accordo finale. Un punto qualificante dell'intesa raggiunta in extremis è la concessione cinese che gli impegni a ridurre le emissioni di CO2 andranno verificati nella trasparenza, con un monitoraggio internazionale. Ma quanto la Cina sarà davvero aperta a forme di ispezioni straniere, alla fine lo decideranno a Pechino, valutando di volta in volta i propri interessi.

Se ci fosse bisogno di una conferma del successo politico di Pechino e Delhi, l'ha data un autorevole consigliere di Obama rivelando i retroscena del vertice ai giornalisti di ritorno a Washington sull'Air Force One. Le ultime ore convulse di trattative per salvare Copenaghen dal fiasco totale, Obama le ha passate a rincorrere il premier cinese ("Datemi il primo ministro Wen, dov'è finito Wen?"). Wen si nascondeva in albergo. E a negoziare con il presidente degli Stati Uniti mandava un sottosegretario agli Esteri. In quanto a Singh, la delegazione Usa è stata presa dal panico quando a vertice ancora aperto è giunto l'annuncio: "Gli indiani sono già all'aeroporto, hanno deciso che non serve rimanere e stanno imbarcando sull'aereo di Stato per tornare a casa". Alla fine Obama ha dovuto, letteralmente, imbucarsi a una riunione in cui nessuno lo aveva invitato: un meeting tra i dirigenti di Cina, India, Brasile e Sudafrica, cioè il nuovo gruppo "Basic". Obama aveva capito che se voleva salvare una parvenza di risultato al vertice, le cose si decidevano lì dentro.

E' uno choc per due aree del mondo che avrebbero potuto contare molto di più: l'Unione europea e il Giappone, spesso all'avanguardia nelle normative sull'ambiente, ma ininfluenti a Copenaghen. Mai Obama ha cercato una sponda con loro. Dando prova di senso tattico, il presidente americano ha "marcato" solo i giocatori che contavano. Perché la chiave dei nuovi equilibri politici mondiali, è nella capacità di Cina e India di giocare su due sponde. Sono superpotenze economiche in competizione con l'Occidente (anche nella quantità di gas carbonici). Al tempo stesso conservano la capacità di rappresentare paesi emergenti ben più poveri di loro.

Un esempio è proprio la difesa che la Repubblica Popolare ha fatto della propria sovranità nazionale, contro la "trasparenza". Perché questa campagna cinese ha trovato comprensione in molti paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina? In parte perché si tratta di governi-clienti di Pechino, avvinghiati in robuste reti di relazioni commerciali, finanziarie, militari. Ma c'è una ragione più nobile, l'ha spiegata il presidente brasiliano Lula da Silva: "L'Occidente deve stare attento alle interferenze. Quando i cinesi si battono contro le ingerenze, ad altri paesi in via di sviluppo vengono in mente i tempi in cui mandavate i vostri diktat attraverso il Fondo monetario e la Banca mondiale".

Mark Levine, scienziato ambientalista al Lawrence Berkeley National Laboratory, che in qualità di esperto ha accompagnato Barack Obama sia in Cina che a Copenaghen, è convinto che i leader di Pechino non sottovalutino affatto i danni del cambiamento climatico: "Stanno investendo molto nelle energie alternative. E sull'auto elettrica, vogliono arrivare prima loro di noi. Ma al tempo stesso vogliono affermare il principio che su questo terreno non tocca a noi dare lezioni".

fonte: repubblica.it

sabato 19 dicembre 2009

Copenaghen flop

La più importante, partecipata, disorganizzata conferenza delle Nazioni Unite non è riuscita a dare al Mondo la risposta che si aspettava per fermare i cambiamenti climatici. Dopo due settimane di discussione con l’intervento di 120 tra Capi di Stato e di Governo, la distanza tra le posizioni dei diversi Paesi si è rivelata alla fine incolmabile sui punti più delicati di trattativa. E solo nelle ultime ore si è scongiurata una rottura completa delle trattative che avrebbe riportato la discussione indietro di 20 anni. L’accordo uscito dal vertice non è la risposta che serve alla crisi climatica: gli impegni di riduzione sono solo volontari e su base nazionale, ed è tutto rinviato per quanto riguarda lo stabilire metodi di controllo e verifica di tali riduzioni e le scadenze precise per la sottoscrizione di un trattato internazionale.

Eppure mai il mondo era stato così vicino a un accordo internazionale che avrebbe permesso di superare il Protocollo di Kyoto nel fissare nuovi e più ambiziosi obiettivi per tutti i Paesi e nel sostegno finanziario agli interventi di mitigazione e adattamento nei Paesi poveri sia nel breve che nel medio periodo. Tutte queste decisioni sono rinviate, si spera al prossimo vertice di Bonn con la speranza di affrontare e risolvere finalmente i punti più delicati. Nel frattempo però il cambiamento climatico non si ferma, anzi obbliga a lavorare con ancora maggiore impegno per arrivare finalmente a un accordo vincolante che spinga le soluzioni capaci di dare risposte per i cittadini delle diverse parti del Pianeta.

Ma la Conferenza di Copenaghen sarà ricordata anche per altri due motivi. Il primo è il salto di scala delle questioni ambientali. Attraverso la chiave del clima sono state come mai nella storia al centro dell'agenda politica internazionale, con un dibattito che ha visto tutti i Governi presentarsi alla Conferenza con obiettivi e politiche nazionali per la riduzione delle emissioni. Il secondo è la straordinaria partecipazione della società civile internazionale alla Conferenza: oltre 35mila persone che hanno raggiunto la Capitale danese, una variegata partecipazione di organizzazioni ambientaliste e sociali dalle più diverse parti del Mondo che ha promosso centinaia di appuntamenti e iniziative, e che però sono stati tenuti proprio negli ultimi e più decisivi giorni fuori dal vertice.

Dobbiamo ripartire da qui come Legambiente per guardare alla situazione italiana, per capire come far uscire il nostro Paese dall’incredibile isolamento nel modo in cui elude la questione climatica confermato anche dall’atteggiamento avuto dal Governo durante il vertice. Per farlo dovremo lavorare con ancora maggiore impegno per mostrare come questa direzione di rotta sia nell'interesse dell’Italia e dei suoi cittadini, oltre che un'occasione per muovere un cambiamento che può aiutarci a uscire dalla crisi e guardare con più ottimismo al futuro.

fonte: lanuovaecologia.it

Conferenza Onu nel caos accordo ancora bloccato

Non si è ancora conclusa, dopo un'intera notte di dibattiti intensi, la conferenza sul clima. L'intesa minimalista (e senza valore vincolante) annunciata in serata dal presidente americano Obama e sottoscritta dal premier cinese, dal primo ministro indiano e dal presidente sudafricano, è stata silurata dall'opposizione del piccolo stato insulare di Tuvalu, nel pacifico (il primo paese che ha già avuto dei 'rifugiati climatici') e poi da una raffica di interventi contrari di paesi latinoamericani: Venezuela, Bolivia, Cuba, Nicaragua e Costarica.

Poco dopo le tre di notte è arrivato il 'no' del rappresentante di Tuvalu: "Avete messo trenta denari sul tavolo per farci tradire il nostro popolo, ma il nostro popolo non è in vendita". Sono seguite decine di interventi, con molte critiche per i metodi seguiti dalla presidenza danese. Molto virulento, e poi molto criticato, è stato l'intervento del rappresentante del Sudan e del G77, che ha paragonato il tentativo di imporre l'accordo all'olocausto, dicendo che condannerebbe il popolo dell'Africa all'incenerimento.

Allo stato attuale la conferenza è in stallo: si discute ancora se retrocedere la proposta di accordo a un documento informativo, o se approvarlo mettendo una nota a piè di pagina con la menzione dei paesi contrari.

fonte: repubblica.it

Accordo a Copenaghen ma non ci sono i vincoli

Alla Conferenza Onu sul clima alla fine l'accordo c'è, ma non soddisfa le attese del mondo. Al termine di una giornata convulsa, una fonte della delegazione americana ha reso noto che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha trovato un'intesa con il premier cinese Wen Jabao, il primo ministro indiano Manmohan Sing e il leader sudafricano Jacob Zuma. L'accordo riguarda anche un meccanismo di finanziamento per la riduzione delle emissioni e il limite di due gradi centigradi da porre all'innalzamento della temperatura.

La fonte americana ha ammesso che "nessun Paese è interamente soddisfatto dell'intero impianto": quella raggiunta a Copenaghen dopo due settimane di negoziati è un'intesa è "significativa" ma "insufficiente per combattere i mutamenti climatici". Si tratta, per dirla con la fonte Usa, di "un primo passo avanti, importante e storico, di una base su cui costruire in futuro". Obama, più tardi, è stato anche più esplicito: "C'è ancora molto da fare. Dovremo lavorare ancora per arrivare a un'intesa vincolante per tutti". Poi ha ribadito che gli Stati Uniti non sono legalmente vincolati dall'accordo ma ribadiscono i loro obiettivi per il taglio delle emissioni.

Tutti i Paesi, sviluppati e in via di sviluppo, hanno concordato di fissare a livello nazionale i loro impegni e le misure da attuare. Le nazioni industrializzate stabiliranno i propri obiettivi a gennaio per il taglio delle emissioni entro il 2020. Per quanto riguarda i controlli, uno dei punti più controversi del negoziato, si è deciso che i vari governi daranno le informazioni sulle loro emissioni tramite "comunicazioni nazionali", con la possibilità di attivare consultazioni internazionali.

Il presidente francese Sarkozy ha spiegato i termini dell'intesa: "L'accordo sarà sottoscritto da tutti i 120 leader ma non è perfetto. Tutti i Paesi industrializzati, compresa la Cina, dovranno definire entro gennaio 2010 piani scritti per tagliare le emissioni di CO2 (anidride carbonica) e i Paesi più sviluppati forniranno 100 miliardi di dollari in aiuti a quelli in via di sviluppo entro il 2020. Una "delusione" per il leader dell'Eliseo l'assenza dell'obiettivo di ridurre del 50% le emissioni entro il 2050. Il presidente francese ha poi annunciato che "una nuova conferenza si terrà a Bonn entro sei mesi", aggiungendo che la organizzerà la cancelliera tedesca, Angela Merkel per preparare la prossima Conferenza sul clima in Messico alla fine del 2010.

Una giornata sull'orlo del fallimento. L'accordo è arrivato dopo una giornata intensa, cominciata con l'intervento di Obama, proseguita con i vertici bilaterali con la Cina, la Russia e i Paesi dell'Ue e con una riunione ristretta dei leader. Dopo il colloquio tra il capo della Casa Bianca e il premier cinese Wen si è parlato di "progressi", ma poi è subentrato di nuovo il pessimismo. La giornata è andata avanti tra alti e bassi. Sul Bella Center di Copenaghen ha aleggiato per ore la possibilità di protrarre i lavori oltre la chiusura prevista per stasera e andare avanti fino a domenica, come chiesto dalle Nazioni Unite.

Il ruolo di Obama. Il presidente americano ha dato la sua impronta al vertice fin dal suo arrivo. Già nel discorso tenuto stamane ha sottolineato che era necessario raggiungere un accordo, anche se imperfetto. E poi, dopo il raggiungimento dell'intesa, ha sottolineato che "per la prima volta nella storia tutte le maggiori economie hanno deciso un'azione contro i mutamenti climatici", anche se "c'è ancora molto da fare".

"Gli Stati Uniti continueranno a lottare contro il cambiamento climatico, a prescindere da quello che verrà deciso a Copenaghen. Siamo qui non per parlare ma per agire", ha assicurato Obama nel discorso di questa mattina. "L'America è pronta a prendersi le sue responsabilità in quanto leader - ha proseguito - Non sareste qui se non foste convinti che il pericolo è reale. Il cambiamento climatico non è fantascienza, ma è scienza, è reale".

Quanto all'impegno concreto sul da farsi, Obama ha detto che gli Usa sono pronti a fare la propria parte sia per il finanziamento dei Paesi più poveri che nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e ha chiesto a tutti i partner di condividere questi sforzi. Obama non ha però fatto nuovi annunci su impegni ulteriori degli Stati Uniti, limitandosi quindi a confermare l'impegno a "tagliare le nostre emissioni del 17 per cento entro il 2020, e di oltre l'80 per cento entro il 2050".

La bozza del pomeriggio. Durante questa convulsa giornata è emerso a un certo punto un documento nel quale si usava per la prima volta la parola "accordo". Nella bozza si fissavano alcuni obiettivi: taglio delle emissioni dell'80 per cento per i Paesi ricchi entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990, e fino al 50 per cento per gli altri Paesi; limite entro cui contenere l'aumento della temperatura a due gradi centigradi, con la possibilità di portarlo a 1,5 alla prossima Conferenza del 2016.

fonte: repubblica.it

Obama: «Storico accordo, ma non sufficiente. È un "primo passo"»

«Storico accordo con Cina, India, Brasile e Sudafrica». Questo l'annuncio di Barack Obama dopo un vertice serale fuori programma con il premier cinese Wen Jiabao, il premier indiano Manmohan Singh, il presidente del Brasile Inacio Lula da Silva e il presidente sudafricano Jacob Zuma. Ma lo stesso leader della Casa Bianca parla chiaro: «Non è sufficiente per combattere il cambiamento climatico, ma si tratta di un importante primo passo. Nessuna nazione è interamente soddisfatta con tutte le parti dell'accordo. Ma questo è un significativo e storico passo avanti, è una base sulla quale costruire ulteriori progressi». L'accordo non è legalmente vincolante. Il vertice avrebbe dovuto concludersi alle 18 di venerdì, ma dopo il termine sono proseguiti frenetici incontri tra i principali protagonisti per evitare un completo fallimento. «Il mondo accetti anche un'intesa non perfetta», aveva detto Obama e così è stato. Ma il presidente francese Nicoals Sarzoky era di parere opposto: «Non vogliamo un accordo mediocre», ma alla fine ha dovuto ingoiare il rospo insieme a tutta l'Europa: «La mancanza di numeri sui gas serra è un fallimento. Questo vertice ha dimostrato il limiti del sistema Onu, pari a quelli di una bolla di sapone». Un portavoce dell'Ue ammette: «È molto meno di quanto speravamo, ma un accordo è meglio di nessun accordo e mantiene vive le nostre speranze».

«FALLIMENTO TOTALE» - Infuriate le associazioni ambientali, che parlano di fallimento. E Greeenpeace subito attacca: «Ma quale accordo storico: è un fiasco totale». Sarkozy ha spiegato che l'opposizione della Cina a un monitoraggio delle emissioni è stato uno dei problemi principali. Esulta solo la Cina: «Un risultato positivo». Anche il Brasile è scontento: «Sono sconcertato», dice l'ambasciatore Sergio Serra. «Ci siamo messi d'accordo solo sul fatto di riunirci ancora». Una nuova conferenza si terrà a Bonn entro sei mesi per preparare la prossima Conferenza sul clima in Messico alla fine del 2010.

GAS SERRA - Nell'intesa infatti non si parla di numeri sulla riduzione delle emissioni di gas serra, né a medio né a lungo termine. Ma solo di contributi ai Paesi in via di sviluppo per incrementare le tecnologie verdi. I Paesi industrializzati hanno rinviato al prossimo gennaio la decisione sulla misure che dovranno intraprendere entro il 2020 per ridurre le emissioni di gas serra. «Cifre precise di riduzione delle emissioni di CO2 per il 2015-2020 saranno fornite per iscritto», ha comunicato Sarzoky. Prima dell'incontro decisivo, l'ultima bozza diffusa prevedeva queste riduzioni: mondo intero -50% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. E in particolare: Paesi industrializzati -80%, Paesi in via di sviluppo 15-30% in meno «sul livello normale». Inoltre restava la data del dicembre 2010 come limite ultimo per trovare un trattato legalmente vincolante per combattere il riscaldamento globale «al di sotto dei 2 gradi centigradi». Con una revisione nel 2016 che potrebbe considerare un limite più ristretto a 1,5 gradi. Ma la Cina era contraria a sottoscrivere il -50% globale entro il 2050. È servito quindi a poco lo studio delle Nazioni Unite diffuso in mattinata che dice a chiare lettere che se si firma un accordo con le proposte concordate, l'aumento medio delle temperature mondiali sarà di tre gradi e non di due. Sarkozy ha spiegato che l'accordo non è stato trovato, e che l'opposizione della Cina a un monitoraggio delle emissioni è stato uno dei problemi principali.

SOLDI - Per i Paesi in via di sviluppo sono previsti aiuti per 30 miliardi di dollari entro il 2012. La prima bozza parlava di 10 miliardi. gli Stati Uniti hanno promesso di contribuire con 3,6 miliardi.


PERICOLO - «L'America è pronta a prendersi le sue responsabilità», aveva detto Obama all'assemblea generale prima di incontrare in mattinata il premier cinese. «Non sareste qui se non foste convinti che il pericolo è reale. Il cambiamento climatico non è fantascienza, ma è scienza, è reale». Sulla riduzione di CO2 ha ribadito il suo impegno affinché il Congressoi Usa approvi la legge per ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 17% entro il 2020 rispetto al 2005. Il discorso di Obama era stato giudicato «deludente» dal ministro dell'Ambiente brasiliano, Carlos Minc, il quale ha criticato la decisione dell'amministrazione americana di presentarsi al vertice senza la disponibilità a negoziare tagli più consistenti alle proprie emissioni, usando come scusa il fatto di avere bisogno dell'approvazione del Senato. «È come se gli Stati Uniti fossero l'unico Paese con un Parlamento». «Stiamo trovando maggiori difficoltà con il Brasile che con la Cina», ha affermato il ministro dell'Ambiente spagnolo, Elena Espinosa.

LA BOZZA - Passi avanti sono comunque stati fatti rispetto agli ultimi giorni. L'aumento della temperatura globale del pianeta dovrà essere tenuto entro i 2 gradi centigradi sui livelli pre-industriali e i Paesi poveri saranno finanziati con un fondo che raggiungerà i 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 per adottare tecnologie «pulite» e affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Restano le incognite per quanto riguarda gli obiettivi di riduzione di CO2 al 2020 comparati ai livelli delle emissioni del 1990 e del 2005, e infatti è previsto un vertice dei Paesi industrializzati nel prossimo gennaio per definirli.

fonte: corriere.it

Approvato l'Accordo di Copenaghen dopo la dura opposizione del Terzo mondo

Alla fine anche i Paesi in via di sviluppo hanno ceduto e poco dopo le 10,30 di sabato è stato firmato da tutto l'Accordo di Copenaghen, la cui intesa (senza valore vincolante) era stata raggiunta venerdì sera dal presidente americano Barack Obama e sottoscritta dal premier cinese Wen Jiabao, dal primo ministro indiano Manmohan Singh e dal presidente sudafricano Jacob Zuma. Nella dichiarazione finale saranno elencate le nazioni a favore dell'Accordo e quelle contrarie.

OPPOSIZIONE - Il Terzo mondo ha ceduto anche anche perché, senza un accordo all'unanimità come previsto in casi simili dalle Nazioni Unit (e questo, come hanno fatto notare in molti, tra i quali il presidente francese Nicolas Sarzoky, è un grande limite perché è oggettivamente arduo mettere d'accordo gli interessi di 193 nazioni diverse), non avrebbero potuto essere attivati nemmeno i fondi compensativi previsti dall'Accordo per i Paesi in via di sviluippo, pari a 30 miliardi di dollari entro il 2012, rispetto ai 10 inizialmente previsti. Durante la notte si era registrata la ferma opposizione del piccolo arcipelago nel Pacifico di Tuvalu (il primo Paese che ha già avuto «rifugiati climatici») e poi da una raffica di interventi contrari di nazioni latinoamericane: Venezuela, Bolivia, Cuba, Nicaragua e Costarica. L'accordo (al ribasso) prevede infatti solo un impegno a limitare entro un massimo di due gradi l'aumento delle temperature globali, ma non fissa cifre sui tagli alle emissioni di gas serra (che causano il riscaldamento) e prevede aiuti per 100 miliardi di dollari da qui al 2020 per i Paesi in via di sviluppo.

LE CRITICHE - Poco dopo le 3 di notte è arrivato il no di Jan Fry, il rappresentante di Tuvalu che già nei giorni scorsi si era distinto per aver descritto in lacrime la minaccia climatica che pesa sul suo Paese. «Avete messo trenta denari sul tavolo per farci tradire il nostro popolo, ma il nostro popolo non è in vendita», ha detto Fry. Sono seguite decine di interventi, con molte critiche per i metodi seguiti dalla presidenza danese e dal gruppo dei leader di 25-30 nazioni che ha cercato di far uscire il negoziato dalla situazione di stallo. Molto virulento, e poi molto criticato, è stato l’intervento del rappresentante del Sudan e del G77, che ha paragonato il tentativo di imporre l’accordo all’Olocausto, dicendo che condannerebbe il popolo dell’Africa all’incenerimento.

LA BOZZA DELLA SERATA - L’intesa fra Usa, Cina, India e Sudafrica, dopo un lungo momento d’incertezza a tarda sera era stata sottoscritta a malincuore anche l’Ue, che non aveva partecipato all’incontro quadrilaterale promosso da Obama. L'Ue aveva valutato criticamente il testo scaturitone. Il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, durante una conferenza stampa convocata alle 2 di notte con il presidente di turno dell’Ue e primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt, ha sostanzialmente spiegato come a quel punto sembrasse essere ormai l’unico accordo possibile, pur riconoscendo che restava al di sotto delle attese e delle ambizioni di Bruxelles. La presidenza dalla conferenza del premier danese Lars Loekke Rasmussen, nonostante le critiche iniziali, è stata poi difesa da molti altri interventi. Si discute ancora se retrocedere la proposta di accordo a un documento informativo, o se approvarlo mettendo una nota a piè di pagina con la menzione dei Paesi contrari.

fonte: corriere.it

venerdì 18 dicembre 2009

Napoli: l’emergenza rifiuti è finita. Dopo 15 anni si torna alla gestione "ordinaria"

Dopo due giorni di pre-Consiglio, è stato approvato il decreto legge sulla protezione civile, che chiude l'emergenza rifiuti in Campania. Dal 1° gennaio 2010, dunque, si tornerà alla gestione ordinaria. È stata però prevista una fase di passaggio, durante la quale la continuità e il supporto agli enti locali verranno garantiti da un’Unità stralcio ed un’Unità operativa. Tra i compiti più importanti affidate a queste strutture l’accertamento dei debiti e dei crediti derivanti dalla gestione dell’emergenza rifiuti in Campania. Le due strutture cesseranno di esistere il 31 gennaio 2011, termine prorogabile per non più di sei mesi.

La prima dichiarazione di emergenza per i rifiuti in Campania risale a febbraio 1994; sono passati diversi anni, numerosi commissari e ora possiamo dire che l'emergenza e' finita, ha commentato il sottosegretario all'emergenza rifiuti, Guido Bertolaso, in una conferenza stampa tenuta a Palazzo Chigi al termine del Cdm.

Nel decreto anche le questioni relative al termovalorizzatore di Acerra, il cui valore è stato stabilito in 370 milioni di euro. La proprietà dell’impianto dovrà passare alla regione Campania o ad altro ente pubblico anche non territoriale, ovvero alla Presidenza del Consiglio-Dipartimento della Protezione civile o a soggetto privato entro il 31 dicembre 2011. La gestione dell’impianto passerà, invece, ad A2A a partire dal 15 gennaio prossimo. Dal primo mese del 2010 viene autorizzata la stipula di un contratto di affitto dell’impianto, il cui canone è stato stabilito in 2,5 milioni di euro mensili. Alla Protezione civile spetterà il pieno godimento dell’impianto compresi i ricavi derivanti dalla vendita di energia elettrica prodotta. La responsabilità per l’impianto di Salerno spetterà invece alla provincia.

fonte: ecodallecitta.it

CAMPAGNA MONDIALE SULLA SICUREZZA SUL LAVORO

La campagna relativa alla sicurezza e alla salute sul posto di lavoro più grande al mondo - la campagna Ambienti di lavoro sani e sicuri organizzata dall'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro - ha raggiunto un pubblico molto ampio, mentre l'Agenzia opera per garantire la sicurezza dei lavoratori europei. L'ultima campagna sulla valutazione dei rischi, conclusasi il 17 novembre 2009, ha registrato livelli di partecipazione record in tutti gli Stati membri dell'UE e nei paesi terzi; centinaia di manifestazioni sono state organizzate intorno al tema della valutazione del rischio e della sua importanza, oltre due milioni di schede informative, DVD e altro materiale per la campagna sono stati resi disponibili gratuitamente e, per la prima volta, più di quaranta organizzazioni europee di spicco hanno partecipato alla campagna in veste di partner ufficiali. Secondo il direttore dell'Agenzia Jukka Takala, "l'elevato livello di partecipazione alla campagna negli ultimi mesi riflette l'importanza della valutazione del rischio per garantire luoghi di lavoro sani".

Nel corso della campagna, l'Agenzia ha agito in stretta collaborazione con la propria rete di Focal Point, gruppi di datori di lavoro e di lavoratori, istituzioni che si occupano di sicurezza e salute, e organizzazioni professionali con cui l'Agenzia opera in tutta Europa. La campagna di valutazione dei rischi, sostenuta ai livelli più alti in Europa, ha evidenziato come una regolare valutazione dei rischi sul luogo di lavoro sia fondamentale per la gestione della salute e della sicurezza. La valutazione dei rischi non è però qualcosa di necessariamente complicato, burocratico o da affidare a esperti: al contrario è qualcosa che le organizzazioni di qualsiasi dimensione possono effettuare (ove richiesto per legge). Inoltre, grazie alla nuova banca dati degli strumenti per la valutazione del rischio messa a punto dall'Agenzia, disponibile in tutta Europa a titolo gratuito e in grado di produrre liste di controllo, documenti di orientamento e altre risorse, generiche o specifiche a un settore o a un rischio, oggi è ancora più facile effettuare valutazioni dei rischi in modo semplice ed efficace. Tale strumento è disponibile al seguente indirizzo: http://osha.europa.eu/en/practical-solutions/risk-assessment-tools Al termine della campagna di valutazione dei rischi, l'attenzione si sta spostando verso la prossima campagna Ambienti di lavoro sani e sicuri volta a sensibilizzare l'importanza della manutenzione per garantire luoghi di lavoro sani e sicuri nonché alla necessità di tutelare i lavoratori addetti alla manutenzione. La campagna avrà luogo tra il 2010 e il 2011 e sarà inaugurata ufficialmente il 28 aprile 2010, Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro. L'Agenzia sta già invitando a presentare le candidature per la premiazione europea per le buone pratiche per il 2010-2011, a favore di quelle aziende o organizzazioni che hanno contribuito in modo innovativo a trovare sistemi per sostenere una manutenzione sicura.

Jukka Takala ha affermato: "con oltre 450 europei che perdono la vita ogni giorno per cause legate all?attività lavorativa e il 6% del PIL europeo perso a causa di infortuni sul lavoro e malattie, è essenziale continuare ad occuparci della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro. Sono convinto che la campagna sulla manutenzione sicura si fonderà sul successo della campagna sulla valutazione dei rischi e continuerà a rivolgersi ai lavoratori europei."

fonte: ambiente.it

Legambiente in piazza contro il Ponte «Restituiremo la prima pietra al Governo»

«Il 19 dicembre 2009 saremo in tanti». Legambiente, con i circoli del territorio siciliano e calabrese in testa, aderisce alla manifestazione contro il bluff del Ponte. L’appuntamento è per domani, 19 dicembre. I manifestanti che scenderanno in piazza chiedono le opere necessarie per il riassetto idrogeologico in quelle aree fragili, e il potenziamento del trasporto ferroviario regionale e dei servizi di traghettamento.

«I proclami bluff del governo sull’avvio dei cantieri per la realizzazione del Ponte sullo Stretto – ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza - distolgono attenzione, energie e risorse ad altre necessità pressanti e non più rinviabili sulle due sponde dello Stretto». Per la costruzione di quest’opera faraonica non è ancora stato presentato un piano finanziario completo. «Di vero e di concreto- sottolinea il presidente- ci sono, al momento, solo soldi pubblici, finanziati dal Cipe e dalla Finanziaria per circa un terzo della cifra stimata utile alla realizzazione del Ponte».

Oltre due miliardi di fondi pubblici, quindi, che sarebbero ben spesi per l’immediata messa in sicurezza dei territori delle province di Messina e di Reggio Calabria o per la realizzazione di nuove e più moderne infrastrutture per il trasporto pendolare. Legambiente è soddisfatta della decisione della Regione Calabria di uscire dalla Società Stretto di Messina e invita la Regione Sicilia a seguire questa strada.
«Quella del Ponte – ha concluso Cogliati Dezza – è una scelta che non guarda alle reali necessità del Paese, e che nel periodo della crisi delle banche rischia solo di trasformarsi in un cantiere infinito. Per questo, auspichiamo una ricca partecipazione alla manifestazione pacifica e popolare di sabato a Villa San Giovanni, e annunciamo la restituzione simbolica della “prima pietra” al governo nazionale».

fonte: lanuovaecologia.it

Per un Natale green differenziare carta e cartone

Natale è ormai alle porte e imparare a gestire la montagna di carta da regalo, imballaggi, confezioni e scarti alimentari che si accumulano dopo i cenoni potrebbe fare un bel regalo all’ambiente e alla nostra salute.
Aseguito di un sondaggio effettuato da Ipsos-Comieco è emerso che gli italiani sono un popolo di virtuosi della raccolta differenziata: 8 italiani su 10 smaltiscono carta e cartone ma molti non conoscono a fondo la corretta collocazione degli imballaggi gestendoli in maniera non completamente corretta.
Ci pensa Comieco (Consorzio Nazionale per il recupero e il riciclo degli imballaggi a base cellulosica) a dare una mano fornendo una lista di utili indicazioni per una raccolta corretta e consigliando anche come rendere occasioni ‘ecosostenibili’ il necessario smaltimento dei residui del menu di Natale e Capodanno.
La carta di formaggi e affettati? Il suo posto è nel cassonetto dell’indifferenziata. La carta forno utilizzata per la cottura di arrosti e timballi? Sempre nell’indifferenziata. Ecco gli errori più comuni commessi dagli italiani che gettando via confezioni di cibo e tovagliolini a fine pasto credono di far bene a collocarli nel contenitore destinato alla carta, non sapendo invece che i materiali unti o intaccati da residui di cibo non possono essere così riciclati.
Altro errore sul quale il consorzio ha invitato a riflettere, il non separare confezioni a più materiali, contenenti ad esempio pandori e panettoni. Si tratta di una scatola in cartone e di un involucro in cellophane che dovrebbero essere smaltiti separatamente ma che spesso dimentichiamo di dividere.
Facendo attenzione a differenziare anche i molti scontrini che si accumulano durante le feste, che non vanno gettati nei contenitori della carta in quanto carta chimica, si potrebbe evitare la creazione di una nuova discarica generata dall’accumulo di materiali che potevano essere riciclati e riutilizzati.
Un po’ più di attenzione, secondo Comieco, non sarà affatto vana.

fonte: rinnovabili.it

Clima, pronta una bozza di accordo Incontro fra Obama e Jiabao

"Clima positivo" e tante ore di lavoro notturno per cercare con tenacia un accordo sulle misure da prendere per frenare il riscaldamento del pianeta. Negoziati ad oltranza a Copenaghen dove il vertice dell'Onu sul clima è arrivato veramente in dirittura d'arrivo con l'arrivo dei leader. In attesa dell'entrata in scena di Barack Obama, prevista per questa mattina, i capi di Stato e di governo si sono rimboccati le maniche e hanno iniziato a negoziare sul serio, anche attraverso una girandola di colloqui bilaterali che arriveranno al culmine oggi con gli incontri che il presidente americano avrà - qui a Copenaghen - con il premier cinese Wen Jiabao, con il presidente russo Dmitri Medvedev e brasiliano Ignacio Lula da Silva.

Convocato anche un extra-vertice notturno in una corsa contro il tempo, anche se molti pensano che sarà necessario prolungare il vertice di un altro giorno. In tarda notte l'annuncio del premier danese, Lars Rasmussen, che la riunione sta dando i suoi frutti e che è pronta una nuova bozza di accordo che sarà presentata questa mattina alle otto ai leader. Nel documento che sarà all'attenzione dei leader ci sarebbero l'impegno a ridurre le emissioni di gas inquinanti per mantenere l'aumento delle temperature sotto i due gradi e l'obiettivo di finanziare a lungo termine i Paesi in via di sviluppo con 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020.

"E' stata una riunione utile e fruttuosa", ha osservato Rasmussen confermando che gli sherpa lavoreranno tutta la notte per fare "ulteriori progressi". La svolta che ha ridato fiato al negoziato è comunque ancora una volta "made in Usa" anche se gli europei hanno spinto al massimo per un risultato alto. Obama si è fatto precedere a sorpresa dal segretario di Stato Hillary Clinton che ieri mattina ha sparso a piene mani fiducia accompagnando le dichiarazioni di buona volontà con una apertura forte: gli Stati Uniti accettano di partecipare al fondo di aiuti per i Paesi in via di sviluppo per 100 miliardi di dollari entro il 2020.

Resta in piedi l'incognita Cina che ieri ha mostrato un eccesso di tattica: prima ha gettato nel panico i negoziatori delle Nazioni Unite facendo sapere che un accordo era "impossibile"; quindi, attraverso una dichiarazione del premier cinese Wen Jiabao, ha chiesto un "accordo equilibrato, giusto e ragionevole".
Intanto oggi, forse non a caso, è trapelato uno studio shock delle Nazioni Unite che dice a chiare lettere che se si firmasse un accordo alle condizioni attuali il Pianeta rimarrebbe a rischio catastrofe. Secondo questo un documento confidenziale, le offerte di riduzione delle emissioni di Co2 sul tavolo dei negoziati, porterebbero ad un aumento medio delle temperature mondiali di tre gradi rispetto all'obiettivo dei 2 gradi. Tradotto: 170 milioni di persone in più soffrirebbero per le inondazioni e 550 milioni in più rischierebbero la fame.

fonte: repubblica.it

Clima, pronta una bozza d'accordo

Non è ancora chiaro se ci sarà un accordo. Nel giorno conclusivo del vertice del vertice sul clima, dopo una discussione durata per gran parte della notte a Copenaghen è pronta la bozza d'intesa da sottoporre all'esame dei «grandi» del mondo: l'aumento della temperatura globale del pianeta dovrà essere tenuto entro i 2 gradi centigradi sui livelli pre-industriali e i Paesi poveri saranno finanziati con un fondo che raggiungerà i 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020 per adottare tecnologie «pulite» e affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Queste le linee-guida anticipate da due fonti che hanno partecipato ai negoziati. Tuttavia la resistenza della Cina e dell'India a un'intesa rimane forte e per questo si attende l'arrivo del presidente degli Stati Uniti Barack Obama per superare le ultime difficoltà, se la cosa sarà possibile.

BOZZA - La bozza, presentata dalla presidenza danese che ospita il summit, è stata già sottoposta all'esame degli esperti di clima di 26 Paesi diversi, i più influenti, e sarà oggi esaminata dagli oltre 100 capi di Stato e di governo che sono già arrivati o che stanno sbarcando a Copenaghen. Il testo messo a punto dagli «sherpa» e che ovviamente potrebbe ancora subire cambiamenti, allo stato non cita però obiettivi per i tagli delle emissioni dei Paesi industrializzati. Si è lavorato fino a notte fonda per limare il documento. «Abbiamo tentato di dare un ombrello politico all'accordo», ha detto il premier svedese, Fredrik Reinfeldt, che detiene la presidente di turno dell'Ue. «C'è stato un dialogo molto costruttivo», gil ha fatto eco il premier danese e presidente della conferenza Onu, Lars Loekke Rasmussen.
La bozza, come detto, prevede un pacchetto di aiuti ai Paesi più vulnerabili, che parte da 10 miliardi di dollari all'anno tra il 2010 e il 2012, passa a 50 miliardi di dollari annualmente fino al 2015 e 100 miliardi entro il 2020; e propone una serie di meccanismi di raccolta del denaro. I tagli alle emissioni dovranno invece essere tali da non far superare l'aumento di due gradi Celsius (le piccole isole che rischiano di essere sommerse dall'innalzamento del livello dei mari causati dallo scioglimento dei ghiacci avevano chiesto un limite massimo di 1,5 gradi). Le prossime ore saranno decisive per le trattative sul nodo centrale, il taglio alle emissioni. I leader di 26 Paesi ricchi e in via di sviluppo si sono già incontrati nelle primissime ore del giorno per tentare di superare le profonde divisioni; e si incontreranno di nuovo. Trattative febbrili dunque, soprattutto per convincere Cina e India, al primo e al quarto posto nella lista dei Paesi più inquinanti: i due giganti asiatici si sono detti finora disponibili a misure volontarie per rallentare le emissioni di CO2, ma sono riluttanti a consentire ispezioni dall'esterno che verifichino il rispetto degli impegni.

SVOLTA - La svolta che ha ridato fiato al negoziato è comunque ancora una volta «made in Usa» anche se gli europei hanno spinto al massimo per un risultato più incisivo. Obama si è fatto precedere a sorpresa dal segretario di Stato Hillary Clinton che giovedì ha sparso a piene mani fiducia accompagnando le dichiarazioni di buona volontà con una apertura forte: gli Stati Uniti accettano di partecipare al fondo di aiuti per i Paesi in via di sviluppo per 100 miliardi di dollari entro il 2020. Resta in piedi l'incognita Cina che giovedì ha mostrato un eccesso di tattica: prima ha gettato nel panico i negoziatori delle Nazioni Unite facendo sapere che un accordo era «impossibile»; quindi, attraverso una dichiarazione del premier cinese Wen Jiabao, ha chiesto un «accordo equilibrato, giusto e ragionevole». Intanto oggi, forse non a caso, è trapelato uno studio choc delle Nazioni Unite che dice a chiare lettere che se si firmasse un accordo alle condizioni attuali il Pianeta rimarrebbe a rischio catastrofe. Secondo questo documento confidenziale, le offerte di riduzione delle emissioni di Co2 sul tavolo dei negoziati, porterebbero ad un aumento medio delle temperature mondiali di tre gradi rispetto all'obiettivo dei 2 gradi. E sarebbe una catastrofe per il pianeta.

fonte: corriere.it

Google

Passatempo Preistorico

Moonstone Madness

Pronti a partire, pronti per distruggere tutto? Bene, allora fate un salto indietro nell'era preistorica e immergetevi in questa nuova avventura dal gusto tribale. A bordo del vostro cinghiale dovrete raccogliere le gemme preziose necessarie per passare alle missioni successive, saltando gli ostacoli se non volete perdere il vostro bottino e distruggendo i totem a testate per conquistare altre gemme utili. Inoltre, una magica piuma vi catapulterà verso il cielo dove punti e gemme preziose sono presenti in gran quantità, per cui approfittatene! cercate di completare la missione entro il tempo limite, utilizzando le FRECCE direzionali per muovervi, abbassarvi e saltare, e la SPACEBAR per prendere a testate i totem.

Change.org|Start Petition

Blog Action Day 2009

24 October 2009 INTERNATIONAL DAY OF CLIMATE ACTION

Parco Sempione - Ecopass 2008

Powered By Blogger