lunedì 21 dicembre 2009

Che cosa ci ha lasciato Copenhagen

Un flop, una conclusione se non completamente fallimentare, molto molto al di sotto delle attese. Anche "Obama green" ha deluso, ha tradito le premesse della sua presidenza, le promesse ambientaliste della campagna elettorale. Il vertice sul clima di Copenhagen ha avuto anche, sabato 19 dicembre pomeriggio, una conclusione tragicomica quando il delegato sudafricano - ultimo a prendere la parola prima del rompete le righe - ha lanciato un appello a vegliare perché le date della prossima riunione sul clima, prevista a Bonn, non coincida con i mondiali di calcio del 2010 in Sudafrica.
Il vertice, cominciato il 7 dicembre, ha coinvolto 193 Paesi, oltre 100 capi di Stato e premier. Sono state 45 mila le richieste di accredito. Questa montagna ha partorito un topolino. L'accordo, un documento di appena tre pagine, fissa come obiettivo il limite di riscaldamento del pianeta a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Prevede anche degli aiuti di 30 miliardi di dollari su tre anni (2010, 2011 e 2012) per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici, e una successiva crescita degli aiuti fino a 100 miliardi di dollari entro il 2020. Obiettivi, appunto, da firmare nel 2010; nessun impegno operativo "da subito"; niente di vincolante. Un ristretto club, formato da Barack Obama, dal premier cinese Wen Jiabao, dal primo ministro indiano Manmohan Singh, dal presidente del Sudafrica Jacob Zuma e dal presidente del Brasile Lula da Silva, ha stabilito così. Punto e basta. Tutti gli altri, Unione Europea compresa, hanno fatto da comparse. I Paesi poveri hanno lasciato Copenhagen a testa bassa. Un commentatore autorevole come Bill Emmott, ha scritto: "In sostanza l'accordo rappresenta la promessa di stipularne uno successivo l'anno prossimo".

Ci sono molte letture che si possono fare. Quella internazionale dice: America ed Europa non sono più in grado di dettare le regole, mentre la Cina - grazie a una delegazione attiva e compatta - ha detto e fatto quello che ha voluto (nessuna interferenza internazionale sul tema, in cambio della promessa di una prima regolamentazione interna) grazie anche all'appoggio di una parte importante dei Paesi emergenti. Quella ambientalista dice: prevalgono altri interessi, economici, strategici, sulle emergenze di oggi e di domani dell'ambiente naturale del pianeta. Se vogliamo essere indulgenti possiamo dire: è stato l'inizio di una strada lunga e difficile.
Se non vogliamo esserlo, dobbiamo essere chiari: è stato un vertice scandaloso, soldi buttati.

fonte: greenplanet.net

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