martedì 22 dicembre 2009

Quanto ci costa un mondo pulito diminuire le emissioni è low cost

Il numero, nell'intesa uscita da Copenaghen, non c'è, ma prima o poi, mettersi al lavoro per dimezzare, entro il 2050, le emissioni di anidride carbonica, rispetto al 1990, sarà inevitabile, se non si vuole che l'impatto dell'effetto serra (siccità, inondazioni, secondo gli scienziati) ci travolga, aumentando la temperatura media del pianeta di più di 2 gradi. È un taglio da guardare con timore, una medicina necessaria, ma amarissima? I passi da compiere li conosciamo: abbattere i consumi di combustibili fossili, come petrolio, carbone, gas, espandere massicciamente le centrali ad energia pulita (sole, vento, nucleare). Si tratta di investimenti enormi. In più, tutte le industrie che emettono CO2 dovranno pagare per i diritti alle emissioni e scaricheranno i maggiori costi sui prezzi.

Una valanga che travolgerà il nostro stile di vita, costringendoci a rinunce e penitenze? La risposta è no. Dimezzare le emissioni non significa che saremo costretti ad andare in giro in sandali e lana grezza. Al contrario, gli effetti sulla vita quotidiana sono straordinariamente limitati.

I modelli econometrici hanno un valore di predizione necessariamente limitato, tanto più quando si tratta di prevedere il comportamento dei prezzi, da qui a quarant'anni. Se prestiamo fede ai più recenti esercizi degli economisti, tuttavia, meno emissioni non significano disastro in vista. Secondo uno studio della scorsa estate della Northwestern University, tagliare le emissioni del 50 per cento comporterebbe, negli Stati Uniti, un aumento generale del prezzi al consumo non superiore, in media, al 5 per cento. È vero, però, che, per arrivare ad un taglio globale del 50 per cento delle emissioni, i paesi industrializzati dovrebbero ridurre le loro (come ha già annunciato di voler fare Obama), dell'80 per cento. Ma anche questo taglio non avrebbe effetti drammatici, secondo il Pew Center on Global Climate Change: "Anche tagliare le emissioni dell'80 per cento nell'arco di quattro decenni avrebbe, nella gran parte dei casi, un effetto molto limitato sui consumatori".

Lo stesso vale per l'Europa. La rivista New Scientist ha commissionato a Cambridge Econometrics - una società di consulenza che fornisce regolarmente, sul cambiamento climatico, modelli econometrici al governo britannico, ma a scadenza più ravvicinata - una previsione dell'impatto sui prezzi, per i consumatori inglesi, di un taglio delle emissioni, al 2050, dell'80 per cento, rispetto al 1990. I ricercatori ci sono arrivati, prendendo come riferimento l'esperienza storica. Cioè quanto, in passato, i mutamenti del costo dell'energia hanno influenzato i prezzi di 40 diversi prodotti di consumo. Risultato? L'impatto, sui prezzi di gran parte dei prodotti di consumo è modesto: l'1-2 per cento. Il prezzo del cibo aumenterebbe, in media, dell'1 per cento, come quello dei vestiti e delle automobili. Una pinta di birra costerebbe il 2 per cento in più, un pc portatile da 1.000 euro ne costerebbe 1.020. Anche una lavatrice o un frigorifero costerebbero solo il 2 per cento in più.

Questo avviene perché l'energia necessaria a produrre questi beni rappresenta, appunto, l'1-2 per cento del prezzo finale. I beni e i prodotti in cui l'energia pesa di più subirebbero una spinta assai più forte, ma sono relativamente pochi. La bolletta dell'elettricità, ad esempio, rincarerebbe del 15 per cento. E ancora di più i viaggi aerei, dove l'energia rappresenta oltre il 7 per cento del prezzo finale. Dato che le compagnie aeree, al momento, non hanno un'alternativa a basso contenuto di anidride carbonica come combustibile, pagarsi i diritti alle emissioni sarebbe un costo pesante. Cambridge Econometrics prevede un aumento del 140 per cento del prezzo dei biglietti aerei.

In effetti, i calcoli del modello presuppongono due ipotesi. La prima è che il governo fornisca incentivi ai cittadini perché, invece del gas, usino l'elettricità per la cucina e, soprattutto, il riscaldamento. La seconda è che il governo stesso investa massicciamente nelle infrastrutture necessarie per le auto elettriche. Da qui a 40 anni, non sono, però, ipotesi remote. E, comunque, dice un altro studio, realizzato da un gigante mondiale della consulenza, come McKinsey, hanno un peso relativo: "Quattro quinti delle riduzioni nelle emissioni - sostengono gli analisti della McKinsey - possono essere realizzati sfruttando tecnologie che già oggi esistono su scala commerciale". Basterebbe, dicono, un prezzo dei diritti alle emissioni di 50 dollari per tonnellata di CO2. "E il 40 per cento delle riduzioni - aggiungono - di fatto consentono di risparmiare soldi".

Ma allora, le previsioni catastrofiche, come quelle di un luminare di Yale, William Nordhaus, secondo il quale stabilizzare clima e temperature costerebbe, solo agli Usa, 20 mila miliardi di dollari? Si tratta di intendersi. Stephen Schneider, di Stanford, ha rifatto i conti di Nordhaus. I 20 mila miliardi di dollari, infatti, non sono il costo immediato, ma al 2100. Se si assume che, da qui ad allora, l'economia americana crescerà in media del 2 per cento l'anno, un ritmo abbastanza ordinario per il gigante Usa, il prezzo da pagare per salvare il pianeta non sembra un granché: "Vuol dire solo - secondo Schneider - che gli americani dovranno aspettare il 2101 per essere ricchi, quanto, senza toccare le emissioni, sarebbero stati nel 2100".

fonte: repubblica.it

1 commento:

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

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