I CRITERI - Per la messa a punto del fattore di rischio climatico gli analisti di Germanwatch riferiscono di essersi basati su solidi indicatori, come i bilanci dei morti provocati ogni anno dagli eventi estremi; i danni calcolati in valore assoluto e rispetto al prodotto interno lordo; i rimborsi di polizze registrati nei data base di Munich Re, la maggiore compagnia di riassicurazioni del mondo. La graduatoria vede ai primi tre posti Bangladesh (con una media di 8241 morti l’anno e danni per 2189 milioni di dollari); Myanmar (4522 morti e 707 milioni di dollari); Honduras (340 morti e 660 milioni di dollari). L’Italia, come dicevamo all’inizio, risulta al 12° posto, con 2071 vittime per anno e perdite di 1862 milioni di dollari. Alla nostra osservazione che la cifra dei morti ci appare eccezionalmente alta, Sven Harmeling ha risposto che tale media di vittime per anno è stata gonfiata da ben 38 mila morti registrati a causa dell’ondata di calore del 2003. Ma colpisce anche il fatto che il nostro Paese sia l’unico industrializzato presente nei primi 12 posti della classifica: tutti gli altri sono Paesi in via di sviluppo. Per incontrare un altro Paese europeo, dobbiamo scendere al 14° posto che è occupato dalla Spagna (1451 morti e 1057 milioni di dollari). Dalla mappa della vulnerabilità mondiale, spiegano Klaus Milke e Saleemul Huq, altri due analisti che hanno contribuito allo studio di Germanwatch, emerge che il rischio è maggiore nei Paesi dell’Africa; dei megadelta fluviali (per esempio Gange, Brahmaputra, Mekong); delle piccole isole del Pacifico e dell’Oceano Indiano; e quelli a ridosso di grandi ghiacciai in scioglimento: «Ci sono oltre cento di questo Paesi con più di un miliardo di abitanti le cui emissioni di gas serra rappresentano appena il 5% del bilancio globale. Essi non causano il problema ma lo subiscono. La responsabilità di tutti gli altri Paesi del mondo nei loro confronti è evidente».
fonte: corriere.it
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