Un podio vuoto perché nessuno sta facendo abbastanza per il clima. Al quarto posto il Brasile e buone performance di alcuni paesi emergenti. Il Regno Unito, il paese con le politiche più lungimiranti. Stati Uniti e Cina ancora verso il fondo della classifica, anche se in risalita. E un risultato scarso per l’Italia dovuto principalmente a un brutto voto sulle politiche (non) messe in campo.
Quest’anno il Climate Change Performance Index, la classifica delle prestazioni nella lotta al global warming stilata annualmente dall’Ong Germanwatch e da Can-Europe e uscita in coincidenza con i negoziati di Copenhagen ha fatto molto rumore (vedi allegato).
Il rapporto esamina le performance in materia di riduzione dei gas serra dei 57 paesi al mondo responsabili del 90% delle emissioni mondiali e lo fa tenendo conto di tre voci: la quantità di emissioni, il trend di riduzione e le misure intraprese (che giudicate da un pool di esperti contano per un quinto del punteggio). Ne emergono elementi importanti per valutare come, al di là delle dichiarazioni che spesso dominano la cronaca della diplomazia internazionale sul clima, il mondo sta affrontando l’emergenza global warming.
Gli Stati Uniti, ad esempio, secondo emettitore mondiale, pur recuperando 5 posizioni dall’anno scorso (dal 58° al 53° posto) grazie a un buon trend di riduzione (partono pur sempre da livelli di emissione procapite tra i più alti al mondo) hanno uno dei peggiori voti per le misure prese: pesa ancora la mancata approvazione della legge sui (modesti) impegni di riduzione annunciati. La Cina, invece, che nel CPI batte gli Usa di una sola posizione, pur con un trend di riduzione molto più scarso, si merita un voto buono per le politiche messe in campo.
Come detto, nessuno dei 57 paesi sta riducendo la CO2 quanto servirebbe ed è il motivo per cui anche quest’anno, come nelle edizioni precedenti, i primi tre posti della classifica sono vacanti. Tra chi sta facendo meglio ci sono i paesi storicamente molto attivi sulle tematiche ambientali: la Svezia, il Regno Unito - che grazie alla legge sul clima approvata si aggiudica il voto migliore per le politiche adottate - e la Germania.
Ma la sorpresa positiva di quest’anno viene dai paesi emergenti: Brasile, India e Messico sono tutti e tre tra i primi 11. Il Brasile è primo in assoluto grazie soprattutto ad un'azione di arresto della deforestazione che, fa notare German Watch, probabilmente è influenzato anche dalla crisi economica. L’India, quarto emettitore mondiale (e patria del 17% dell’umanità) è al nono posto. Il paese che sta facendo meno per il clima? L’Arabia Saudita, voto "0" sulle politiche prese, preceduta dal Canada, patria delle sabbie bituminose e che deve ancora annunciare il suo impegno per il clima: è al penultimo posto.
E l’Italia? Per trovarla bisogna scorrere la classifica fino al 44° posto (senza avanzamenti dall'anno scorso, retrocessa di tre posizioni rispetto a due anni fa), spiacevolmente vicino al fondo della lista, appena sopra alla Russia. Il trend di riduzione e le emissioni in generale non andrebbero malissimo.
A penalizzarci un voto scarso sulle misure adottate. Tra i vari commenti alla brutta figura del nostro paese riportiamo quello di Edoardo Zanchini di Legambiente: “dipende dal non aver ancora voluto cambiare le vecchie politiche in materia di trasporti, energia e edilizia, i settori che più contribuiscono alle nostre emissioni di gas serra”. A riprova di questa realtà, evidenzia Legambiente, le scelte portate avanti nell'ultimo anno: sono stati approvati tre progetti di grandi e inquinanti centrali a carbone, le priorità di investimento in materia di infrastrutture continuano a privilegiare per il 70% strade e autostrade, e perdura una incomprensibile incertezza per quanto riguarda gli incentivi per le fonti rinnovabili e gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici.Il rapporto esamina le performance in materia di riduzione dei gas serra dei 57 paesi al mondo responsabili del 90% delle emissioni mondiali e lo fa tenendo conto di tre voci: la quantità di emissioni, il trend di riduzione e le misure intraprese (che giudicate da un pool di esperti contano per un quinto del punteggio). Ne emergono elementi importanti per valutare come, al di là delle dichiarazioni che spesso dominano la cronaca della diplomazia internazionale sul clima, il mondo sta affrontando l’emergenza global warming.
Gli Stati Uniti, ad esempio, secondo emettitore mondiale, pur recuperando 5 posizioni dall’anno scorso (dal 58° al 53° posto) grazie a un buon trend di riduzione (partono pur sempre da livelli di emissione procapite tra i più alti al mondo) hanno uno dei peggiori voti per le misure prese: pesa ancora la mancata approvazione della legge sui (modesti) impegni di riduzione annunciati. La Cina, invece, che nel CPI batte gli Usa di una sola posizione, pur con un trend di riduzione molto più scarso, si merita un voto buono per le politiche messe in campo.
Come detto, nessuno dei 57 paesi sta riducendo la CO2 quanto servirebbe ed è il motivo per cui anche quest’anno, come nelle edizioni precedenti, i primi tre posti della classifica sono vacanti. Tra chi sta facendo meglio ci sono i paesi storicamente molto attivi sulle tematiche ambientali: la Svezia, il Regno Unito - che grazie alla legge sul clima approvata si aggiudica il voto migliore per le politiche adottate - e la Germania.
Ma la sorpresa positiva di quest’anno viene dai paesi emergenti: Brasile, India e Messico sono tutti e tre tra i primi 11. Il Brasile è primo in assoluto grazie soprattutto ad un'azione di arresto della deforestazione che, fa notare German Watch, probabilmente è influenzato anche dalla crisi economica. L’India, quarto emettitore mondiale (e patria del 17% dell’umanità) è al nono posto. Il paese che sta facendo meno per il clima? L’Arabia Saudita, voto "0" sulle politiche prese, preceduta dal Canada, patria delle sabbie bituminose e che deve ancora annunciare il suo impegno per il clima: è al penultimo posto.
E l’Italia? Per trovarla bisogna scorrere la classifica fino al 44° posto (senza avanzamenti dall'anno scorso, retrocessa di tre posizioni rispetto a due anni fa), spiacevolmente vicino al fondo della lista, appena sopra alla Russia. Il trend di riduzione e le emissioni in generale non andrebbero malissimo.
fonte: qualenergia.it
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