Cento miliardi di dollari sul tappeto. Con l'intervento di Hillary Clinton il clima della conferenza di Copenaghen è cambiato. Se ci sarà un accordo "operativo e trasparente" - ha detto il segretario di Stato Usa - si potrà arrivare alla creazione di un fondo per il trasferimento delle tecnologie pulite ai paesi in via di sviluppo che arriverà a 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020. E' la stessa posizione dell'Europa: la creazione di un sostegno finanziario in crescita da oggi al 2020 per agevolare il salto verso una crescita economica a basso impatto ambientale anche nei paesi meno industrializzati.
Basterà per chiudere con un accordo il summit mondiale sul clima? In realtà ci sono vent'anni di ritardo. Non è facile recuperare vent'anni di ritardo in poco più di venti ore. Ma è questa la strada che ha davanti il summit di Copenaghen. Ed è per questo che, nello scorrere concitato degli interventi di questa penultima mattina, le note di pessimismo si alternano alla speranza di trovare un'intesa per evitare il disastro climatico.
La delegazione cinese aveva mandato nella notte messaggi negativi: fonti anonime avevano dato l'accordo per impossibile anticipando un'intesa solo politica. Poi il premier cinese Wen Jiabao ha detto che "il governo e il popolo cinese attribuiscono una grande importanza al problema del cambiamento climatico" e, sul sito web del ministero degli esteri di Pechino, ha aggiunto che la sua presenza al vertice ha il significato di ribadire la "sincerità" dell'impegno della Cina nella lotta contro il surriscaldamento del pianeta. A fine mattina il capo negoziatore cinese Su Wei, ha sostenuto che Pechino continua "a credere che la conferenza di Copenaghen otterrà un buon risultato".
Anche l'India, ha detto il premier Manmohan Singh, è disposta a "fare di più" nel rush finale del vertice a patto che vi siano "credibili" garanzie su trasferimenti tecnologici e sostegni finanziari da parte dei paesi ricchi. Sui fondi però l'intesa non sembra lontana. Il problema semmai è le gestione: si tratta di creare un meccanismo che dia garanzie a tutti. Cioè eviti un doppio rischio: da una parte evitare un dirottamento delle risorse che trasformi il supporto alle nuovi fonti rinnovabili nel rinnovo di antiche pratiche belliche, dall'altra la creazione di un centro verticistico controllato da pochi.
Il passaggio verso un cambiamento reale del modello energetico, apparentemente sostenuto da tutti, si fa comunque sempre più stretto. Tanto che la cancelliera tedesca Angela Merkel appare preoccupata: "Le notizie che arrivano non sono buone. Al momento i negoziati non sembrano promettenti, ma spero ovviamente che la presenza di oltre 100 capi di Stato e di governo possa dare il necessario impeto all'evento". La Merkel ha anche osservato che "la promessa degli Stati Uniti di tagliare le emissioni di CO2 del 4 per cento rispetto ai livelli del 1990 non è ambiziosa". Gli Stati Uniti, con la legge sul taglio dei gas serra ancora in discussione al Senato, sono in grado di rilanciare?
fonte: repubblica.it
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giovedì 17 dicembre 2009
Clima, rush finale per l'accordo Usa: sì maxi-fondo da 100 mld
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