lunedì 7 dicembre 2009

Clima, il summit parte con l'ottimismo

La 15esima conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici di Copenaghen parte all'insegna dell'ottimismo. Almeno sulla carta. Barak Obama ha annunciato la sua presenza nella sessione finale, il Papa ha chiesto con forza di procedere verso un maggiore rispetto della natura e uno sviluppo solidale. «Si concluderà con un accordo firmato da tutti gli Stati - ha detto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon in un'intervista -. Tutti i capi di Stato e di governo sono d’accordo sull’obiettivo: adesso ci dobbiamo solo mettere d’accordo su come raggiungerlo». Anche i numeri fanno ben sperare. Il Bella Center, sede del vertice, è preso d'assalto dai delegati: 15mila la capienza massima del centro conferenze ma le richieste sono state più del doppio, circa 34mila. Un summit che vede per la prima volta la presenza di 103 tra premier e capi di Stato.

Verso il summit di Copenaghen
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I "RIBELLI": CINA - Usa, India e Cina insieme a Brasile e Sudafrica saranno i protagonisti di queste due settimane. E da questi Stati "ribelli", ovvero in via di sviluppo, continua ad arrivare pressante la richiesta di un sostegno economico per l'abbattimento dei gas serra. Uno su tutti, la Cina. «È evidente che il pianeta è di tutti, ma sebbene i poveri devono assumersi delle responsabilità, non devono pagare al di là delle loro capacità: per arrivare a un consenso mondiale occorre assicurare giustizia ed equità» scrive il quotidiano Peking News, organo ufficiale del Partito Comunista. La Cina ha annunciato di voler ridurre le emissioni di gas serra del 40%-45% (rispetto al livello del 2005) entro il prossimo decennio. Il ministro cinese per la scienza e la tecnologia Wan Gang, in un'intervista al quotidiano britannico Guardian, ha detto che le emissioni raggiungeranno un picco tra il 2030 e il 2040 e solo dopo cominceranno a diminuire. Pechino, che sarà rappresentata dal premier Wen Jiabao, appare determinata a ridurre le emissioni. «Non bisogna permettere a questa polemica poveri-ricchi - scrive in un editoriale il quotidiano China Daily - di impedire che due settimane di colloqui di Copenaghen sfocino in un nuovo accordo globale sul clima che succeda nel 2013 al protocollo di Kyoto».

BRASILE E SUDAFRICA - Dura la posizione annunciata dal Brasile. «Faremo richieste molto dure, chiederemo ai Paesi ricchi e industrializzati circa 300 miliardi di dollari da destinare alla riduzioni delle emissioni - ha detto il ministro dell'ambiente Carlos Minc -. Chiederemo inoltre che questi Paesi taglino molto di più le loro emissioni». Un'apertura arriva invece dal Sudafrica, che si dice pronto a un compromesso con la disponibilità a rallentare del 34% entro il 2020 e del 42% entro il 2025 la crescita delle emissioni dei gas inquinanti, a patto che ciò avvenga nel quadro di un accordo internazionale e di aiuti finanziari e tecnologici. Infine l'India, dove il premier Manmohan Singh ha tirato un sospiro di sollievo perché alla vigilia del vertice è rientrata la rivolta di due dei suoi principali sherpa che avevano annunciato le dimissioni in dissenso con la posizione indiana sulle quote di riduzione delle emissioni di CO2. Dopo il discorso alla Camera del ministro dell'Ambiente Jairam Ramesh sul progetto di riduzione volontaria del 20-25% dell'intensità delle emissioni entro il 2020, Chandrasekahr Dasgupta e Prodipto Gosh, negoziatori chiave del team indiano, hanno rivelato il loro disaccordo, sostenendo che tale disponibilità, e l'ipotesi di un controllo internazionale su questo impegno, erano state offerte senza contropartite. Da qui la decisione di non viaggiare a Copenaghen. Ma una serie di riunioni con il ministro Ramesh, scrive la stampa di New Delhi, hanno permesso di superare almeno formalmente l'impasse e convinto i due sherpa a preparare le valigie.

DIECI MILIARDI ALL'ANNO - Secondo Yvo de Boer, segretario esecutivo della convenzione dell'Onu sui cambiamenti climatici, serviranno una decina di miliardi di dollari ogni anno per i prossimi tre anni per rispondere ai bisogni più urgenti dei Paesi più vulnerabili nel far fronte ai cambiamenti climatici. «Per questo - spiega - serve un rapido sblocco dei finanziamenti». Anche perché «da qui al 2020, o al 2030 saranno necessarie cifre molto più significative, nell'ordine di centinaia di miliardi di dollari».

fonte: corriere.it

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