È meglio del Prozac e non ha effetti collaterali. Una chiacchierata con Amory Lovins è in grado di tirare su il morale anche al più depresso degli ambientalisti. Il visionario fondatore del Rocky Mountain Institute, la più autorevole organizzazione non profit americana impegnata nella ricerca di soluzioni per una società sostenibile, distilla ottimismo anche in questi difficili giorni di vigilia di Copenaghen.
Pluripremiato, inserito anche quest'anno per l'ennesima volta dalla rivista Time tra le cento personalità più influenti al mondo, Lovins è un ambientalista stimato universalmente e ha il merito di aver capito prima di molti altri l'inevitabilità di un green new deal. Basta andare a riprendersi il suo saggio "Capitalismo naturale" per capire quante delle trasformazioni previste ben dieci anni fa si stanno ora realizzando.
Lei Lovins è uno dei pochi a non sembrare turbato più di tanto da un eventuale flop a Copenaghen.
"Le scelte politiche contano e faremmo meglio con politiche intelligenti piuttosto che stupide. Ma, soprattutto negli Stati Uniti e in altre economie di mercato, il business associato a una società civile consapevole, rappresentano una forza più dinamica rispetto a una politica spesso bloccata. I governi, e ancora di più sforzi internazionali complicati come il processo di Copenaghen, sono molto lenti e faticano a stare al passo con la creatività del settore privato e della società civile".
E qual è questo passo?
"Il consumo di petrolio nei paesi industrializzati sta calando dall'inizio del 2005 e ci si aspetta che questo andamento resti immutato anche per il futuro. La Cina, solitamente ritenuta responsabile della crescita del consumo di petrolio per 2/5, prevede di elettrificare l'80% delle sue nuove auto entro il 2020. Inoltre nel frattempo molti costruttori di auto stanno finalmente iniziando ad adottare tecniche di efficienza energetica persino più semplici ed efficienti del motore elettrico, intervenendo sul peso e sulla carrozzeria. L'altra rivoluzione sta avvenendo nella produzione elettrica a velocità super. Gli Usa, ad esempio, hanno installato più eolico nel 2007 che elettricità da carbone nei cinque anni precedenti. E si potrebbero fare molti altri esempi".
Molti accusano Obama di essere troppo timido e di avere le responsabilità maggiori in caso di fallimento a Copenaghen.
"Il presidente sembra avere un eccellente intuito e ha nominato lo staff dirigente più brillante che il Dipartimento per l'energia abbia mai avuto. Alle prese con due guerre, un sistema sanitario al collasso e una grave recessione, sul clima sta facendo ciò che può, ovvero tanto. Il suo ostacolo principale è un Congresso impraticabile, eletto con un sistema che foraggia la corruzione".
L'altra indiziata è la Cina, un paese che lei conosce bene.
"Ho insegnato a Pechino nel 2002 e ora mi capita di relazionare diverse leadership del Paese. La Cina, come gli Stati Uniti, è un pezzo importante sia del problema che della soluzione, ma per molti aspetti rispetto ad altre nazioni occidentali si sta spostando velocemente verso l'essere la soluzione".
Tra le opzioni per risolvere la crisi energetica l'Italia punta sul nucleare.
"Dall'agosto 2005 all'agosto 2008 gli Usa hanno avuto allo stesso tempo la più robusta politica nucleare e la più vasta disponibilità di capitali di ogni tempo, ma hanno dovuto offrire (e ancora lo fanno) nuovi sussidi al nucleare (in aggiunta ai vecchi). Eppure, nessuno dei 33 progetti proposti è stato in grado di attirare un solo centesimo di equity capitals perché costruire centrali nucleari non è un affare. Nel 2008 a livello mondiale le sole rinnovabili "distribuite" hanno raccolto 100 miliardi di nuovi investimenti privati e hanno aggiunto una capacità per 40 miliardi di Watt. Il nucleare zero".
L'altro tasto su cui insiste è l'efficienza energetica.
"È la risorsa più grande, più economica, più positiva e più veloce da mettere in pratica, ma allo stesso tempo è la meno capita, la meno visibile e la meno sfruttata. Il risparmio elettrico è in particolare quello più vantaggioso. Negli Usa potremmo risparmiare metà del gas e del petrolio che consumiamo a circa un quinto del loro prezzo".
Per dimostrare le virtù dell'efficienza lei coltiva banane nella sede del Rmi, uno stabile privo di riscaldamento a quota 2.200 sulle montagne del Colorado. Come è andato il raccolto?
"Bene. Realizzare questo genere di edificio nel 1983 ci ha fatto risparmiare circa 1.100 dollari sul costo di costruzione perché i materiali isolanti e gli altri accorgimenti sono costati meno che realizzare un sistema di riscaldamento per uno stabile isolato".
fonte: repubblica.it
Utilità del blog per un'Azienda come la nostra, vi chiederete... informare, vi rispondiamo!...IN-FORMA COLLAGE
giovedì 3 dicembre 2009
"Coltivo banane sulla neve e vi dico che ce la faremo"
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento