L'IMPATTO GLI OBIETTIVI - Il 17% di riduzione delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 2005 prospettato dal presidente degli Stati Uniti Obama come traguardo da raggiungere nel 2020, è ben poco se confrontato con l'8% di riduzione, sotto i livelli del 1990, da conseguire entro il 2012, cui attualmente è vincolata l'Europa. Come pure è molto meno di quell'impegno del 7% (sempre sotto i livelli del 1990) annunciato da Clinton e Gore nel 1997 a Kyoto, prima della marcia indietro di Bush. Ed è incomparabilmente inferiore all'obiettivo del -20% o addirittura del -30% che l'Europa più convinta (Germania e Inghilterra) vorrebbe darsi entro il 2020.
RALLENTAMENTO NON SIGNIFICA DIMINUZIONE - «In pratica, il 17 per cento di riduzioni rispetto al 2005 equivale allo zero rispetto al 1990, ossia a una stabilizzazione delle emissioni USA rispetto a quella data», sintetizza, a conti fatti, il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile Edo Ronchi (ministro dell'Ambiente ai tempi di Kyoto), senza con ciò svalutare la svolta positiva della politica climatica di Obama rispetto a Bush. Ancora, la riduzione del 45% dell'intensità di carbonio offerta dalla Cina per il 2020 , cifra che in valore assoluto appare straordinaria, tenuto conto della prevedibile crescita del Pil e quindi dei consumi di quel Paese, di fatto corrisponde a un aumento netto delle sue emissioni di gas serra di circa il 35-40%. In termini concreti, grazie ai sui massicci programmi di energie rinnovabili e di efficienza energetica -riferiamo ancora le valutazioni di Edo Ronchi-, la Cina si sta impegnando a quasi dimezzare la crescita delle sue emissioni, che altrimenti schizzerebbero all'80%. Ma pur sempre di crescita si tratterà, e niente affatto di tagli sotto i livelli del 1990. Un discorso analogo vale per il 25% dei tagli sull'intensità di carbonio preannunciato dall'India che, fatti i debiti conti, corrisponderà solo a un rallentamento della crescita delle emissioni di gas serra di questo Paese, le quali aumenteranno comunque di circa il 60%.
EMISSIONI E CRESCITA DEL PIL - Lo spartiacque, come commenta il climatologo dell'Enea Vincenzo Ferrara, è fra chi punta a un disaccoppiamento totale fra emissioni di gas serra e Pil, come vuole fare l'Europa, intenzionata a ridurle sostanzialmente, a prescindere dalla crescita economica; e chi invece, come i grandi Paesi emergenti, non possono ancora fare questo passo, pena la drastica riduzione della loro crescita e la condanna di vasti strati della loro popolazione alla fame cronica di energia. Quanto agli Stati Uniti di Obama, per ora, sembrano essere ancora fermi alla Convenzione di Rio del 1992, che chiamava a una generica stabilizzazione delle emissioni ai livelli del 1990, piuttosto che proiettati in avanti verso una «fase due» del tormentato Protocollo di Kyoto. Se così rimarranno le cose, Copenhagen non riuscirà a invertire la tendenza all'aumento delle emissioni globali che dal 1990 a oggi, in barba a Kyoto, sono aumentate del 41% (dati Global Carbon Project e Fondazione sviluppo sostenibile, 2009); né a scongiurare il pericolo di aumento delle temperature medie oltre i 2 gradi paventato per i prossimi decenni. C’è solo da sperare che al tavolo delle trattative si faccia un passo avanti e un po’ di chiarezza rispetto agli ingannevoli annunci ad effetto della vigilia.
fonte: corriere.it
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