Con la sentenza del 22 aprile 2008, n. 16466, la sezione sesta della Suprema Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di primo grado e rigettato il ricorso dell’imprenditore agricolo ritenuto responsabile dell’incidente occorso in campagna a un bracciante caduto da una scala a causa delle lesioni riportate e guaribili in 45 giorni.
Tale rigetto è stato motivato in quanto l’imprenditore, in qualità di datore di lavoro, non aveva approntato tutte le misure di sicurezza idonee a preservare il suo dipendente da eventuali infortuni connessi all'espletamento delle mansioni lavorative.
Il ricorso, in particolare, è stato rigettato perché non erano individuabili le carenze motivazionali lamentate dal datore di lavoro in ordine alla ricostruzione delle modalità di svolgimento dell'episodio lesivo ed alla riconducibilità causale dell'evento alla violazione della normativa in materia di prevenzione sugli infortuni sul lavoro.
La Cassazione, inoltre, ha rilevato che, anche se nella documentazione Inail raccolta nell’immediatezza del sinistro ed acquisita agli atti del processo penale emergeva che era stata la vittima a dichiarare che la caduta dalla scala era avvenuta altrove per giustificare la propria presenza sul fondo altrui, ha poi accolto la successiva versione del lavoratore rilevando che la Corte d’Appello non aveva valutato in modo adeguato la condizione di soggezione psicologica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro.
Fatto e diritto
Un datore di lavoro è stato ritenuto responsabile, per colpa generica e specifica, di un infortunio sul lavoro occorso ad un suo lavoratore che, per raccogliere le olive, saliva su una scaletta metallica a cubo provvista di rotelle e cadeva da essa, procurandosi lesioni personali colpose giudicate guaribili in 45 giorni.
La vittima dell’incidente aveva dichiarato che la caduta dalla scala era avvenuta altrove, giustificando così la propria presenza sul fondo altrui per la mera cortesia di chi l’aveva soccorso.
Il datore di lavoro ricorreva in Corte d’Appello che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava che non si dovesse procedere nei suoi confronti in quanto il reato si era estinto per intervenuta prescrizione, ma confermava le statuizioni civili, facendo integrale riferimento alla sentenza di primo grado. Allora il datore di lavoro ricorreva alla Corte di Cassazione.
Le ragioni del datore di lavoro
Secondo il datore di lavoro, la Corte d’Appello avrebbe del tutto trascurato di prendere in considerazione la sua tesi difensiva, secondo cui la parte offesa non era un lavoratore alle dipendenze dell'imputato ed il sinistro si era verificato nel fondo di proprietà della figlia, come sarebbe emerso dalla documentazione INAIL acquisita agli atti del processo penale ex art. 507 c.p.p..
Il datore di lavoro ha poi lamentato che i giudici di appello avrebbero del tutto omesso di motivare sulla richiesta rinnovazione della istruttoria dibattimentale su tale punto.
Per il datore di lavoro, la sua responsabilità sarebbe stata formulata facendo cattivo uso del processo induttivo fissato dall'art. 192 c.p.p., dando rilievo ad una versione del fatto inverosimile fornita dalla parte civile e disattendendo arbitrariamente la spiegazione da lui fornita come imputato, secondo la quale il lavoratore era stato trasportato per mera cortesia nel fondo della figlia, ove successivamente era stato rinvenuto per terra.
La decisione della Corte di Cassazione
La Cassazione ha confermato la sentenza di primo grado e rigettato il ricorso del datore di lavoro poichè non erano individuabili le carenze motivazionali lamentate in ordine alla ricostruzione delle modalità di svolgimento dell'episodio lesivo ed alla riconducibilità causale dell'evento alla violazione della normativa in materia di prevenzione sugli infortuni sul lavoro, che imponeva al datore di lavoro di approntare tutte le misure di sicurezza idonee a preservare il suo dipendente da eventuali infortuni connessi all'espletamento delle mansioni lavorative.
La decisione è stata adottata in piena aderenza a quello che è il contenuto precettivo dell'art. 2087 c.c..che prevede che il datore di lavoro sia il garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40, comma 2, c.p..
Ne consegue che il datore di lavoro abbia il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera.
Dunque il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: questo implica che, quando il datore di lavoro non ottempera all'obbligo di tutela, l'evento lesivo gli venga correttamente imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40, comma 2, c.p.
La sentenza impugnata, richiamando integralmente il contenuto della sentenza di primo grado, ha fatto riferimento alla esauriente istruzione dibattimentale compiuta in primo grado, ritenendo implicitamente superflua l'audizione della moglie dell'imputato nella qualità di teste (oggetto della richiesta difensiva), con la conseguente insussistenza delle condizioni di legge per la proposta rinnovazione dibattimentale.
L'impugnazione è del resto inammissibile anche per altra ragione.
Infatti, in presenza di una (già avvenuta) declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato, è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione.
Suprema Corte di Cassazione, sezione sesta, sentenza n. 16466 del 22 aprile 2008
fonte: newsfood.com
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martedì 13 maggio 2008
Infortunato che mente per sudditanza psicologica e poi ritratta
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