E che si è concluso consegnando al pubblico due punti (quasi) fermi: la crisi dei mercati finanziari è ormai sotto controllo; molto però resta da fare per migliorare vigilanza, trasparenza, regole. «Turbolenze, non crisi», ha tenuto a precisare Jörgen Holmquist della Commissione europea. Non si tratta di spendere cautela «istituzionale». Holmquist è d’accordo con il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke: le banche centrali hanno contribuito ad alleviare i problemi anche se il processo resta incompleto. «Oggi la preoccupazione maggiore è confermare la fiducia sui mercati aperti. Non crediamo a un fortino europeo da difendere. La globalizzazione ci ha portato anche i fondi sovrani, che hanno investito in istituti in crisi». Sulle cause del terremoto che dall’estate scorsa ha colpito il pianeta della finanza Franco Bruni, docente di Teoria e politica monetaria internazionale alla Bocconi, ha puntato il dito verso gli Stati Uniti: non sulla regolamentazione, che non è il problema più grave, bensì sulla vigilanza.
Le politiche monetarie Usa troppo espansive con tassi bassi e abbondante liquidità hanno incentivato l’esposizione al rischio con la conseguente proliferazione di strumenti finanziari opachi anche per chi li ha confezionati. Poi, dopo aver aperto al massimo il rubinetto la Fed non l’ha «maneggiato con cura», bensì chiuso e riaperto di colpo più volte. Ecco dunque che Bruni si augura un «ravvedimento » e il coordinamento fra autorità monetarie. Coordinamento auspicato anche da Holmquist, che si è soffermato sulla «road map» tracciata in sede Ue per aumentare la trasparenza, concentrare la vigilanza e correggere le sofisticate regole di Basilea2 che, come ha rilevato Bruni, sono rimaste spiazzate da ciò che è arrivato imprevisto: la crisi di liquidità. Il dibattito sembrava orientato verso una trama non troppo noir quando sono arrivate un paio di «sorprese». Anzitutto hanno fatto irruzione i toni poco soft di Prem Sikka, dell’università di Essex. Che ha proposto di sottoporre a «test» preventivi i derivati come si fa con cibi e farmaci. E ha attaccato le società di revisione.
Le accuse: conflitti d’interessi, proprietà detenute da trust in paradisi fiscali, certificazioni seguite a stretto giro di posta dal crollo dei clienti «promossi». Non ha usato mezze parole, spendendo perfino il termine mafia. Subito dopo è toccato ai tecnici della contabilità: è stato Shyam Sunder dell’Università del Sussex ad accusare l’associazione degli Ias (i principi contabili «globali») di essere una consorteria monopolista con governance poco trasparente. In particolare nel mirino Sunder ha collocato la valutazione fair value, cioè a prezzi di mercato. Criterio messo a dura prova dalla crisi, che ha fatto crollare valori in modo repentino. Al quale però è difficile trovare alternativa. Al massimo, ha detto Mauro Bini, docente in Bocconi di finanza aziendale, si può sospenderlo temporaneamente quando, come ora, la illiquidità è un cappio al collo. Di mercati e prezzi.
fonte: corriere.it
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