PAESI DIVISI - A ventiquattro ore dalla fine del lungo negoziato di Bali le posizioni fra i vari gruppi in cui si è frammentata la conferenza appaiono inconciliabili. L’Europa e la maggioranza dei Paesi in via di sviluppo sono determinati a chiedere che il documento finale contenga un obiettivo vincolante per i Paesi industrializzati: entro il 2020 le emissioni dei gas serra dovranno essere ridotte di una percentuale variabile tra il 25 e il 40%, rispetto ai livelli del 1990. Dunque un obiettivo ben più impegnativo e oneroso rispetto a quello attuale del 5%. Nettamente contrari a questa ipoteca sul futuro non solo gli Stati Uniti, ma anche Giappone e Canada: «Ogni accordo a lungo termine dovrà essere flessibile, in modo da permettere ai vari Paesi di scegliere le politiche più adatte alla loro realtà economiche», invoca il ministro dell’Ambiente canadese John Baird, ricordando che il suo Paese, pur avendo aderito a Kyoto, è contrario come gli Stati Uniti a quote di riduzione capestro.
RISULTATO -L’esito più probabile di queste contrapposizioni che, almeno per ora, non lasciano prevedere spazi di mediazione, sarà un documento conclusivo che affida a una nuova fase negoziale, della durata di due anni, l’elaborazione di un nuovo accordo mondiale per la riduzione dei gas serra. Se questo sarà ancora simile al Protocollo di Kyoto, nel senso che conterrà date e quote di riduzioni vincolanti, come chiede l’Europa; oppure se sarà molto più flessibile e affidato soprattutto ad azioni volontarie, come pretendono gli Stati Uniti, lo sapremo soltanto al futuro vertice di Copenaghen del 2009.
fonte: corriere.it
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