Giusta causa di licenziamento: bisogna sempre valutare la gravità dei fatti addebitati

Con sentenza del 3 dicembre 2007, n. 25222, la sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che per valutare l’esistenza di una giusta causa di licenziamento bisogna sempre valutare la gravità dei fatti addebitati e stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario possa legittimare la massima sanzione disciplinare.

Fatto e diritto - Una azienda di Servizi Ambientali aveva licenziato un operaio con mansioni di capo turno e di sovrintendenza all’attività di autisti ed addetti alla raccolta dei rifiuti poiché aveva omesso di fare rapporto su alcune operazioni compiute da dipendenti, in violazione delle modalità di conferimento di materiale ferroso.
Il dipendente si era rivolto al giudice del lavoro, che aveva rigettato la domanda.
L’operaio, dunque, si è rivolto in corte d’Appello, che aveva annullato il licenziamento rilevando che la sanzione irrogata era sproporzionata in relazione alla mancanza addebitata.
L’azienda, infine, è ricorsa in Cassazione, argomentando che il comportamento che il capo turno doveva avere sarebbe stato quello di sorvegliare il corretto adempimento delle disposizioni aziendali e che proprio a questo compito egli era venuto meno nel momento in cui non aveva segnalato all’azienda le irregolarità riscontrate a carico degli altri dipendenti.

La decisione della corte di Cassazione - Secondo la Cassazione, “per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare”.
Per la Cassazione, inoltre, la violazione del vincolo fiduciario con il datore può comportare il licenziamento del dipendente che ha commesso una grave mancanza sanzionata dal codice disciplinare, ma per la legittimazione del licenziamento bisogna accertare una effettiva gravità della sanzione: infatti l’accertamento della gravità della sanzione del licenziamento è riservato all’apprezzamento della Corte d’Appello, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione.
Nel caso di specie, per la Cassazione la pronunzia della Corte d’appello si è rilevata censurabile in punto di coerenza della motivazione in quanto da una parte la stessa aveva ammesso il dovere del capoturno ad intervenire al momento dell’accertamento delle violazioni e aveva riscontrato l’omissione delle dovute segnalazioni interne nonostante fossero imposte «dal suo ruolo di coordinatore del personale e di capoturno». Dall’altra, pur rilevando la maggiore gravità riconnessa a tali mancanze dal codice disciplinare, la stessa Corte d’appello ritiene non violato il vincolo fiduciario solo perché il dipendente in precedenza non aveva commesso precedenti infrazioni.
La Cassazione ha stabilito che la Corte d’Appello non è stata coerente e che, quindi, la sentenza debba essere cancellata e rinviata al giudice, che dovrà procedere a nuova valutazione del comportamento del dipendente alla luce delle citate considerazioni.

Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 25222 del 3 dicembre 2007
Scarica il documento completo in formato .Pdf

fonte: newsfood.com