martedì 28 agosto 2007

Tra i roghi della Siberia che avvelenano il Pianeta

"Guardi qua", fa Anatolij Sukhinin, appassionato capo del dipartimento di monitoraggio degli incendi, sentinella dei boschi che dovrebbero essere il polmone dell'emisfero boreale ed ora sono sempre più "polmoni malati di cancro". Si aggiusta i grossi occhiali sul naso, piglia una grossa foto satellitare della Siberia e dell'Estremo Oriente, comincia ad indicare minuscoli puntini rossi, quadratini neri come la cenere, zone tratteggiate in blu. Poi, i puntini si sovrappongono ai quadratini, via via che il dito del ricercatore si abbassa verso il territorio della Siberia Meridionale: tutto, allora, diventa una lunga, larga e spaventosa macchia scura, una cicatrice che parte dagli Urali, segue il tragitto della Transiberiana, arriva sino all'Oceano Pacifico, copre buona parte dell'immensa taiga, la foresta più estesa del mondo, tanto estesa che "dove finisca, solo gli uccelli migratori lo sanno", scrisse una volta Cechov. Ironia della sorte, fuori piove a dirotto. Fa fresco. L'estate è sparita di colpo. Da 28 gradi a 15. Sono al terzo piano della stazione di ricezione dei dati dallo spazio dell'Istituto russo della Foresta di Krasnoyarsk, al chilometro 4098 della Transiberiana, capoluogo della Siberia Centrale. Un convoglio della mitica ferrovia diretto a Mosca sta attraversando il celebre ponte sullo Jenisej, costruito nel 1898 e diventato patrimonio dell'Unesco. Il laboratorio funziona 24 ore su 24. I tecnici russi hanno elaborato sofisticati ricevitori in grado d'identificare immediatamente gli incendi rivelati dai satelliti. Il computer elabora le loro frequenze, immagazzina le statistiche, le immette in un circuito internazionale perché ormai la questione è globale. Se bruciano i boschi della Siberia, la loro cenere oscura il Nord America o piove sul Giappone.
È già successo. Due anni fa, in Canada ed Alaska. Qualche anno prima, su Kyoto, proprio l'indomani della firma dei famosi accordi (e disaccordi). I cambiamenti climatici sono come bombe ad orologeria, quasi due terzi della Siberia sono sopra uno strato di permafrost, ossia il ghiaccio geologico: se si scioglie, è il caos ambientale. Libererebbe quantità enormi di metano. Enormi territori si trasformerebbero in paludi. L'inquinamento provocato dall'industria e dalle fornaci a cielo aperto del selvaggio Far East siberiano è nel mirino degli ecologisti, ma anche degli scienziati che hanno messo in guardia il governo. Solo da poco si comincia ad obbligare le industrie del petrolio, del gas e quelle minerarie a provvedere gli impianti di mezzi antiinquinamento. Ma è una lotta spasmodica. "Vede com'è ampia quella macchia?", incalza Sukhinin. Sì, è grande quanto un pezzo d'Europa. Peggio: quella macchia è un atto d'accusa. È la prova dello scempio. Di un disastro ecologico senza pari. Il fuoco ha devastato le foreste, le ha cancellate: "A lei sembra una cicatrice, sa invece come noi qui all'Istituto chiamiamo queste macchie? Immondizia!". Sono spariti 988.891 chilometri quadrati di vegetazione, quanto tre volte l'Italia. Un anno, nel 2003, è bruciato un territorio vasto come la Romania. Colpa di 104.687 incendi, minuziosamente contabilizzati dal 1996 al 2006 (nel 2007 la media sinora risulta più bassa rispetto all'anno precedente) e drammaticamente riprodotti in quella fotomappa satellitare. Il segno indelebile che se non si pone riparo per tempo, la Terra sarà colpita a morte. Perché le foreste siberiane sono essenziali nell'economia ambientale del nostro pianeta. E perché dietro le fiamme c'è la mano di chi le appicca: "Il 90 per cento di questi incendi sono provocati dall'uomo. Per denaro. Perché se si abbattono gli alberi appena bruciati, la qualità del loro legno non cambia, possono essere poi rivenduti a prezzo normale. Con la differenza che viene raccolto a costi zero e venduto oltre confine a prezzi di mercato. Ecco la verità: le foreste siberiane sono distrutte in gran parte dai contrabbandieri di legname", denuncia Sukhinin. Succede questo: appena si individua l'area dell'incendio tramite satellite, si comunicano le coordinate geografiche alla Protezione Civile, dopo di che scattano i meccanismi di prevenzione e di contenimento. Spegnere il fuoco, raccogliere gli alberi danneggiati, ripulire la foresta può diventare un bell'affare. C'è la Cina affamata di mobili, la domanda di legno è esasperata, le grandi industrie americane, sudcoreane e giapponesi hanno stretto accordi con quelle russe per radere al suolo le foreste siberiane, ci sono di mezzo una trentina di organizzazioni mafiose, le autorità non dispongono né di mezzi né di uomini sufficienti ad impedire la razzia, inoltre, aggiunge Sukhinin, "è facile dar fuoco alla foresta, non sono i fulmini a produrre gli incendi". Lo sappiamo anche noi, in Italia, gli dico per confortarlo. Macché: "Purtroppo chi brucia i boschi da noi la passa liscia", incalza lui, "in più, ci sono zone, come in Buriazia, dove chi alleva il bestiame dà fuoco all'erba, o dove, specie a nord, non si pratica agricoltura ma caccia e incendiare il terreno aiuta a snidare le prede. Senza dimenticare che sono molti i territori siberiani in cui si pratica ancora l'agricoltura "a fuoco", è nella genetica di molte popolazioni". Però, se davvero lo si vuole, si può impedire che tutto ciò avvenga. La prova? "Osservi meglio la mappa. Qui, oltre il Baikal, la Siberia confina con la Cina e le foreste sono simili e altrettanto vaste. Ebbene, vede che il colore della mappa è bianco, in Cina, mentre da noi è tutto scuro? Vuol dire che non ci sono stati incendi significativi da loro. Vuol dire che le autorità cinesi sono in grado di controllare e proteggere il loro patrimonio boschivo e forestale. Il governo di Pechino ha emanato norme durissime e pene altrettanto gravi. Tanto, il legno di cui hanno bisogno lo importano da noi. Tutto quello che si abbatte qui va in Cina, dove invece si preservano le foreste". L'equazione è cinicamente impietosa: "Il sistema di protezione una volta funzionava egregiamente, in Russia e in Siberia. Negli ultimi vent'anni la situazione è peggiorata nettamente. Succede, che a causa della siccità sempre più frequente, specie a nord, gli incendi non siano estinti come dovrebbero, e quindi si espandano a ritmo naturale: nell'ottobre del 2002, in Jakuzia, furono inghiottiti dalle fiamme 6 milioni di ettari, qualcosa come mille chilometri per 800". Poi, tocca agli scienziati dell'Istituto della Foresta il compito tristissimo di monitorare i disastri, di elaborare i piani di difesa, di indicare le soluzioni per la sopravvivenza del "verde": la combustione naturale è un fenomeno rarissimo, essendo l'origine degli incendi dolosa o colposa, occorre quindi "educare" la gente. Nel 2004, nei distretti siberiani di Lazovzki e Vyazemski lo hanno fatto i ragazzi e gli insegnanti delle scuole locali. A Bichevaya, il club ecologico degli scolari ha vinto un premio come "difensori delle foreste". L'estate arrivò: secca, molto secca. Intorno al villaggio, tuttavia, non scoppiò alcun incendio. L'educazione, l'informazione capillare ebbero successo. La gente capì che se spariva la foresta, spariva il loro mondo. In più, capì che non era solo un piccolo problema legato al loro paesino, ma era una cosa ben più grande, le polveri prodotte dalla combustione si aggiungevano alle altre polveri, fino ad influire sul clima globale. Una foresta siberiana, sino al secolo scorso, ci metteva cento anni per ricostituirsi prima che fosse colpita da un nuovo incendio. Oggi le ricerche dimostrano che gli incendi si presentano più frequentemente, ogni 65 anni. Inoltre, le temperature annuali siberiane sono aumentate di due gradi Celsius, ad una velocità doppia rispetto alla media globale. Dal 1990, il riscaldamento della Siberia si è ulteriormente accelerato. Cioè primavere più calde, più piogge, meno gelo. Quest'anno, dice il nostro autista, il primo febbraio il termometro a Krasnoyarsk ha smesso di scendere sotto zero. Clima, incendi: il nesso è evidente, la malattia è grave; ma quale cura applicare? Il direttore dell'Istituto della Foresta - ente fondato nel 1944 dall'accademico Vladimir Nikolayevich Sukachev, un ecologista ante litteram che riuscì a convincere Stalin a finanziarlo nonostante l'emergenza economica provocata dalla Seconda Guerra Mondiale - è in "esplorazione". Una missione scientifica. La taiga siberiana è un pianeta meraviglioso ancora tutto da scoprire. I satelliti hanno aiutato a "monitorarne il territorio" dall'alto e sono utilissimi per gli incendi, "ma niente è più prezioso del lavoro svolto sul campo", spiega Serghei Loskutov, il vicedirettore che è un chimico del legno. Una specializzazione fondamentale, la sua. Specie quando ci si trova di fronte a incendi che si susseguono a distanza di pochi anni, negli stessi posti. Il fuoco, a furia di "ripassare" sul terreno, ne trasforma le caratteristiche chimiche e fisiche. Il risultato è che "le piante preziose spariscono, sostituite da quelle capaci di adattarsi alla nuova situazione: quasi sempre piante dozzinali, come le betulle". Dice Loskutov: "Uno dei nostri obiettivi è elaborare documenti normativi per lo sfruttamento razionale e ambientalmente compatibile ad est degli Urali. Per questo l'Istituto si è trasferito da Mosca a Kransoyarsk nel 1959. Negli Anni Settanta abbiamo iniziato a sviluppare i metodi di ricerca a distanza e a creare tutta una serie di mappature che riscrivevano la geografia forestale e boschiva siberiana. Prima il territorio era praticamente sconosciuto". Alexsandr Pimenov, il giovane segretario scientifico dell'Istituto, sottolinea che le questioni ecologiche sono diventate sempre più importanti e fondamentali e che in cinquant'anni di lavoro, l'Istituto ha accumulato una mole impressionante di informazioni sulle foreste dagli Urali a Vladivostok: "siamo in grado di diagnosticare quel che succede, e di capire quel che potrebbe succedere". Torniamo in città. Lungo la ulitsa Shakhtiorov, la via dei Minatori che porta verso i nuovi quartieri della città, un grande cartellone ricorda che l'associazione volontaria dei pompieri è stata fondata nel 1899 ma soprattutto invita la gente ad osservare scrupolosamente le norme antincendio.

fonte: repubblica.it

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