STATISTICHE – Basta osservare le statistiche sui divorzi per intuire quanto il fenomeno incida sul nostro biosistema. Le famiglie divorziate continuano a crescere: in Usa erano il 5% durante gli anni Settanta, adesso rappresentano oltre il 15% della popolazione (dati del 2000), mentre le coppie inossidabili sono diminuite (dal 69% nel 1970 al 53% nel 2000). Una tendenza, quella a separarsi, che sta prendendo piede persino tra le popolazioni portate a festeggiare le nozze d’oro per tradizione, come quelle cattoliche di Italia e Portogallo, o come quelle in via di sviluppo di Cina e India. L’anno scorso in Cina si sono dette addio 1,9 milioni di coppie, un buon 7%.
LO STUDIO – Osservando questi dati, due ricercatori della Michigan State University, Eunice Yu e Jianguo Liu, hanno deciso di analizzare l’impatto ambientale del divorzio. Nel loro studio, pubblicato sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Acadamy of Science of the United States), hanno preso in esame il rapporto tra divorzio e consumi domestici di undici Paesi, sviluppati e non sviluppati, tra cui compaiono Spagna e Grecia, ma non l’Italia. Dai risultati si sono accorti che tutte le nazioni hanno tendenze simili nel dissipare le ricchezze del territorio. Cambiano soltanto alcune percentuali, ma questo dipende da un fattore economico.
GLI AMERICANI – Soltanto negli Stati Uniti i divorzi hanno generato uno spreco annuale di 73 miliardi di chilowatt/ora di elettricità e di 2.373 miliardi di litri di acqua (dati del 2005). A questi sperperi bisogna aggiungere il numero extra di stanze occupate da chi ha abbandonato il nido d’amore: 38 milioni di stanze in più negli Usa, circa 46 milioni nelle undici nazioni esaminate. Sì perché il divorziato tende a occupare un alloggio spazioso per accogliere i figli in visita e così per il riscaldamento, l’illuminazione e la pulizia della casa utilizza più energia di quella che gli servirebbe se fosse scapolo. Il numero di stanze in più nella casa di un divorziato varia dal +33 al +95% rispetto a casa di persone sposate. Tradotto in cifre, si tratta di un incremento del 46% nel costo dell’acqua e del 56% in quello di elettricità.
FATTORI COLLATERALI – Un fattore penalizzante per il risparmio energetico è la dimensione del nucleo domestico: le famiglie post-divorzio sono più piccole rispetto a quelle sposate (ridotte del 27-41%), per cui si fatica a ottimizzare il consumo energetico. Anche questo incide. Nel conteggio poi sono esclusi i viaggi per le visite dei figli: un altro consumo aggiuntivo. Secondo gli studiosi, vista l’entità del fenomeno, i governi dovrebbero considerare i costi del divorzio e della separazione quando discutono di politiche ambientali.
IL RIMEDIO – Ma se si vuole veramente bene all’ambiente un rimedio per preservarlo ci sarebbe: risposarsi. Il secondo «sì, lo voglio» elimina la richiesta supplementare di risorse, lasciando inalterato lo stile di vita. Forse.
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