La distruzione del loro habitat, conseguenza prima degli incendi e della trasformazione delle aree tropicali in aree agricole o per allevamento, dove il processo, tra l'altro, produce circa il 20% dell'anidride carbonica mondiale, è la causa più importante del fenomeno. Le altre origini sono da ricercarsi soprattutto nella caccia per ottenere carne per cibarsi, o per traffici illegali di alcune parti di questi animali.
"Per anni abbiamo avuto segnali sul pericolo d'estinzione dei primati, ma ora abbiamo solidi dati che dimostrano che la situazione è peggiore di quella che si ipotizzava. La distruzione delle foreste tropicali resta la causa principale del fenomeno, ma ora abbiamo prove che anche la caccia sta mettendo in serio pericolo tali animali, soprattutto in alcune aree del pianeta, persino dove l'habitat è ancora abbastanza intatto", ha detto Russell Mittermeier, Responsabile del Gruppo per lo studio dei primati dell'IUCN.
In Vietnam e in Cambogia circa il 90% dei primati è considerato a rischio estinzione. In questi paesi, intere popolazioni di gibboni e langur grigi sono fortemente diminuite sia per la perdita di habitat che a causa della caccia. Molti parti di tali animali, infatti, vengono vendute sul mercato cinese come ingredienti per farmaci secondo la "medicina tradizionale". Aggiunge Jean Christophe, responsabile dei programmi dell'IUCN: "Ciò che sta avvenendo nel sud est asiatico è terrificante. Mai è successo qualcosa del genere per nessun'altra specie nota".
L'importanza dei primati per l'ambiente in cui vivono è fuori discussione. Da milioni di anni essi rappresentano l'agente primario per la dispersione dei semi di moltissime piante, oltre ad altre importanti interazioni con l'ambiente tropicale. E avere foreste sane significa offrire, alle popolazioni indigene, un habitat che permette loro di sopravvivere.
Nonostante il quadro pessimistico di questa ricerca, vi sono alcuni dati che tuttavia dimostrano come azioni serie per frenare la scomparsa di alcune specie abbiano dato risultati interessanti. E' il caso ad esempio del "leontocebo dalla groppa rossa", il quale dopo trent'anni di sforzi per proteggerlo dall'estinzione ora non fa più parte della Lista Rossa delle specie in pericolo.
"Se salviamo le foreste, possiamo salvare i primati. Il lavoro fatto con il leontocebo ne è la dimostrazione. Conservare frammenti di foresta, creare nuovi corridoi tra foreste preservate non solo permette a questi animali di sfuggire all'estinzione, ma anche di mantenere integro l'ambiente e, di conseguenza, di diminuire l'anidride carbonica presente nell'atmosfera", ha spiegato Anthony Rylands dello IUCN.
A volte però la natura stessa trova meccanismi che le permettono di sopravvivere anche in condizioni assai precarie. All'International Primatological Society Congress che si sta tenendo a Edinburgo, la Wildlife Conservation Society ha fatto sapere che in un rilevamento sul gorilla di pianura, presente nella Repubblica democratica del Congo, si è scoperto che il numero degli individui si è raddoppiato in 20 anni, raggiungendo i 125 mila. Ciò non significa, dicono i responsabili della WCS, che anche se non si fa nulla la natura è in grado di badare a se stessa, ma come la natura faccia di tutto per cercare di sopravvivere e quindi, all'uomo, basterebbe poco per aiutarla a mantenersi viva sulla propria strada.
fonte: repubblica.it
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