Le emissioni di anidride carbonica prodotte dalle industrie italiane nel 2007 sono leggermente calate rispetto all'anno precedente (0,7 milioni di tonnellate in meno), ma non quanto ci impone di fare la direttiva europea sull'Emission Trading adottata nell'ambito dell'adesione al Protocollo di Kyoto. Le riduzioni sono infatti nettamente inferiori agli obiettivi fissati dalle quote assegnate per il rispetto del trattato internazionale contro i cambiamenti climatici, con uno sforamento complessivo di 25,4 milioni di tonnellate di CO2.
Ad anticipare il deludente risultato è Greenpeace che ha elaborato i dati del Registro europeo delle emissioni (Citl) e quelli del Registro italiano (Greta) che monitorano i settori regolamentati dalla direttiva europea sull'Emission trading. Complessivamente la nostra industria, denuncia l'organizzazione ambientalista, a fronte di quote per 201 milioni tonnellate di anidride carbonica, nel 2007 ha immesso nell'atmosfera un totale di 226,4 milioni di tonnellate.
Il ritardo italiano non è solo un problema per l'ambiente, ma anche per il portafoglio. "Attualmente - ricorda infatti Greenpeace - le quote di CO2 vengono scambiate a un prezzo di 27-28 euro a tonnellata. Se lo stesso disavanzo venisse ripetuto nel 2008, il Paese andrebbe incontro a un costo di circa 700 milioni di euro". I tagli all'inquinamento che non siamo in grado di realizzare in casa, alla scadenza degli accordi saremmo costretti infatti a "comperarli" dai paesi più virtuosi sul mercato internazionale. E visto che il settore in testa alla produzione di emissioni è quello termoelettrico, il rischio è che questi costi aggiuntivi finiscano per essere scaricati sulle bollette.
"La 'maglia nera' delle emissioni - denuncia ancora Greenpeace - va all'Enel, con +6,8 milioni di tonnellate rispetto alle quote assegnate dalla direttiva Ue e una produzione totale nel 2007 di 46,7 milioni di tonnellate. "Da sola - ricorda l'organizzazione ambientalista - emette quanto la somma del comparto della raffinazione, dell'acciaio e della carta". E se è vero che il dato è in calo rispetto al 2006 (51,6 milioni di tonnellate), secondo Greenpeace "questo non è sintomo di alcuna garanzia per il futuro" in quanto l'Enel "ha intenzione di riconvertire la propria produzione a carbone, il combustibile fossile con le più alte emissioni di gas serra" con il risultato che "la politica energetica dell'azienda metterà in ginocchio l'intero Paese per quanto riguarda gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra".
Dopo il termoelettrico, nella classifica dei comparti industriali a maggiore impatto sul clima vengono il settore del cemento (31,4 milioni di tonnellate), la raffinazione (26 milioni di tonnellate) e la produzione dell'acciaio (13,9 milioni di tonnellate). Proprio dalla grande siderurgia arriva però in questi giorni una nota positiva. In un incontro con il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, la dirigenza dell'Ilva di Taranto (in seconda posizione nella speciale classifica degli impianti a maggiore produzione di CO2 stilata da Greenpeace) ha annunciato infatti che i dati dell'Arpa Puglia certificano un abbattimento di circa il 50% delle emissioni.
fonte: repubblica.it
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venerdì 8 agosto 2008
Emissioni industriali di CO2 in calo
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