martedì 5 agosto 2008

E-waste, denuncia di Greenpeace

E' il remake di un film degli anni Ottanta, un brutto film. Gli slum africani utilizzati come pattumiera dei veleni dei paesi ricchi, i primi vani tentativi di bloccare il traffico, la rivolta dei nigeriani che, esattamente vent'anni fa, sequestrarono una nave italiana, con 24 uomini di equipaggio, come arma di pressione per costringerci a risanare la discarica pirata di Port Koko. Adesso ci risiamo. Nella versione tecnologicamente avanzata dell'e-waste, il rifiuto elettronico che fluisce sempre più abbondante. La nuova pattumiera del mondo industrializzato è il Ghana: è qui che finisce una buona parte degli oggetti che fino a un istante prima dell'abbandono sembravano indispensabili e che all'improvviso si sono rivelati inutili, cancellati nella possibilità d'uso da memorie più potenti, software più avanzati.

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La denuncia viene da Greenpeace che, con un'azione di "spionaggio industriale" è riuscita a ricostruire il percorso delle nuove navi dei veleni. Il punto di partenza per l'Europa è Anversa, in Belgio, dove confluiscono scarti elettronici provenienti da Olanda, Germania, Italia, Danimarca e Svizzera. Non si tratta di piccoli numeri. Le stime Onu parlano di 20-50 milioni di tonnellate di rifiuti tecnologici prodotti ogni anno: i Raee, ovvero i rifiuti derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, rappresentano la tipologia di rifiuti pericolosi in più rapida crescita a livello globale (3-5% annuo, nel 2006 ogni cittadino europeo ne ha prodotto tra 17 e 20 chili all'anno). Contengono elementi tossici e persistenti (metalli pesanti, ftalati, pcb) che rappresentano un rischio per l'ambiente e la salute umana nelle fasi di trattamento, riciclaggio e smaltimento.

Dunque roba da maneggiare con attenzione. Ma le foto che potete vedere mostrano cosa succede veramente. Oggetti pericolosi trattati senza nessuna precauzione anche da bambini, materiale tossico bruciato vicino alle case, pozze di liquame contaminato in cui tutti sguazzano. E' questa la fine che fa una buona parte dell'e-waste occidentale: si perdono le tracce del 75 per cento dei rifiuti tecnologici prodotti nell'Unione Europea e di oltre l'80 per cento di quelli prodotti negli Stati Uniti. In parte restano nei garage e nelle cantine, in parte vengono smaltiti illegalmente nei paesi in cui sono stati usati, ma in buona parte salgono sulle navi dei veleni per arrivare nei luoghi in cui i lavoratori, spesso bambini, sono esposti ai rischi legati al cocktail di composti chimici che questi rifiuti sprigionano quando vengono trattati in modo non adeguato.

In Ghana l'indagine di Greenpeace ha messo in evidenza una rete di cimiteri clandestini. Le navi ufficialmente cariche di "beni elettronici di seconda mano" arrivano nel più grande porto del paese, a Tema, e da lì prendono la strada del centro di smaltimento di Agbogbloshie, ad Accra, la capitale. Oppure si sperdono nel marasma dei piccoli cimiteri sparsi un po' ovunque. Greenpeace ha fornito i dati relativi a quello di Korforidua, ma è un esempio tra tanti.

Un disastro ambientale, sociale, umano che rappresenta l'altra faccia del disastro politico che ci coinvolge direttamente. Vent'anni fa l'Occidente chiuse gli occhi sulle rotte dei veleni finché il contenzioso internazionale divenne troppo aspro per ignorarlo. Ora la capacità di risposta dei paesi che subiscono l'arrivo clandestino dei rifiuti elettronici (dall'Africa alle piazze asiatiche) è più alta ed è prevedibile che la tensione tornerà a salire molto presto.

fonte: repubblica.it

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