giovedì 27 agosto 2009

Draghi: «Possibile ripresa dal 2010»

Il peggio è passato e dal 2010 anche l' economia italiana potrebbe tornare a crescere. Ma uscire dalla crisi, per il nostro paese, sarà un'impresa difficile. E' questa, in sintesi, l'opinione di Draghi, espressa al meeting di Cl a Rimini, dove ha anche difeso il lavoro degli stranieri e criticato il ripristino delle gabbie salariali. «Secondo stime largamente condivise, nella media del 2009 la caduta del Pil rispetto all'anno precedente, risulterà in Italia intorno al 5 per cento; nel prossimo anno, il graduale recupero della domanda mondiale potrebbe consentire all'economia italiana di tornare a crescere sia pure di poco». Il Governatore della Banca d'Italia mostra così un cauto ottimismo rispetto all'uscita dalla crisi economica.

MOLTE IMPRESE RESTANO A RISCHIO - «Non poche imprese - ha però aggiunto Draghi - soprattutto quelle più esposte verso gli intermediari finanziari, che avevano avviato prima della crisi una promettente ristrutturazione, colte a metà del guado dal crollo della domanda, potrebbero veder frustrato il loro sforzo di adeguamento organizzativo, tecnologico, di mercato e rischiano la stessa sopravvivenza. Si aggraverebbe così la perdita di capacità, potenziale e attuale, del sistema. Un deterioramento prolungato del mercato del lavoro potrebbe compromettere la ripresa dei consumi e depauperare il capitale umano».

IL LAVORO DEGLI STRANIERI E' UNA RISORSA - Il Paese dispone di una «risorsa, potenzialmente di grande rilevanza per la nostra economia, la disponibilità di lavoro straniero». Lo ha detto - intervenendo al Meeting dell'Amicizia di Rimini - il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che però avverte: «potremo utilizzarla solo se saranno governati i gravi problemi che essa pone sotto il profilo della integrazione sociale e culturale». Con «4,3 milioni» di stranieri, stimando anche il numero di chi non è iscritto all'anagrafe e chi non ha permesso di soggiorno, per Draghi «i cittadini stranieri in Italia sono in media più giovani e meno istruiti degli italiani ma partecipano in misura maggiore al mercato del lavoro e svolgono mansioni spesso importanti per la società e l'economia italiane, anche se poco retribuite». E, dice Draghi, non rappresentano un pericolo per il lavoro degli italiani: «Non si rilevano conseguenze negative apprezzabili sulle prospettive occupazionali degli italiani, un risultato che emerge dalla grande maggioranza degli studi svolti nei paesi a elevata immigrazione».

NO ALLE GABBIE SALARIALI - Nessun ripristino delle gabbie salariali, ma «gradi più elevati di decentramento e di flessibilità nella contrattazione», quindi un maggior peso della contrattazione di secondo livello. E’ stata questa la strada indicata dal Governatore dal palco Rimini a proposito del divario salariale fra Nord e Sud. Draghi ha ricordato che, secondo le stime di Via Nazionale, «nel settore privato i livelli dei salari reali non sono molto discosti». «Comunque - ha sottolineato il Governatore - non si tratta di imporre vincoli aggiuntivi al processo di determinazione dei salari con il ripristino delle cosiddette gabbie salariali, ma al contrario di conseguire gradi più elevati di decentramento e di flessibilità nella contrattazione. Le parti sociali - aggiunge - si sono progressivamente orientate in questo senso, da ultimo con l’accordo recente che prevede un maggior peso della contrattazione di secondo livello».

ALZARE L'ETA' PENSIONABILI - Secondo Draghi è poi necessario innalzare l'età pensionabile per ridurre la spesa pubblica corrente. La ricostruzione della economia italiana non potrà avvenire «senza il mantenimento della stabilità finanziaria, senza l'equilibrio dei conti pubblici. È evidente che l'indispensabile riduzione del debito richiede da un lato un insieme di programmi strutturali di contenimento e riqualificazione della spesa corrente e dall'altro una riduzione dell'evasione fiscale. Non credo tuttavia - ha aggiunto Draghi - che senza un netto aumento dell'età media effettiva di pensionamento, pur con tutte le garanzie necessarie per i cosiddetti lavori usuranti, sia possibile nel medio periodo conseguire risultati sufficienti in termini di minor spesa corrente. In presenza di un forte incremento della speranza di vita, l'allungamento della vita lavorativa è importante per rendere compatibili l'esigenza di contenimento della spesa pubblica con quella di garantire un reddito adeguato durante la vecchiaia; può contribuire, se accompagnato da azioni che rendano più flessibili orari e salari dei lavoratori più anziani, ad aumentare il tasso di attività e a sostenere il tasso di crescita potenziale dell'economia. Può anche consentire di destinare maggiori risorse ad altri comparti della spesa sociale».

fonte: corriere.it

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