«TROPPI OSTACOLI, RINUNCIAMO» - La decisione, annunciata giovedì da un'informativa del ministero dello Sviluppo economico, è stata ribadita da un comunicato della stessa società petrolifera «Parte del progetto Bernata - spiega Michael Masterman, amministratore delegato di "Po Valley" - coinvolge un parco vicino ad un'area altamente urbanizzata e le autorità locali hanno espresso forti preoccupazioni circa la formale approvazione dell'istanza. Abbiamo analizzato queste preoccupazioni e valutato il rischio che queste ultime potessero portare ad una conclusione del procedimento senza che le previste procedure di valutazione di impatto ambientale fossero portate a termine. In questo contesto - aggiunge Masterman - , il progetto Bernaga non poteva ricevere una corretta valorizzazione e impossibile risultava un dialogo con le comunità locali basato su dati concreti». La decisione di gettare la spugna è stata però sofferta: «Continuiamo a ritenere che l'attività di esplorazione avrebbe coinvolto un'area molto limitata, avvalendosi inoltre della presenza di siti industriali dismessi - si legge ancora nella nota della società -. Siamo rammaricati di quanto accaduto anche perché restiamo più che mai convinti del valore del progetto anche nello scenario di un'Italia che deve tendere a garantirsi l'autonomia energetica con esplorazioni naturali e sempre minor impatto ambientale».
SOLLEVAZIONE POPOLARE - Contro la trivellazione c'era stata una vera e propria sollevazione degli abitanti della zona, un'area che ricade nella provincia di Lecco. Diversi gruppi di cittadini avevano costituito il comitato «No al pozzo», attraverso il quale avevano lanciato una raccolta firme e organizzato serate informative sui rischi legati all'installazione di pozzi petroliferi nei pressi dei centri abitati. Nel parco era stata organizzata anche una manifestazione, alla quale avevano partecipato oltre duemila persone, con la piantumazione simbolica di due gelsi nel punto individuato da Po Valley per l'installazione di uno dei due pozzi di ricerca. Ostilità al progetto era stata manifestata a livello trasversale da amministratori locali di diverso indirizzo politico. E anche un esponente del governo, il viceministro dei Trasporti, Roberto Castelli, lecchese doc, aveva preso posizione contro l'ipotesi di un impianto all'interno del parco, un'area di 2.350 ettari che abbraccia il territorio di dieci diversi comuni e sovrastata dalla collina di Montevecchia, celebre per la produzione di vini e formaggi e per essere stata in passato buen ritiro di artisti e intellettuali.
IL PRESIDIO RESTA - Dal canto suo il comitato anti-pozzo ha accolto la notizia con una festa in una delle cascine storiche del parco. «E’ un risultato di matrice “collettiva”, al quale hanno contribuito tutti, amministrazioni, associazioni, politici, comitato civico e soprattutto tanti tantissimi cittadini - si legge nel blog del movimento anti-trivelle - : la consapevolezza delle persone e la posizione unanime delle amministrazioni sulla contrarietà alla ricerca di idrocarburi nella Brianza Lecchese sono risorse che questa esperienza di opposizione ragionata, ma anche determinata, ha generato e che ci aiuterà nel portare avanti l’idea di uno sviluppo economico del territorio compatibile con la sua struttura ambientale e sociale. Ringraziamo ancora tutti coloro che hanno dato il loro apporto prezioso, in particolare le circa 30.000 persone che ad oggi hanno sottoscritto la petizione. Infine anche se uno degli obiettivi è stato raggiunto, l’esperienza del Comitato non si conclude qui: resteremo a presidiare l’istanza di altri progetti simili e per diffondere tematiche per la difesa dell'ambiente e la promozione dello sviluppo sostenibile, secondo gli scopi che si è prefisso».
fonte: corriere.it
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