lunedì 31 agosto 2009

Ecorally: veicoli ecologici in pista

Torna per la quarta edizione Ecorally la gara internazionale regolamentata dalla F.I.A. (Federazione Italiana dell’Automobile)che ha come obiettivo la promozione e lo sviluppo dei veicoli ad energie alternative e a basso impatto ambientale e la dimostrazione al pubblico delle performance e della loro adattabilità all’uso quotidiano.
Ad essere ammesse solo auto solari e/o elettriche di uso quotidiano, elettriche leggere (moto), ibridi ed altri veicoli ad energie alternative (mono e bi-fuel gassosi, idrogeno, biocarburanti). Saranno in gara dal 19 settembre lungo un percorso che si snoderà da San Marino fino a Castelgandolfo passando per le città di Sansepolcro (AR), Gubbio (PG), Assisi (PG), Torgiano (PG), Spoleto (PG), Magliano Sabina (RI) ROMA e Castelgandolfo (SCV).
Vi potranno prender parte anche i cittadini privati, a bordo dei veicoli che usano quotidianamente per i loro spostamenti.
Tra i mezzi in gara anche alcuni “trifuel”, veicoli dotati di un motore ibrido a tripla alimentazione: benzina/elettricità/Gpl o metano.
La manifestazione si concluderà il 20 settembre, benedetta dall’Angelus recitato da Papa benedetto XVI.

fonte: rinnovabili.it

Australia, il mega progetto sul gas preoccupa gli ambientalisti

L’Australia, secondo il parere di un gruppo di esperti, potrebbe diventare il nuovo “Medio Oriente del gas” grazie anche al grande interesse dell’Asia per l’acquisto delle vaste riserve di gas presenti nel paese.
La scorsa settimana il Governo ha approvato il Gorgon Lng (Gorgon liquefied natural gas), progetto che mira allo sfruttamento delle riserve naturali del Paese e alla trasformazione della risorsa in forma liquida, più facile da traspostare attraverso i gasdotti.
La zona di interesse è l’ovest dell’Australia, che conta tre importanti giacimenti: il Carnarvon, il Browse e il bacino Bonaparte
A detta del Primo ministro Kevin Rudd, il progetto, che sarà realizzato grazie alla joint venture tra Chevron, Shell ed Exxon Mobil, potrebbe costare 50 miliardi di dollari e porterebbe alla creazione di almeno 60 mila posti di lavoro.
Ma non tutti sono entusiasti: numerosi gruppi ambientalisti temono che la tutela ambientale venga lasciata in secondo piano causando l’aumento delle emissioni di gas ad effetto serra.
Il ministro dell’Ambiente australiano, Peter Garret, ha ammesso che il nuovo progetto sarà causa di una notevole produzione di emissioni nocive, soprattutto se non dovesse avere successo il progetto di pompare le emissioni di biossido di carbonio nel fondo marino.
L’Australia ha esportato, nel 2006, 15,2 milioni di tonnellate di gas liquido, valore 5,2 miliardi di dollari. La cifra, ha dichiarato il governo australiano, sarà quadruplicata a 60 milioni di tonnellate entro il 2015, se tutti i progetti attualmente in programma procederanno.
Vista la determinazione del Governo nel portare avanti lo sfruttamento del gas australiano, il ministro Garrett ha incluso nel documento per l’approvazione del progetto Gorgon, 28 condizioni destinate a proteggere l’ambiente.

fonte: rinnovabili.it

Prima Conferenza sul Climate Change per i popoli himalayani

Il Primo ministro del Nepal, Madhav Kumar, ha aperto questa mattina la prima Conferenza sui cambiamenti climatici delle nazioni himalayane alla presenza dei rappresentanti di Afghanistan, Bangladesh, Maldive, Pakistan e Sri Lanka.
La due giorni, denominata ‘‘Kathmandu to Copenaghen”, vuole rappresentare un preludio al vertice danese il prossimo dicembre, quando 192 nazioni si incontrano per sostituire il protocollo di Kyoto.
Sul tavolo dei colloqui l’allarmante pericolo dello scioglimento dei ghiacciai e i problemi determinati da eventi meteorologici estremi che stanno colpendo quello che da molti ambientalisti è considerato come il “terzo” polo. La catena montuosa dell’Himalaya si estende 2.400 km attraverso Bhutan, Cina, India, Nepal e Pakistan e questo meeting rappresenta per i popoli della zona il primo vero incontro per evidenziare i problemi climatici e fare lobby per ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni al vertice di Copenaghen.
“Le minacce e i rischi del cambiamento climatico si sono manifestate con la riduzione dei ghiacciai dell’Himalaya, l’innalzamento del livello del mare e violente mareggiate”, ha spiegato Kumar. “Eventi meteorologici estremi sempre più frequenti hanno colpito produzione agricola in tutta la regione” e l’impatto potenzialmente catastrofico di questi stravolgimenti ambientali “ha assunto una grande importanza nelle nostre relazioni internazionali”.
A rischio sono le condizioni di vita di 1,3 miliardi di persone e per il premier nepalese, la cooperazione transfrontaliera è la prima strategia da mettere in campo per affrontare tali impatti. Una cooperazione che tuttavia non ha visto, almeno per questa conferenza, la presenza dell’India, rischiando di indebolire un messaggio, come sottolineano i delegati, che ha urgenza di essere recapitato.

fonte: rinnovabili.it

Inflazione: risale in agosto, +0,2%

Dopo un anno in Italia risale l'inflazione. Secondo i dati preliminari dell'Istat, in agosto di è registrato un aumento dei prezzi dello 0,4% rispetto al mese precedente, portando l'inflazione tendenziale su agosto 2008 a +0,2%. L'inflazione acquisita per il 2009, ovvero quella che si avrebbe se si continuasse a registrare lo stello livello rilevato ad agosto, è pari al +0,9%. Aumentano in maniera rilevante i prezzi dei carburanti. La benzina in agosto è aumenta dell’1,8% rispetto a luglio, mentre per il gasolio c’è stata una crescita del 3%. I beni alimentari hanno segnato una diminuzione su base mensile dello 0,1%. Lunedì 31 agosto però ci sono stati nuovi ribassi su benzina e diesel. Dopo il movimento venerdì di Total, Esso ha diminuito di 0,5 centesimi la benzina e di 0,6 centesimi il diesel. Q8 ha tagliato di 1,5 centesimi la benzina e di 1 centesimo il diesel. Interventi sulla sola benzina invece per Shell e Tamoil: -0,5 centesimi. Lo riporta Quotidianoenergia.it.

ZONA EURO - Dati diversi nei sedici Paesi che hanno adottato l'euro come moneta unica. Secondo l'Eurostat, infatti, ad agosto l'inflazione è stata pari a -0,2%, il livello più basso dalla nascita dell'euro. In luglio l'indice dei prezzi al consumo nell'Eurozona era stato pari a -0,7%.

CONSUMATORI - Le associazione dei consumatori Adusbef e Federconsumatori in un comunicato congiunto invitano il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, di passare «dalle parole ai fatti, mettendo le mani al portafoglio». Secondo i due rispettivi presidenti, Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, «alla luce dei dati Istat sui consumi di giugno, del pessimo andamento economico, delle disastrose previsioni sul Pil, a cui si aggiungono le pesantissime ricadute per l'aumento di cassa integrazione e licenziamenti (che produrranno minori entrate di 580 euro annui a famiglia, ed addirittura di circa 980 euro annui per le famiglie a reddito fisso), è indispensabile intervenire con una manovra concreta a sostegno delle famiglie».

fonte: corriere.it

Aree marine protette, l'Iucn si congratula con la Francia per l'obiettivo 20% e i divieti di pesca

Secondo l' International union for conservation of nature (Iucn) «la Francia ha notevolmente incrementato i progressi verso una migliore tutela dell'ambiente marino». Il presidente Nicolas Sarkozy, parlando il 18 luglio scorso a Le Havre, ha annunciato la creazione di aree marine protette (Amp) che copriranno il 20% della Zona economica esclusiva (Zee) della Francia e il 24 agosto, in occasione di un'immersione con un sommergibile di alta profondità in canyons sottomarini al largo di Cassis, organizzata dall'Agence des aires marines protégées, il ministro dell'ecologia, dell'energia e dello sviluppo sostenibile Jean-Louis Borloo ha annunciato che la Francia ha deciso di dichiarare all'Onu una Zona economica esclusiva in Mediterraneo.

«E' un "changement de cap" che mira a proteggere la pesca francese ma soprattutto a proteggere i pesci e ad evitare l'arrivo di flotte potenti ed armate nel Mediterraneo un mare chiuso - ha detto Borloo - La Zee si estenderà su un perimetro approssimativo di 70 miglia che corrisponde all'attuale zona di protezione ecologica».

La politica francese per le Amp e la Zee piacciono molto a Dan Laffoley, vicepresidente per il mare della World commission on protected areas dell'Iucn, che parlando di Sarkozy ha detto: «Il presidente ha fissato l'obiettivo ambizioso che la metà delle nuove Aree marine siano "no-take" (senza prelievo di pesca, ndr) e la Francia si impegna a diventare il nuovo leader mondiale nella conservazione marina. Questo è particolarmente impressionante, visto che la Francia ha il secondo più grande territorio marittimo del mondo dopo gli Stati Uniti: circa 11 milioni di chilometri quadrati».

Al centro del progetto del governo di centro-destra francese c'è il "libro blu" che definisce la strategia marittima francese indicata dalla "Grenelle de la Mer" e che entrerà in vigore entro la fine del 2009.

A le Havre, annunciando la svolta per le Amp con l'impegnativo discorso "sur la politique maritime de la France", Sarkzy aveva detto: «Voglio farvi comprendere l'accordo che è stato raggiunto alla Grenelle de la Mer. Oggi, la Francia protegge meno dell'1% del suo spazio marittimo. Entro il 2012, intendo fare in modo che le Aree marine protette si estendano fino a rappresentare il 10% di questo territorio. Entro il 2020, queste Aree marine protette dovranno raggiungere il 20% degli 11 milioni km2 dei mari posti sotto la sovranità della Francia. E conto che la metà di questa estensione sia costituita sotto forma di riserve e di "cantonnements" di pesca da definire con i pescatori, gli scienziati ed i protagonisti locali. E' là che sarà preservata biodiversità marina. E' là che potranno ricostituirsi le risorse che permetteranno domani alla pesca di perpetuarsi nel nostro Paese. Nel 2020, la rete delle Aree marina proteggerà dunque più di 2 milioni di km2 di oceani e di mari sotto sovranità francese. Questa rete di protezione si estenderà sia lungo le coste metropolitane (nella Francia europea, ndr), in particolare nel Mediterraneo, che attraverso tutto l'oltremare francese: dalle Antille alla Nuova Caledonia ed alla Polinesia. Questa rete completerà in mare la trama verde e blu creata dalla Grenelle de l'Environnement sulla terra, senza dimenticare la "trame bleue marine" così cara ad Isabelle Autissier (la famosa navigatrice in solitario francese, ndr). Quel che andiamo a fare con questo obiettivo in materia di protezione marina non lo ha mai fatto nessun altro Stato al mondo. Questo esempio che la Francia darà aprirà la via ad un movimento senza precedenti di salvaguardia degli oceani, di ricostituzione delle risorse alieutiche e di salvaguardia di tutti coloro che vivono e dipendono ogni giorno dalla fertilità dei mari».

Resta da vedere ora come prenderanno il discorso di Sarkozy e gli applausi dell'Iucn i critici italiani dell'istituzione di aree marine protette, a partire da quelli che nell'Arcipelago toscano magnificano la politica delle Amp francesi come esempio di gestione permissiva rispetto ad un presunto proibizionismo della legge italiana. Sarkozy e Borloo infatti sono stati chiarissimi e quel che dicono riguarda due date limite che richiamano anche gli impegni europei ed internazionali, sottoscritti dall'Italia, per l'incremento della protezione del mare: entro il 2012 circa mezzo milione di km2 di mare protetto francese saranno "no-take" e vi sarà vietata o fortemente limitata la pesca, nel 2020 si supererà il milione di km2.

fonte: greenreport.it

A 100 giorni da Copenhagen l’Onu chiede firme online per sbloccare i negoziati

Il summit di Copenhagen si avvicina inesorabilmente a grandi passi e, a 100 giorni dalla Cop15 di dicembre, l'Onu chiede milioni di firme per una petizione on-line lanciata in occasione dell'annuncio della first-ever Global Climate Week, che fa parte della campagna "Seal the Deal!". Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha invitato le comunità di tutto il mondo ad approfittare della of Global Climate Week che si svolgerà dal 21 al 25 settembre per incoraggiare i loro leader a firmare un accordo equo, equilibrato ed efficace sul cambiamento climatico: «Time is running out - ha detto Ban Ki-moon - Gli scienziati ci avvertono che gli impatti climatici stanno accelerando. Ora più che mai, abbiamo bisogno di una leadership politica al più alto livello che ci garantisca che proteggerà la gente ed il pianeta, e che catalizzerà la crescita verde che può alimentare l'economia del XXI secolo. Con ancora soli 15 giorni di negoziati prima dell'inizio della COP15, ora è il momento che le persone, in ogni angolo del mondo, sollecitino i loro governi a suggellare un accordo equo, efficace e ambiziosa a Copenaghen».

Il primo settembre Ban sarà n visita alle Svalbard, l'arcipelago norvegese all'interno del Circolo Polare Artico, vicino al Polo Nord, per toccare con mano il problema dell'accelerato scioglimento dei ghiacci e gli altri impatti del cambiamento climatico. «Spero di essere compreso dai dirigenti mondiali e che questo fornisca l'occasione per buone discussioni nel corso del summit dei Capi di Stato e di governo il 22 settembre a New York - ha detto il segretario dell'Onu - Il livello di riduzione dei gas serra raccomandato nel rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sull'evoluzione del clima (Ipcc) in novembre dovrebbe già essere riconsiderato alla luce dell'accelerazione del riscaldamento del pianeta».

Intanto, in un'intervista alla radio dell'Onu, il capo dell'Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), Michel Jarraud, ha detto che «A causa del cambiamento climatico, i dati meteorologici storici non sono più dei buoni indicatori di tendenze per il futuro né una guida adeguata per prendere decisioni. Numerosi settori socio-economici sono molto dipendenti dalle condizione climatiche per poter prendere delle decisioni a lungo termine».

La Week Global Climate coinciderà con il vertice climatico internazionale convocato da Ban Ki-moon a New York il 22 settembre, un giorno prima della riunione annuale dell'Assemblea generale annuale e tra gli eventi previsti in più di 120 Paesi ci sono: incontri con i giovani, iniziative per piantare alberi, il climate neutral day ed il Go Green Day.

Per il direttore esecutivo dell'United Nations environment programme (Unep ), Achim Steiner, «Un accordo scientificamente credibile a Copenhagen è in grado di innescare una transizione verso una Green Economy low carbon, efficiente nell'uso delle risorse, che è così essenziale su un pianeta di sei miliardi di persone, in aumento ad oltre nove miliardi entro il 2050. Questo rappresenterà forse il pacchetto di stimolo di più grande e vasta portata del 2009 ed oltre. Le comunità, le imprese e gli individui sono invitati ad aggiungere la loro voce alla campagna Seal the Deal! durante la Global Climate Week firmando la Climate petition su www.sealthedeal2009.org per raggiungere milioni di firme».

La Climate petition serve a sostenere la campagna Seal the Deal! dell'Onu e verrà presentata a Copenhagen dalle Ong della società civile alle delegazioni dei governi del mondo. La campagna ha già ottenuto l'appoggio del premier thailandese Abhisit Vejjajiva, del presidente etiope Girma Woldegiorgis, del primo ministro sudcoreano Han Seung-soo e dalla premio Nobel kenyana Wangari Maathai.

Alla campagna Onu il gruppo pop austriaco My Excellence ha dedicato la canzone "Come On (Seal the Deal)" che oggi verrà suonata dal vivo per la prima volta a Vienna in occasione della cerimonia all'Ufficio dell'Onu alla quale partecipa Ban Ki-moon che ha detto: «Gli sforzi compiuti oggi per combattere i cambiamenti climatici sono uno degli investimenti più intelligente possibili che possiamo fare per il nostro futuro. Dobbiamo dimostrare il nostro supporto ai green stimulus packages e per un accordo equo a Copenhagen che determineranno il percorso dell'economia globale ed i livelli di benessere per centinaia di milioni di persone nel XXI secolo».

Intanto l'Unep ha annunciate il suo sostegno all'Internews Earth Journalism Awards che premia i migliori articoli e rapporti sul climate change reporting pubblicati lungo la road map che porta a Copenhagen.

Per informazioni: http://awards.earthjournalism.org/content/climate-change-negotiations-award.

Per firmare la petizione: www.sealthedeal2009.org

fonte: greenreport.it

Lombardia, contributi a solare termico e solar cooling

La Giunta della Regione Lombardia ha varato un nuovo bando per incentivare l’installazione di impianti solari termici su immobili di proprietà pubblica che sarà aperto da settembre 2009 (data di pubblicazione sul BURL). I contributi sono a sportello fino ad esaurimento fondi (cioè l’assegnazione dei contributi avverrà senza scadenze, fino a esaurimento delle risorse secondo l’ordine cronologico di registrazione sul sistema telematico).

In sintesi il bando (DGR n. 9955 del 29-07-2009 - pdf) stanzia 1.417.912 euro per incentivare l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonte solare per uso termico al servizio di immobili di proprietà pubblica.
Ai contributi potranno accedere: Comuni, Comunità Montane e loro Consorzi e Associazioni, ALER e Fondazioni Pubbliche per installare su immobili pubblici impianti con producibilità uguale o superiore a 10.000 kWh/anno con collettori tradizionali e anche con macchine per la climatizzazione estiva, solar cooling.

L'agevolazione sarà pari al 50% dei costi di realizzazione dell'impianto e avrà una soglia massima di 50.000 euro per domanda (60.000 se l'impianto è adatto anche alla climatizzazione estiva). Per i Comuni con meno di i 3mila abitanti o per le Comunità montane con meno di 5mila abitanti la cifra salirà a 60.000 euro di tetto massimo (70.000 se l'impianto è adatto anche alla climatizzazione estiva).

Per accedere ai contributi: http://www.ors.regione.lombardia.it/cm/bandi.jhtml (sezione “Energia”)
Consultare qui l'elenco degli installatori autorizzati presente nel sito stesso, contattare e quindi affidare a uno di essi l'incarico per la prenotazione e l'assegnazione del contributo, con la realizzazione "chiavi in mano" dell'impianto.

fonte: qualenergia.it

Comunione e nucleare

Dunque, il ritorno al nucleare civile, nel nostro Paese, sembra non avere ostacoli. Questa è la sensazione che si ricava dalle certezze esibite al meeting di Comunione e Liberazione dal Ministro Scajola e dall’amministratore delegato di Enel, Conti, a cui ieri il giornale di Confindustria ha dedicato ben due pagine.

Tutto sembra fatto: l’Enel è pronta, e aspetta solo il via per aprire il primo cantiere e assumerne la guida; l’Enea e la Sogin anche, così tutti possono dormire sonni tranquilli per la sicurezza delle centrali; l’Edf è addirittura prontissima e già contabilizza i lauti profitti che ricaverà, dopo averci sbolognato i vecchi reattori di terza generazione, di cui non sapeva più che farsene, visto che sta lavorando a quelli di quarta; infine il ministro Scajola ha annunciato, al popolo di Cl, che anche il governo è pronto a elencare i territori che dovranno ospitare le centrali e a garantire che nel 2020, finalmente, nella rete elettrica correrà il primo kWh nucleare.

Più che impressionare, questi signori fanno un po’ sorridere. Tanta ostentazione di sicurezza sembra nascondere l’ansia e la paura, di essersi in realtà imbarcati in un’impresa impossibile. Si caricano a vicenda, una sorta di autosuggestione, in attesa dell’inevitabile scontro con la popolazione che, siamo convinti, continua a non volere né reattori né le inevitabili scorie radioattive.

Certo, a stare al volume di fuoco e di bugie che la lobby nucleare sta esibendo, la partita, per chi si oppone, sembra persa: stampa e televisione quasi unanimemente sostengono il ritorno all’atomo e ospitano, quasi ogni giorno, faccendieri e velinari, travestiti da scienziati, che raccontano che il nucleare fornirà, in modo sicuro, energia illimitata e a poco prezzo; gli industriali sono mobilitati a sostegno della scelta, tanto, come per le multe per non avere rispettato Kyoto, se poi i conti non tornano, a pagare saranno le popolazioni. Insomma, tutto sembra procedere senza intoppi e soprattutto senza opposizione.

Irresponsabili e illusi. State facendo i conti senza l’oste, senza cioè gli italiani che non compaiono mai nei vostri ragionamenti e nelle varie tappe che secondo il governo e l’Enel riporteranno questo Paese nell’avventura nucleare. Non compaiono neanche i presidenti regionali, quelli a cui spettano le scelte energetiche e che voi, campioni di federalismo, espropriate. Non mancano, però, le minacce di invio dell’esercito contro chiunque voglia opporsi alla costruzione di una centrale.

Per quanto ci riguarda non vediamo l’ora che il governo dia l’ennesima prova del suo decisionismo e dica dove ha deciso di posare il primo atomo. Lì saremo ad aspettare, forti non solo delle sempre più numerose e occultate prese di posizioni di Regioni, Province e Comuni contro questa scelta, ma soprattutto del consenso popolare che siamo certi di avere, ampio quanto quello che, con un democratico referendum, disse ventuno anni fa "no" al nucleare.

fonte: qualenergia.it

sabato 29 agosto 2009

Si spostano i limiti di vegetazione e gli alberi diventano "migranti"

IL riscaldamento climatico è un fenomeno che ha ben pochi risvolti positivi ma, stando a una ricerca neozelandese, offrirebbe agli alberi del pianeta la possibilità di colonizzare nuovi territori, incontrando sempre meno ostacoli nelle condizioni di sopravvivenza. In altre parole, dato che le piante resistono più facilmente al caldo che al freddo e che l'inverno fa da effetto-soglia per la sopravvivenza della maggior parte degli alberi, l'innalzamento globale delle temperature gioca a favore di boschi e foreste, che incontrando inverni sempre meno rigidi riescono a sopravvivere anche in territori finora considerati inospitali.

E' questo che ha cercato di fare la ricercatrice Melanie Harsch del Bio-Protection Research Centre della Lincoln University, in Nuova Zelanda, che con il suo team ha analizzato 166 località del pianeta per capire cosa provoca gli spostamenti delle "treelines", ovvero i limiti di vegetazione arborea. In tutti i siti prescelti, questi spostamenti vengono monitorati costantemente dal 1900, quindi lo studio ha potuto prendere in esame e confrontare oltre un secolo di dati.

La ricerca ha tenuto conto di innumerevoli fattori climatici e non, dal caldo all'umidità, dal livello di piovosità alla conformazione geologica e geografica del territorio. "Da secoli sappiamo che via via che fa più caldo il limite degli alberi si alza di quota. Per capire cosa spinge i limiti di vegetazione a spostarsi non basta schematizzare tutto nel binomio caldo/freddo - spiega il climatologo Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana - poiché si tratta di meccanismi influenzati da un'infinità di fattori".

Dire ad esempio che gli alberi sopravvivono più facilmente a temperature calde, continua Mercalli, "è sbagliato: il melo se non ha abbastanza freddo d'inverno, non fruttifica. Per questa pianta l'inverno troppo mite può quindi essere un problema. Il legame tra aumento delle temperature e avanzamento della vegetazione è un dato di fatto, ma i fattori di controllo sono moltissimi, comprensibili fino in fondo solo agli addetti ai lavori".

Le parole di Mercalli trovano conferma nei dati raccolti dalla Harsch: il suo studio, pubblicato su Ecology Letters, ha riscontrato infatti uno spostamento progressivo della vegetazione arborea dalla costa occidentale americana verso Siberia del nord e sud-est asiatico, ma in modo tutt'altro che uniforme. In alcune località gli alberi sono avanzati verso nord, mentre in altre non è stato registrato alcuno spostamento.

I ricercatori hanno anche notato che la temperatura dell'aria negli ultimi 100 anni è aumentata in 111 siti su 166 (0,13 gradi in più ogni decennio) e che il riscaldamento estivo si è verificato in 117 siti (0,0189 gradi in più ogni decennio), ed è stato più frequente di quello invernale, registrato in 77 località (0,0199 gradi in più ogni anno). I limiti di vegetazione sono avanzati verso habitat finora ritenuti inospitali in ben 87 località, mentre sono in tutto 77 i luoghi in cui la vegetazione non si è mossa e due quelli in cui ha finito con l'occupare un ambito ancora più ristretto del proprio territorio, recedendo. "Ci aspettavamo che l'elemento trainante fosse l'aumento delle temperature estive - spiega Harsch - e invece sono le variazioni di quelle invernali a scatenare tutto".

"Una soglia termica minima invernale - conclude Mercalli - può semplicemente uccidere la pianta e quindi impedirle di svilupparsi. Un inverno più mite, indipendentemente dall'estate, elimina il fattore limitante e la specie può salire di quota. La cautela interpretativa sta però nel fatto che tutto ciò dipende dalla specie vegetale e dal tipo di ambiente. E' chiaro che per far crescere gli olivi sulle Alpi, oltre a un'estate sufficientemente mite, dovrò eliminare tutti i minimi invernali minori di circa -10 C, temperatura critica dell'olivo, sotto la quale la pianta muore".

fonte: repubblica.it

venerdì 28 agosto 2009

Istat: a luglio i prezzi alla produzione industriale scesi del 7,5% su base annua

Ancora un segnale della crisi in atto. I prezzi alla produzione industriale nel mese di luglio sono diminuiti dello 0,4% rispetto a giugno e del 7,5% su luglio 2008. Lo comunica l'Istat, precisando che il calo tendenziale è il più ampio non solo da gennaio 2006, data di inizio della serie di dati confrontabili, ma addirittura da gennaio 1992.

CONFRONTO - Secondo l'Istat nel confronto tra la media degli ultimi tre mesi (maggio-giugno) e quella dei tre mesi precedenti l'indice è diminuito dello 0,2%. Nel mercato interno si registra un calo congiunturale dello 0,6% e una diminuzione tendenziale dell'8,5%. Trend simile anche sul mercato estero, dove l'indice scende dello 0,2% su base mensile e del 4% su base annua.

fonte: corriere.it

sequestrati 800 chili di materiale inquinante nella costa etnea

Ottocento chili di materiale inquinante raccolti in meno di un mese nello specchio d'acqua del mar Jonio che va da Fiumefreddo sino alla foce del fiume Simeto. È il bilancio dell'utilizzo, nell'ambito di un accordo con la Provincia regionale di Catania, del battello ecologico messo a disposizione dall'Amp Isole Ciclopi. I dati sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa tenuta nei locali del laboratorio naturalistico 'Natura e Scienza' di San Gregorio. Erano presenti, tra gli altri, il presidente della Provincia Giuseppe Castiglione, l'assessore provinciale all'Ambiente Giovanni Bulla, il presidente dell'Amp Angelo Messina e il direttore Cutgana Concetto Amore. "Abbiamo iniziato una sorveglianza costante del nostro mare - ha detto Castiglione - per migliorare la qualità delle nostre acque. I risultati del primo mese di interventi nella fascia costiera catanese ci stimolano a continuare e a migliorare questa collaborazione virtuosa con l'Università e con gli organismi ad essa collegati, per inibire i trasgressori e stimolare la popolazione a mantenere pulite le coste".

fonte: lasicilia.it

Riapre la Grotta azzurra Le analisi: l'acqua è pulita

Dopo il via libera definitivo dell'Arpac, riapre la Grotta azzurra di Capri, chiusa il 25 agosto. Nessuna sostanza nociva nell'acqua, ma sono stati avviati degli accertamenti sulla denuncia dei battellieri. Il procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore: "Giusta la serrata per tutelare i cittadini". I turisti, per lo più ignari dell'accaduto, tornano comunque ad ammirare una delle meraviglie dell'isola campana.

L'Arpac: "Nessuna sostanza nociva". La Grotta azzurra non è pericolosa, non vi sono tracce di sostanze chimiche nocive e, anzi, l'acqua del mare che la bagna è particolarmente pulita. Lo confermano i dati dei prelievi effettuati dall'Arpac, in seguito alla denuncia di una chiazza di schiuma sospetta da parte dei battellieri. "L'analisi chimica - si legge nell'ultima nota dell'agenzia inviata alla Guardia costiera di Capri - non evidenzia la presenza, in concentrazioni significative, di alcuna sostanza suscettibile di produrre gli effetti denunciati nelle segnalazioni del 25 agosto". E conclude: "L'analisi microbiologica evidenzia la presenza di batteri in quantità largamente inferiori ai limiti previsti dalla normativa per le acque di balneazione".

Il ritorno dei turisti.
I turisti stranieri in vacanza a Capri del giallo della Grotta azzurra non si sono neppure accorti: "Perché? Che è successo nella Grotta azzurra?", rispondono sui battelli, in diverse lingue, a chi prova a sollecitare un commento. Una giovane australiana è proprio sul punto di entrare e non vuole alcuna spiegazione: "No, non ditemelo, a questo punto non voglio proprio sapere". Il via vai delle barchette riprende a pieno ritmo, intorno alle 13.30. Alla fine si salva mezza giornata di lavoro, con 560 ingressi, comunque lontani dai 2.000 che in media si registrano ogni giorno nel mese di agosto.

La procura indagna. La procura della Repubblica di Napoli indaga sulla schiuma sospetta denunciata dai battellieri nella Grotta. "Stiamo facendo degli accertamenti - dice Lepore - per comprendere le cause dell'episodio denunciato dai battellieri". E precisa: "Per ora posso solo ribadire che, in base agli elementi che abbiamo in mano, la camorra non c'entra assolutamente". Lepore è contrario anche alla tesi del sabotaggio, di cui hanno parlato i sindaci dell'isola nei giorni scorsi: "Criminalità organizzata, complotti, sabotaggi: la verità è che quando si fanno i controlli escono fuori le rogne. Di fronte agli abusi vanno accertati i fatti: non si possono bollare le cose preventivamente".

"Giusta la chiusura preventiva". "Non si attacca chi fa prevenzione a tutela della salute dei cittadini", prosegue Lepore intervenendo nella polemica esplosa sul provvedimento di chiusura della Grotta azzurra, voluto dalla capitaneria di Porto di Napoli e duramente contestato dagli assessori regionali Walter Ganapini e Riccardo Marone. "Il provvedimento di chiusura - afferma il procuratore - è stato forse il primo caso in cui si è fatta della prevenzione a tutela della salute del cittadino". E conclude: "Spero comunque che la Grotta sia in piena salute e che tutto questo allarme rientri".

fonte: repubblica.it

Capri, riapre la Grotta Azzurra L'annuncio dei sindaci, tornano i barcaioli

Alla fine riapre. La Grotta azzurra è di nuovo accessibile e i battellieri si stanno muovendo dal porto per raggiungerla. Lo dicono i sindaci di Capri e di Anacapri, Ciro Lembo e Franco Cerrotta, annunciando l’abrogazione dell’ordinanza della capitaneria di porto di Napoli che aveva vietato l’accesso al sito noto in tutto il mondo.

NIENTE SCHIUMA - «Non è stata notata alcu­na presenza di schiuma o liquido oleo­so o odori particolari». È quanto scri­vono nella relazione di sopralluogo i tecnici dell’Arpac i quali, il 25 agosto, hanno raggiunto la Grotta Azzurra da Massa Lubrense un’ora dopo che i bat­tellieri avevano denunciato i malori che sarebbero stati provocati dalla schiuma in mare e dall’odore acre del­lo stesso.

I dati completi saranno di­sponibili oggi o domani. Intanto, pe­rò, le prime analisi escludono la pre­senza di sostanze chimiche tali da pro­vocare schiume e malori e paiono smentire il racconto dei barcaioli. «Le notizie dell’inquinamento della Grotta Azzurra hanno una fondatezza tecnico-scientifica altamente impro­babile», si sbilancia l’assessore all’Am­biente, Walter Ganapini. Tira in ballo la sindrome Tafazzi , il masochistico personaggio del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Riccardo Marone, il suo col­lega di giunta, allude a una non me­glio precisata strategia per enfatizzare i problemi del mare campano, sulla ba­se di interessi non chiari.

Sferra poi un attacco, pur senza mai citarlo espli­citamente, al contrammiraglio Dome­nico Picone, firmatario dell’ordinanza di chiusura della Grotta Azzurra: «Un atto irresponsabile. Assurdo che la grotta non sia stata chiusa perché c’è una emergenza, ma per verificare se ci sia». Lancia anche una stoccata al Go­verno: «Se il ministro per i Beni cultu­rali, Sandro Bondi, dal quale dipende la Grotta Azzurra, non ha risorse per installare telecamere lì dentro, lo dica. La Regione Campania è pronta a utiliz­zarne di proprie». Replica in serata Pi­cone: «L’ordinanza è stata dettata dal senso di responsabilità e sarà revoca­ta un secondo dopo la diffusione dei dati dell’Arpac, se confermeranno che non vi è alcun pericolo per la salute pubblica». Contesta l’accusa di eccessi­va fretta nel chiudere la grotta ai visi­tatori: «Come si fa a dire che c’è una emergenza se non la si accerta?».

Al netto delle polemiche, mentre la notizia è stata ripresa dai giornali di tutto il mondo, resta il giallo. Se le ul­teriori analisi confermeranno che non c’erano il 25 agosto, al momento dei prelievi dell’Arpac, sostanze in acqua capaci di provocare quanto denuncia­to dai battellieri, e se gli stessi hanno detto il vero, quando hanno accusato malori e hanno denunciato la presen­za di una schiuma biancastra, non si capisce bene cosa possa essere accadu­to. Tra le ipotesi, lo sversamento ille­gale della pompa di sentina di qual­che imbarcazione. Le sostanze inqui­nanti, in un ambiente semichiuso, po­trebbero avere provocato qualche pro­blema ai barcaioli, peraltro subito ri­mandati a casa dall’ospedale Capilupi. Sarebbero però state disperse dalle correnti prima che i tecnici dell’Arpac le rilevassero, solo un’ora più tardi. Chi ha buona memoria, intanto, ricor­da che già tra il 1999 e il 2000 l’acqua della Grotta Azzurra fu insozzata più volte dai liquami che fuoriuscirono da una falla nella condotta fognaria. Un disastro che andò avanti fino ad apri­le 2001, quando fu inaugurato il nuo­vo depuratore, nella baia di Occhioma­rino. È iniziato intanto il procedimen­to contro i due dipendenti di una ditta di espurgo accusati di aver riversato in mare, a un passo dalla Grotta Azzur­ra, 5 mila litri di liquami prelevati dai pozzi neri di ville e alberghi.

IL FATTO - Ancora una giornata nera per la Grotta azzurra di Capri. Nello specchio d'acqua, icona del golfo di Napoli, si affaccia ora l'ombra della camorra. Azzurra un tempo. La grotta prima ha rischiato di diventare marrone (con lo sversamento di liquami), poi verde (sono state scoperte coltivazioni di marijuana nei dintorni) e ieri bianca come la schiuma sospetta che è penetrata nell'antro causando svenimenti e malori ad alcuni barcaioli. Infine il rosso dello stop: la Capitaneria ha emesso il divieto di accesso e di transito nello specchio d'acqua..

GOVERNO PARTE CIVILE - Il governo si costituirà parte civile nel processo contro chi ha inquinato Capri: lo annuncia il ministro Prestigiacomo nella stessa intervista al quotidiano napoletano, nella quale mette anche in guardia contro una situazione, sull’isola, «favorevole per le infiltrazioni della criminalità».

L'INVASIONE DI SCHIUMA - L'anfratto marino, considerato uno dei più belli al mondo, dopo i liquami e le coltivazioni di marijuana, nella mattinata di ieri era stata invasa da una striscia di schiuma bianca e maleodorante che aveva reso l'atmosfera irrespirabile. Si è così deciso di interrompere le visite e chiudere l'ingresso. Nel pomeriggio breve riapertura, poi il successivo divieto della Capitaneria. Un barcaiolo, a causa delle esalazioni della sospetta schiuma bianca, è svenuto. Alcuni suoi colleghi, per precauzione, si sono sottoposti a visite mediche presso l'ospedale di Capri.

L'ASSESSORE: QUI SINDROME «TAFAZZI» - Per l’assessore all’Ambiente della Regione Campania, Walter Ganapini, la vicenda del presunto inquinamento alla Grotta Azzurra, preceduta dall’allarme inquinamento sul litorale flegreo nel mese di luglio, che ha avuto pesanti conseguenze sulla industria della balneazione, è «la sindrome Tafazzi» che affligge la Campania. «C’è un danno grave provocato non da quanto è accaduto alla Grotta Azzurra, che non è luogo di pericolo sanitario nè ambientale, ma dal danno all’economia e all’immagine della regione». «In ambiente marino - ha proseguito Ganapini - affinchè si formino schiume è necessaria la presenza di agenti tensioattivi o di composti molto particolare che non sono presenti tendenzialmente nello spurgo dei pozzetti, oppure occorrerebbe la presenza di materiale organico che fermentando possa formare gas, ma i primi risultati degli esami dell’Arpac sembrano escludere tutto questo.

AL LAVORO I BIOLOGI - Il fenomeno è ancora al vaglio dei biologi, dei tecnici dell’azienda sanitaria e di una squadra di tecnici del dipartimento provinciale di Napoli dell’Arpac. Insieme con i tecnici dell’Asl, anche i carabinieri e i marinai della Capitaneria di Porto che hanno avviato un’inchiesta. Nei giorni scorsi, liquami fognari erano stati riscontrati nell’area della Grotta azzurra mentre successivamente un noto ristoratore era stato sorpreso a pochi metri dalla riva mentre era impegnato a frantumare e gettare bottiglie di vetro in mare.

I DUBBI DI LEGAMBIENTE - L'associazione ambientalista solleva intanto dubbi sulla situazione della grotta naturale, simbolo del'isola di Capri. È Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania, a commentare con sorpresa l'ultima scoperta, la scia bianca comparsa tra le acque cristalline: «È solo una fatalità, frutto di un destino cinico e baro o la colpa di un mix di anarchia, degrado ed illegalità come dimostrano i recenti episodi quest'estate? In attesa dei risultati delle analisi, sembra che una vera e propria maledizione sia caduta sull'isola di Capri».

fonte: corriere.it

giovedì 27 agosto 2009

Alberi artificiali per salvare l'ambiente

Geo-ingegneria come soluzione indispensabile ai problemi del riscaldamento atmosferico: è quello che sostengono i ricercatori dell'Institution of Mechanical Engineers nel report Geo-Engineering, in cui si trova un'idea decisamente originale che potrebbe essere realizzata entro vent'anni.

ALBERI ANTI-CO2 – Si tratta di un folto esercito di 100 mila alberi artificiali che, grazie a un filtro, sarebbero in grado di trattenere le emissioni di anidride carbonica (responsabili come è noto del surriscaldamento del pianeta) con un'efficienza elevatissima. Come spiega Tim Fox, a capo del team di ricerca, gli alberi sarebbero già in fase avanzata di progettazione: sono grandi come container da trasporto, ciascuno potrebbe assorbire circa una tonnellata di CO2 quotidiana e, prodotti in serie, costerebbero circa 20 mila dollari l'uno.

OBIETTIVI PRINCIPALI – Gli alberi che catturano CO2 sono solo una parte delle iniziative presentate dagli scienziati dell'Institution of Mechanical Engineers. Le finalità perseguite per salvare la Terra dall'effetto serra sono infatti essenzialmente due: raffreddare il pianeta e ridurre le emissioni, e su questi fronti esistono anche altri progetti in fase di sviluppo. Uno prevede l'adozione di contenitori di alghe capaci di ridurre l'anidride carbonica durante la fotosintesi, un altro l'installazione di specchi sui tetti degli edifici in modo da respingere il calore..

fonte: corriere.it

Silvestrini (Kyoto Club): «L'Italia non andrà fino in fondo sul nucleare. Farà la fine del Ponte»

«Non credo proprio che l'Italia andrà fino in fondo sul nucleare, come del resto è già successo per il Ponte sullo Stretto». Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club, risponde così a greenreport alla luce delle nuove dichiarazioni del ministro Scajola e alle parole dell'Ad di Enel Fulvio Conti pubblicate dal Sole24Ore, che oggi dà ampio risalto alla notizia pubblicando anche un dossier sulla legge sviluppo del governo. Sfogliando il quotidiano di Confindustria il ritorno all'atomo del nostro Paese sembrerebbe certo, ma nella realtà non è - per fortuna dal nostro punto di vista - così scontato.

Silvestrini, visto che questo governo difficilmente cadrà prima della fine della legislatura e visto che il primo mattone di una nuova centrale nucleare lo vorrebbe porre prima che questa finisca, non c'è il rischio che trovati eventualmente gli investitori non si possa più fermare il treno neppure con un governo di un altro colore politiche, ammesso poi che questo sia contrario al nucleare?
«Io guardo a quello che è successo per il Ponte sullo Stretto, è l'esempio di un fallimento che credo accadrà anche per il nucleare. Certo si getteranno via un po' di soldi, ma il punto più delicato è proprio la difficoltà che incontreranno nel trovarli questi soldi per non parlare della localizzazioni delle centrali stesse»

Per la localizzazione delle centrali e dei siti di stoccaggio delle scorie il governo ha detto che fisserà solo i criteri (parole del sottosegretario Saglia), mentre sarà il mercato a trovare le aree destinate: può funzionare questo meccanismo e quali garanzie ha il cittadino?
«Il governo escluderà soltanto una serie di aree, dicono, e poi le aziende troveranno quelle giuste. Che cosa ne penso? Che è molto complicato questo passaggio malgrado tutti i paletti che sono stati imposti per limitare i poteri decisionali alle regioni e agli enti locali. Scanzano insegna che le imposizioni dall'alto, se poi c'è un rigetto dal basso, sono assai problematiche. Quindi andare ad identificare i siti sarà dura. Inoltre credo che ci siano già conflitti tra aziende che vogliono entrare nel nucleare come quelli già emersi tra Enel e A2A, ma anche sull'idea di sposare l'Epr francese con Scajola che però annuncia un prossimo accordo anche con gli Usa, insomma anche questa partita non credo che filerà tanto liscia.».

Scajola ha detto che ci sono molti enti locali già disposti ad ospitare impianti nucleari. Le risulta?
«Li voglio vedere anch'io...quand'anche un sindaco si fosse fatto avanti mi piacerebbe sarebbe che cosa ne pensano i suoi concittadini».

Quali sono allora le reali necessità del governo per il ritorno al nucleare?
«E' la combinazione di tre fattori. Investimenti colossali almeno potenziali, anche se poi questi soldi andrebbero in gran parte all'estero; messaggio ideologico come quello del Ponte, di un governo quindi che si rifà l'immagine con grandi opere pensando al futuro; grande mancanza di informazione per cui soprattutto quando l'anno scorso il petrolio ha raggiunto prezzi altissimi al barile è stata individuata nel nucleare la soluzione salvifica che risolve tutti problemi italiani, una soluzione tranquillizzante fatta da chi non sa cosa fare».

Lei sa qual è il costo reale della costruzione di un impianto?
«Non lo sa nessuno! I nuovi impianti Epr come quello di Olkiluoto in Finlandia hanno extracosti enormi e lo si potrà calcolare solo alla conclusione, tra tre anni, ricordo infatti che la centrale doveva essere inaugurata il mese scorso... In sostanza, comunque, i costi sono in ascesa e ben più alti dei 4 miliardi di euro paventati dal governo, realisticamente una centrale nucleare da 1600 mw dovrebbe costare circa sei miliardi, quasi quanto il poste sullo Stretto, valutato in 8»

Quanto saranno penalizzate le rinnovabili da questa corsa all'atomo?
«
Questo è il problema più serio. Da un lato se si vogliono realizzare queste potenze nucleari, anche se nel 2020-2030, c'è un conflitto con gli accordi europei che prevedono per l'energia elettrica una produzione per l'Italia pari al 28/30% e quindi con l'atomo sarebbero sottoutilizzare le centrali termoelettriche esistenti. Ma il punto è il dopo 2020 per le rinnovabili: raggiunto l'obiettivo europeo che per l'Italia è del 17%, tutto fa pensare che il boom vero sarà dopo il 2020 quando il fotovoltaico avrà un costo molto più basso e questo è incompatibile con la scelta di puntare sul nucleare. Altro elemento è che il cittadino non ci guadagnerà niente: le poche esperienze americane ci dicono che le aziende che investono nel nucleare prevedono incrementi in bolletta del 3-5%. Alla fine solo le grandi industrie energivore da 50miliardi di chilowattora in su avranno un vantaggio in Italia, mentre alcuno ne avranno la piccola azienda e il cittadino».

Infine nel decreto si velocizzano le autorizzazioni per i rigassificatori e per l'estrazione di idrocarburi, inoltre sono previsti incentivi alle aziende energivore per costruire nuove reti elettriche di interconnessione con l'estero. Nascerà inoltre la borsa del gas: che ne pensa?
«In tutto il mondo, basti vedere la Cina, si investe più sulle rinnovabili che sul nucleare e tutto il resto. Chi mette i soldi sull'atomo lo fa per ristrutturare l'esistente e anche chi lo fa per nuove centrali, destina più soldi per le rinnovabili. L'Italia non ha un piano energetico nazionale, Scajola annuncia che lo presenterà in autunno ma a me risulta che non è neppure in preparazione. Sul gas va ricordato che qualche giorno fa Fatih Birol, Direttore degli Studi Economici all'IEA, ha detto che sono troppi i gasdotti previsti con il rischio che molti di questi neppure funzionino visto che la domanda di energia in Ue è in calo».

Come valuta quindi questa strategia energetica del nostro Paese e cosa si può fare, nel caso, per opporsi?
«Si rischia di far perdere al paese delle grandi opportunità. Sul nucleare tantissimi annunci, ma poi anche negli Stati Uniti gli investitori, quando vedono i costi, si ritirano. L'Italia ha già perso il treno delle rinnovabili dopo il referendum sul nucleare e ora se non lo prende in questa fase storica di prossimo boom rischia di perderlo di nuovo proprio perché vuol tornare all'atomo. Ci ritroveremo ad aver investito risorse economiche e umane sul nella direzione sbagliata, anche perché le chiavi del know how del nucleare le hanno gli altri, quindi questa è decisamente una strategia perdente».

fonte: greenreport.it

La Cina continua la sua corsa verde

La Cina continua la sua corsa verso il low-carbon, nonostante la crisi. Anzi, il rallentamento dell’economia mondiale, che ha danneggiato l’export ha portato ad una crescita maggiore del mercato domestico, sostenuto dalle politiche del governo di Pechino. È quello che emerge da China’s Clean Revolution II (vedi allegato) il nuovo report di The Climate Group che va ad aggiornare il lavoro dell’anno scorso, "China’s Clean Revolution".

Veicoli elettrici, rinnovabili, efficienza energetica ed edilizia sostenibile: il dossier appena pubblicato dal think-tank britannico-internazionale legato a Tony Blair porta buone notizie dal gigante asiatico, il maggiore emettitore mondiale di gas serra. I soldi del pacchetto stimolo da 585 miliardi di dollari - molti dei quali destinati alla green economy - e le diverse misure di incentivazione - stanno dando i loro risultati.

La leadership mondiale nelle tecnologie verdi, come si vede dai dati presentati dal rapporto, in Cina sta raggiungendo in diversi campi. Nelle rinnovabili innanzitutto (vedi editoriale su Qualenergia.it "La Cina delle rinnovabili vola"): metà dei pannelli solari termici venduti nel mondo sono di produzione cinese (complice un enorme mercato interno: 65% delle installazioni mondiali), per il fotovoltaico invece il paese soddisfa il 30% della domanda mondiale (il 40% se si conta anche Taiwan). L’eolico poi continua la sua crescita che vede raddoppiare la potenza installata ogni anno. Un trend che secondo il report continuerà anche nel 2009, anno in cui un terzo della nuova capacità eolica installata nel mondo sarà in Cina.

Altro settore della green economy nel quale Pechino sta investendo molto, quello dei veicoli a basse emissioni (vedi articolo Qualenergia.it "Auto, la Cina le vuole più efficienti"). Il pacchetto stimolo ha stanziato 2,9 miliardi di dollari per la promozione dei veicoli elettrici nei prossimi 3 anni, con incentivi all’acquisto, fondi per la ricerca e commesse pubbliche. Solo quest’anno le città cinesi acquisteranno 13mila veicoli elettrici. L’obiettivo è di arrivare entro il 2011 a produrre in Cina mezzo milione di mezzi elettrici. Nel 2009 il mercato cinese dell’auto è diventato il più grande al mondo, superando gli Usa. Si stima che saranno 10 milioni le auto vendute entro fine anno. Per il 2030 la stima è che sulle strade cinesi ci saranno 287 milioni di automobili, il 30% del totale mondiale: chiara l’importanza di una motorizzazione a basso impatto ambientale.

Anche l’edilizia, attualmente intorpidita dalla crisi, in Cina ha potenzialità enormi per diventare un settore trainante della green economy. Le stime dicono che i 40 miliardi di metri cubi attuali edificati nel paese dovrebbero quasi raddoppiare arrivando a 70 nel 2020: un mercato potenziale di 220 miliardi dollari per l’edilizia verde se solo un edificio su due adottasse soluzioni low-carbon, di 439 se si applicassero norme più severe. Pechino pare intenzionato a seguire questa strada con standard di conservazione dell'energia dal 2010 per tutti i nuovi edifici di almeno il 50%, che diventa il 65% in alcune città.

Altri passi avanti il colosso asiatico, che conta ancora sul carbone per oltre l’80% della sua produzione elettrica, li sta facendo sull’efficienza energetica in generale. Nel piano di rilancio economico il governo cinese, ad esempio, ha previsto diverse misure per alcune industrie che dovrebbero portare ad un risparmio pari 240 milioni di tonnellate di carbone entro il 2010. Intanto l’etichetta energetica imposta agli elettrodomestici avrebbe fatto risparmiare 90 miliardi di kWh. Che la Cina punti decisamente a ridurre lo spreco d’energia d’altra parte è chiaro anche dall’unico obiettivo che si è data nella lotta all’effetto serra: quello contenuto nel piano 2005-2010 di ridurre del 20% la propria intensità energetica (il rapporto tra energia consumata e ricchezza prodotta).

Insomma, la Cina sta procedendo verso Copenhagen sul doppio binario che più volte abbiamo raccontato: da una parte rifiutare imposizioni internazionali sui gas serra e tenere al primo posto la crescita, dall’altra rendere più pulito il proprio sviluppo e approfittare il più possibile delle opportunità economiche della lotta al global warming. Vedremo che effetto avrà questa strategia sul negoziato internazionale di dicembre, quello che è quasi certo è che, comunque si concluda il vertice, lo slancio della corsa cinese ad un'economia verde non si arresterà.

fonte: qualenergia.it

DA SETTEMBRE ADDIO VECCHIE LAMPADINE

Dalla prossima settimana addio alle vecchie lampadine a incandescenza. Il primo settembre, infatti, comincera' il loro progressivo ritiro dagli scaffali di tutta Europa, come stabilito dalla Commissione Ue nel marzo scorso. Obiettivo: rimpiazzarle completamente entro il 2012 con quelle di ultima generazione a basso consumo. Si comincera' a mandare in soffitta le lampadine da 100 watts, quelle che comportano il maggior spreco di energia. E a regime - secondo i calcoli di Bruxelles - la totale sostituzione con le lampadine fluocompatte o alogene permettera' di risparmiare 80 Tkw, quantificabili in 11 miliardi di euro l'anno, prevenendo cosi' l'emissione di 32 milioni di tonnellate di CO2. Certo, le nuove lampadine sono piu' care, costando in media circa 5 euro: ma - sottolineano le stesse associazioni europee dei consumatori - consentono di risparmiare fino all'80% di energia elettrica in un mese e la loro durata e' decisamente piu' lunga rispetto alle lampadine tradizionali. Conti alla mano, utilizzando le nuove lampade a basso consumo una famiglia potra' spendere tra i 50 e i 160 euro in meno all'anno sulla bolletta della luce. Su scala europea si tratta di 5-10 miliardi di euro l'anno, creando cosi' spazi per nuovi investimenti nel settore energetico. I consumatori dovrebbero essere tranquilli anche per quel che riguarda gli eventuali rischi per la salute derivanti dall'esposizione alla luce delle nuove lampadine fluocompatte o alogene: Bruxelles ha infatti piu' volte fugato ogni dubbio di questo genere, certificando la loro totale sicurezza anche in base ai test compiuti dal Comitato scientifico della Commissione europea

fonte: ambiente.it

Draghi: «Possibile ripresa dal 2010»

Il peggio è passato e dal 2010 anche l' economia italiana potrebbe tornare a crescere. Ma uscire dalla crisi, per il nostro paese, sarà un'impresa difficile. E' questa, in sintesi, l'opinione di Draghi, espressa al meeting di Cl a Rimini, dove ha anche difeso il lavoro degli stranieri e criticato il ripristino delle gabbie salariali. «Secondo stime largamente condivise, nella media del 2009 la caduta del Pil rispetto all'anno precedente, risulterà in Italia intorno al 5 per cento; nel prossimo anno, il graduale recupero della domanda mondiale potrebbe consentire all'economia italiana di tornare a crescere sia pure di poco». Il Governatore della Banca d'Italia mostra così un cauto ottimismo rispetto all'uscita dalla crisi economica.

MOLTE IMPRESE RESTANO A RISCHIO - «Non poche imprese - ha però aggiunto Draghi - soprattutto quelle più esposte verso gli intermediari finanziari, che avevano avviato prima della crisi una promettente ristrutturazione, colte a metà del guado dal crollo della domanda, potrebbero veder frustrato il loro sforzo di adeguamento organizzativo, tecnologico, di mercato e rischiano la stessa sopravvivenza. Si aggraverebbe così la perdita di capacità, potenziale e attuale, del sistema. Un deterioramento prolungato del mercato del lavoro potrebbe compromettere la ripresa dei consumi e depauperare il capitale umano».

IL LAVORO DEGLI STRANIERI E' UNA RISORSA - Il Paese dispone di una «risorsa, potenzialmente di grande rilevanza per la nostra economia, la disponibilità di lavoro straniero». Lo ha detto - intervenendo al Meeting dell'Amicizia di Rimini - il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che però avverte: «potremo utilizzarla solo se saranno governati i gravi problemi che essa pone sotto il profilo della integrazione sociale e culturale». Con «4,3 milioni» di stranieri, stimando anche il numero di chi non è iscritto all'anagrafe e chi non ha permesso di soggiorno, per Draghi «i cittadini stranieri in Italia sono in media più giovani e meno istruiti degli italiani ma partecipano in misura maggiore al mercato del lavoro e svolgono mansioni spesso importanti per la società e l'economia italiane, anche se poco retribuite». E, dice Draghi, non rappresentano un pericolo per il lavoro degli italiani: «Non si rilevano conseguenze negative apprezzabili sulle prospettive occupazionali degli italiani, un risultato che emerge dalla grande maggioranza degli studi svolti nei paesi a elevata immigrazione».

NO ALLE GABBIE SALARIALI - Nessun ripristino delle gabbie salariali, ma «gradi più elevati di decentramento e di flessibilità nella contrattazione», quindi un maggior peso della contrattazione di secondo livello. E’ stata questa la strada indicata dal Governatore dal palco Rimini a proposito del divario salariale fra Nord e Sud. Draghi ha ricordato che, secondo le stime di Via Nazionale, «nel settore privato i livelli dei salari reali non sono molto discosti». «Comunque - ha sottolineato il Governatore - non si tratta di imporre vincoli aggiuntivi al processo di determinazione dei salari con il ripristino delle cosiddette gabbie salariali, ma al contrario di conseguire gradi più elevati di decentramento e di flessibilità nella contrattazione. Le parti sociali - aggiunge - si sono progressivamente orientate in questo senso, da ultimo con l’accordo recente che prevede un maggior peso della contrattazione di secondo livello».

ALZARE L'ETA' PENSIONABILI - Secondo Draghi è poi necessario innalzare l'età pensionabile per ridurre la spesa pubblica corrente. La ricostruzione della economia italiana non potrà avvenire «senza il mantenimento della stabilità finanziaria, senza l'equilibrio dei conti pubblici. È evidente che l'indispensabile riduzione del debito richiede da un lato un insieme di programmi strutturali di contenimento e riqualificazione della spesa corrente e dall'altro una riduzione dell'evasione fiscale. Non credo tuttavia - ha aggiunto Draghi - che senza un netto aumento dell'età media effettiva di pensionamento, pur con tutte le garanzie necessarie per i cosiddetti lavori usuranti, sia possibile nel medio periodo conseguire risultati sufficienti in termini di minor spesa corrente. In presenza di un forte incremento della speranza di vita, l'allungamento della vita lavorativa è importante per rendere compatibili l'esigenza di contenimento della spesa pubblica con quella di garantire un reddito adeguato durante la vecchiaia; può contribuire, se accompagnato da azioni che rendano più flessibili orari e salari dei lavoratori più anziani, ad aumentare il tasso di attività e a sostenere il tasso di crescita potenziale dell'economia. Può anche consentire di destinare maggiori risorse ad altri comparti della spesa sociale».

fonte: corriere.it

mercoledì 26 agosto 2009

La Cina sfolla 50.000 pastori tibetani per proteggere una riserva naturale e le sorgenti dei suoi fiumi

Negli ultimi 4 anni il governo cinese ha costretto 50.000 pastori, in gran parte tibetani, ad abbandonare la vita nomade per trasferirli in case stabili nell'altopiano del Tibet-Qinghai «nello sforzo del Paese per proteggere l'ambiente di una riserva naturale».

Alla fine del "Piano di spostamento", nel 2010, 55.700 pastori avranno abbandonato una regione in effetti molto delicata dal punto di vista ambientale e che ospita le preziose sorgenti dei tre grandi fiumi asiatici: Yangtsé, Fiume Giallo e Lancang, come i cinesi chiamano il Mekong. Ma il sospetto (e l'accusa) che circola tra i tibetani è quella che il governo di Pechino voglia tenere sotto controllo sia queste vitali risorse idriche che i nomadi e, nel contempo, dare un colpo mortale alla loro cultura autoctona ed alle loro tradizioni ancestrali

L'agenzia ufficiale cinese Xinhua spiega che invece lo spostamento dei pastori è dovuto solo «A causa del riscaldamento dl pianeta e delle attività umane che si sono moltiplicate nel corso degli ultimi tre decenni, l'ambiente ecologico si è deteriorato nella Riserva naturale delle sorgenti dei 3 grandi fiumi (Sanjiangyuan in cinese, ndr) nella provincia del Qinghai».

La Sanjiangyuan National Nature Reserve è la seconda riserva naturale più grande del mondo: 152.300 km2, cioè quanto Inghilterra e Galles messe insieme, più grande del Bangladesh e dell'Illinois. Prima dello spostamento dei pastori tibetani all'interno dei suoi confini vivevano 200.000 persone.

Secondo il governo di Pechino, lo spostamento dei pastori iniziato nel 2003 ha una sola giustificazione: la sicurezza ecologica dei tre corsi d'acqua. Nel 2005 il governo comunista ha investito nella riserva di Sanjiangyuan 7,5 miliardi yuan (110 milioni di dollari) in progetti ecologici e per lo sfollamento rapido dei pastori. E' chiaro che tanto amore per la natura, che colpisce persone che non hanno praticamente nessuna colpa del riscaldamento globale, è dovuto soprattutto a ragioni economiche drammaticamente attuali: l'acqua dei tre fiumi è vitale per le industrie cinesi e per dissetare la sua popolazione e, in tutto, 600 milioni di asiatici.

Comunque un fiero Li Xiaonan, direttore aggiunto dell'ufficio per la protezione ecologica e la costruzione dio Sanjiangyuan, ieri ha dato le cifre del progetto: «Un totale de 49.631 persone, cioè 10.579 famiglie, sono state sgombrate dalla riserva durante questi ultimi anni e milioni di yuan sono stati investiti. Delle infrastrutture pubbliche sono state costruite per 86 quartieri di abitazioni per gli sfollati. Per aiutare i pastori ad adattarsi alla loro nuova vita, il governo provinciale a fornito formazione professionale e stabilito in fondo che punta ad incoraggiarli a creare loro imprese. Le entrate annue pro-capite degli immigrati hanno raggiunto i 2.000 yuan nel 2008, cioè il doppio di prima dello spostamento. Abbiamo costruito delle nuove scuole ed ingrandito le vecchie per i m bambini dei pastori, riducendo le spese scolastiche dei collegiali e dei liceali».

Il governo e i giornali cinesi presentano una nuova vita idilliaca per i pastori tibetani trasformati in artigiani, piccoli imprenditori di "successo" e cittadini esemplari e fedeli al partito, ma la realtà è che 2.000 yuan all'anno sono una vera e propria miseria in una specie di villaggio-riserva, mentre 1.000 yuan erano l'integrazione di una pastorizia di sussistenza che manteneva intere famiglie.

fonte: greenreport.it

L’impianto più inquinante dell’Ue è la centrale polacca di Belchatow, e vuole espandersi col Ccs

L'enorme centrale elettrica a carbone di Belchatow (Nella foto), in Polonia, è l'impianto più inquinante dell'Unione europea: 31 milioni di tonnellate di CO2 emesse nel 2008, e, se vorrà rispettare i limiti dell'Ue entro il 2013 dovrà acquistare qualcosa come 20 milioni di tonnellate di quote di emissioni di CO2. Il problema è che i polacchi, non contenti, stanno avviando un nuovo blocco produttivo della centrale per 858 megawatt.

Il responsabile della centrale di Belchatow, Jacek Kaczorowski, non si scompone più di tanto e in una intervista alla Reuters ha detto che «Le nostre emissioni nei prossimi anni, nel periodo contabile 2008-2012, resteranno a livelli simili. Così, in breve, alla fine di tutto il periodo, ci vorranno circa 14 - 20 milioni di tonnellate di quote di emissioni di CO2».

Per rientrare nei limiti europei con l'ampliamento la centrale pensa di risolvere la cosa ricorrendo allo stoccaggio sotterraneo delle emissioni di CO2. Quindi la Polonia non intende rinunciare alle sue super-inquinanti centrali a carbone, ma chiede all'Unione europea di finanziare la ricerca e la tecnologia per la Carbon caputre storage (Ccs) per poter "imprigionare" un terzo dei gas serra prodotti dal nuovo blocco produttivo.

«Ma anche se non avremo i soldi dell'Unione europea, dovremo andare avanti con il progetto a causa della necessità di ridurre le emissioni - ammette Kaczorowski. Dobbiamo andare verso lo sviluppo delle tecnologie Ccs per rimanere competitivi».

La centrale è gestita dalla PGE Elektrownia Belchatow che recentemente ha firmato un protocollo d'intesa con la multinazionale francese Alstom per il Ccs a Belchatow.

Secondo la Alstom la prima fase prevista dall'accordo riguarderà la progettazione e la costruzione di un impianto pilota di cattura del carbonio presso l'unità-12 già esistente a Belchatow, che dovrebbe catturare circa 100 mila tonnellate all'anno di CO2 utilizzando la using Alstom's amines technology. L'impianto dovrebbe essere operativo entro la metà del 2011.

La seconda fase prevede di costruire un grande impianto Ccs per catturare la CO2 emessa dal nuovo impianto a lignite da 858 MW, costruito interamente dalla stessa Alstom e che dovrebbe essere in grado di funzionare entro il 2015. La riduzione delle emissioni così ottenuta dovrebbe arrivare ad oltre un milione di tonnellate all'anno.

La multinazionale francese spiega che «In collaborazione con The Dow Chemical Company, Alstom sta sviluppando una amine-based scrubbing technology per l'industria elettrica e per fonti industriali simili che producono gas esausti o con elevato contenuto di ossigeno. Questo processo offrirà una significativa riduzione della quantità di energia necessaria richiesta per la separazione e la cattura di CO2 rispetto all'utilizzo di standard amines».

Insomma, i polacchi hanno ottenuto per il loro mostro inquinante a carbone di sperimentare una tecnologia molto discussa come quella del Ccs per poter realizzare un altro gigantesco braccio della loro sporchissima produzione di energia, intanto la vecchia centrale se la caverà con costose quote e continuerà ad inquinare come prima e probabilmente più di prima.

fonte: greenreport.it

Approvato l'Arctic fishery management plan: stop (parziale) alla pesca in Artico

Dopo un lungo iter preliminare, il segretario al Commercio statunitense Gary Locke ha infine approvato (20 agosto) l'Artic fisheries management plan, che in sostanza proibisce ogni ulteriore espansione della pesca nelle acque artiche «finché i ricercatori avranno ottenuto informazioni sul pesce e sull'ambiente marino artico sufficienti a prevenire gli impatti avversi della pesca commerciale sull'ecosistema», come recita il comunicato della Noaa a riguardo.

Secondo Locke, «nel momento in cui la banchisa si riduce a causa del cambiamento climatico, aumentano gli interessi della pesca commerciale nelle acque artiche» e occorre quindi attuare un «piano per la pesca sostenibile che non danneggi la salute complessiva di questo fragile ecosistema».

Ed è un sacrosanto principio di precauzione a guidare la mano dell'amministrazione, principio che accompagna misure che sono da considerarsi necessarie, ma che sicuramente riceveranno critiche e ostruzionismi non di poco conto da parte di quei gruppi di potere economico e politico che già si fregavano le mani davanti alle prospettive offerte dai ghiacci in ritirata per la pesca nei mari artici. Sostiene infatti il segretario Locke che «questo piano attua un approccio precauzionale ad ogni sviluppo della pesca commerciale in un'area dove essa non è mai stata praticata in passato» a causa della copertura che la banchisa effettuava sul pelo dell'acqua.

Il provvedimento, che dovrà essere emendato e poi pubblicato sul Registro federale prima di entrare in vigore, ha l'obiettivo di «governare ogni futura attività di pesca commerciale, sia per quanto riguarda il pesce sia per gli invertebrati marini, nelle acque federali». Esso «non riguarda la pesca al salmone, ai pesci del gruppo dei cosiddetti "Whitefish" (comprendente il merluzzo) e agli invertebrati nelle acque dell'Alaska vicino alle coste artiche» e inoltre «non influisce sulla pesca di sussistenza e sulla caccia nell'Artico». Sono inoltre esclusi dalla regolamentazione il salmone del Pacifico e l'ippoglosso del Pacifico, la cui pesca commerciale è gestita da autorità dedicate.

Il Piano è stato messo in atto dopo che, fin dal 2006, il Consiglio per la gestione della pesca nel nord Pacifico (North Pacific fishery management council) ha attivato un percorso consultivo su vasta scala per interpellare le comunità del nord dell'Alaska e altri portatori di interesse sul modo migliore in cui attuare un piano per la pesca sostenibile nell'Artico. Ed è proprio su indicazione del Consiglio che il dipartimento del Commercio ha messo in atto l'iniziativa.

In futuro, nel momento in cui la fase di studio avrà termine e saranno probabilmente approvate restrizioni più leggere (la Noaa cita, tra le specie che «verosimilmente saranno tra gli obiettivi iniziali per la pesca», il merluzzo artico, il merluzzo zafferano e il granchio regina), il Consiglio agirà d'intento con la Noaa per «stabilire procedure predefinite prima di autorizzare la pesca», e avrà cura di «monitorare e aggiornare il piano periodicamente: questi aggiustamenti potranno includere i livelli annuali di cattura totale consentiti» e altre attività restrittive, da attuarsi anche a stagione in corso se si renderà necessario.

Il Piano prevede anche che, nel momento in cui «ogni nuova attività di pesca sarà approvata in futuro, ai pescatori sarà richiesto di mantenere registri che aiutino a determinare le catture, la produzione, i costi di produzione, i prezzi di vendita, e altre informazioni necessarie per la conservazione e la gestione». Ai pescatori inoltre «potrà essere richiesto di prendere a bordo osservatori certificati in modo da verificare la quantità e la composizione del pescato, tracciare gli scarti gettati a mare, e raccogliere informazioni biologiche sulle risorse marine».

Siamo quindi di fronte ad un nuovo step del percorso di evoluzione che, non solo grazie alla nuova amministrazione Obama ma anche a causa del forte incremento del patrimonio di conoscenza scientifica che negli ultimi anni ha avuto luogo soprattutto riguardo alla delicatezza dell'ecosistema artico, la politica statunitense (e quindi quella globale) sta compiendo in direzione della gestione dell'enorme capitale naturale rappresentato dalle acque solo ora liberatesi dai ghiacci: la mossa di Locke, inoltre, è attuabile con una certa agilità dal punto di vista politico, poiché va a regolamentare attività prevalentemente future e non influisce, se non marginalmente, su quelle già in atto. Anzi, grazie al Piano appena approvato, sia le comunità del distretto del "North Slope" dell'Alaska, sia i pescatori stessi, sono e saranno coinvolti attivamente in un percorso che salvaguardi sia l'ecosistema artico sia le (future) possibilità di usufruire delle sue ricchezze con modalità e intensità sostenibili.

fonte: greenreport.it

Il Dipartimento per l'energia (DOE) degli Stati Uniti, diretto da Steven Chu, premio Nobel per la fisica, ha deciso di mobilitare anche la comunità scientifica per soddisfare la richiesta politica del presidente Obama: cambiare il paradigma energetico del paese (e, probabilmente, del mondo intero). Tra le iniziative assunte da Chu, che è per l'appunto un grande esperto di questioni energetiche, c'è la creazione di un'Agenzia - la Advanced research projects agency-energy (ARPA-E) - che ha a disposizione 400 milioni di dollari per finanziare, appunto, nuove idee di ricerca da realizzare al più presto possibile.

Il prima parte dell'iniziativa è stata già avviata. L'APRE-E ha bandito una "call" (la richiesta di presentare progetti) per 150 milioni di dollari. L'intenzione è di finanziare circa 70 progetti di ricerca (con una media di 2,5 milioni di dollari a progetto). I risultati di questa "call" sono significativi per almeno tre ragioni.

La prima è che hanno risposto in moltissimi: sono state presentate, infatti, 3.500 domande. Significa che la comunità scientifica americana ha voglia di cimentarsi sul tema. Ma quale comunità scientifica: beh, a sorpresa ma non troppo, la domande sono state presentate da ricercatori che solo per il 13% lavorano nell'industria.

L'87% delle domande sono state proposte da ricercatori pubblici: il 47% da ricercatori che lavorano nelle università, il 21% da ricercatori che lavorano nel laboratori nazionali, il 19% da ricercatori che lavorano per una qualche agenzia di governo.

La seconda ragione che rende significativi i risultati è che al DOE non si aspettavano tanto entusiasmo. Insomma, sono risultati impreparati a gestire la fase di valutazione per un numero così grande di domande. Per questo hanno chiesto un surplus di tempo per rispondere. Tuttavia Chu assicura che il lavoro di valutazione sarà serio e rigoroso e che i 70 premiati saranno scelti sulla base del merito. C'è da crederci: non solo perché la persona è degna di fede, ma perché negli Usa c'è una grande tradizione nella valutazione della ricerca, ex-post (i risultati della ricerca) ma anche ex-ante (la fondatezza dei progetti).

La terza ragione, infine, è nella tipologia dei progetti. Ciascuno poteva scegliere il settore che più gli aggrada, quello per cui vede migliori prospettive, quello per cui vanta le migliori competenze. Ebbene, il 18% delle domande ha riguardato lo sviluppo di nuove idee sull'energia solare; il 15% sui biocarburanti; il 14% sull'efficienza energetica; l'11% sui trasporti.

È in questi settori, evidentemente, che la comunità scientifica americana "crede" di più. Solo il 2% ha presentato progetti di ricerca nel campo del nucleare. Evidentemente gli scienziati americani credono che questo settore possa dare contributi minori al cambiamento del paradigma energetico. Minori persino del miglioramento nell'uso del carbone, che ha avuto il 5% delle preferenze.

fonte: qualenergia.it

La via energetica alla russa dell’Italia passa per la Libia di Gheddafi

Rispondendo ad una domanda del quotidiano on line ilsussidiario.net sui possibili ostacoli che potrebbe trovare il nucleare in Italia, il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola dice senza esitazioni: «Non prevedo ostacoli particolari. Il percorso di rientro nel nucleare è razionale, sicuro e trasparente. E i cittadini l'hanno capito. La Legge Sviluppo ha fissato le norme generali. Adesso dobbiamo costituire l'Agenzia di Sicurezza nucleare, che stabilirà le tecnologie ammissibili e darà le autorizzazioni alle centrali, e dobbiamo fissare le caratteristiche che dovranno avere i territori che potranno ospitare le nuove centrali. A quel punto le imprese energetiche potranno chiedere le autorizzazioni. Il processo autorizzativo coinvolgerà gli enti territoriali e le popolazioni saranno pienamente informate di tutti i passaggi. Segnalo che già alcune Regioni e parecchi Comuni si sono dichiarati disponibili ad ospitare centrali nucleari. Nel frattempo abbiamo siglato un accordo di collaborazione tecnologica con la Francia e ne firmeremo presto uno con gli Stati Uniti».

Insomma, protocolli d'intesa a tutto campo, sull'esempio putiniano che Scajola e Berlusconi stanno estendendo a tutti i settori dell'energia, compreso gas, petrolio e carbone. Il modello russo è un po' obbligato e diventa quasi cinese quando il nostro governo ha a che fare con regimi dittatoriali come quello della Libia, che accolgono come un eroe un uomo condannato per aver fatto un attentato aereo che ha distrutto centinaia di vite. Per cose simili si sono scatenate guerre e rappresaglie che durano ancora. Ma la politica (e soprattutto l'economia affamata di energia) dimenticano presto.

Lo sa bene Gheddafi che, da reprobo inguardabile, è diventato amico fidato dell'Occidente. Lo sa così bene che non rinuncia a ricordare sfottente e irridente ai suoi nuovi amici che tutte queste concessioni, dal rilascio del terrorista di Lokerbie ai risarcimenti per i crimini di guerra italiani, sono il risultato degli affari con la dittatura libica, perché sa bene che quel che da noi vengono presentate come necessari accordi per non restare fuori dal mercato energetico, nella Grande Jamāhīriyya Araba di Libia Popolare e Socialista sono viste come un omaggio dell'Occidente all'eterno dittatore, come il riconoscimento della legittimità e dell'affidabilità di un regime che non si è fatto mancare nulla: dalla repressione dei dissidenti, all'assassinio degli oppositori fuggiti all'estero, dalle guerre e invasioni di altri Stati al finanziamento di movimenti guerriglieri e terroristici, fino alla repressione ed alla riduzione in schiavitù dei migranti e dei profughi politici, per proprio conto o per conto di dittature amiche o di democrazie impaurite come la nostra.

Gheddafi sa bene che le Frecce Tricolori italiane che solcheranno il cielo di Tripoli il 30 agosto per festeggiare il quarantesimo anniversario della rivoluzione (o meglio del colpo di Stato militare) del Colonnello Gheddafi, che pose fine al regno di Idris e scacciò i lavoratori italiani, saranno letti dai suoi sudditi come l'ultimo regalo, l'ultima concessione, l'ultima resa dell'Italia ad un regime inguardabile con il quale facciamo da sempre affari economici e sportivi e che ci ricatta con i migranti, in uno strano connubio con la Lega Nord che si affida agli arabi per fermare l'invasione dal mare dei "musi neri".

Le scie tricolori non saranno più un ricordo del colonialismo, ma l'ennesimo omaggio degli ex padroni sconfitti, cementeranno quel feeling con Gheddafi di cui si vanta Berlusconi e che Scajola assiste amorevolmente e che in realtà è un imbarazzante matrimonio di Stato con l'ancor più imbarazzante famiglia del dittatore libico. Una relation dangereuse alla quale nessun governo, di centro-destra o centro-sinistra, ha saputo e voluto sottrarsi ma che Berlusconi e Scajola cercano di presentare come una relazione di amore ed amicizia ancora più imbarazzante perché tutti sanno che è di necessità e ricatto e che, con la "pesante" politica nuclearista, petrolifera e carbonifera sempre più evidente, rischia di trasformarsi in un matrimonio di interesse con un padrone bizzoso e imprevedibile, che sta approfittando del suo nuovo ruolo per accaparrarsi pezzi di economia italiana ed europea.

Ma si sa, gli arabi e gli islamici che danno fastidio sono quelli che per eliminazione arrivano con i barconi scassati a Lampedusa, non certo quelli che sbarcano da jet privati o panfili da sogno per comprarsi a suon di petrodollari pezzi di Borsa, aziende e squadre di calcio.

Quest'altra invasione non disturba, non puzza, non ha la pelle arsa da migliaia di chilometri di deserto e di salsedine, è quella della classe dirigente autoritaria che campa e prospera sulla miseria di quelli che ci tiene lontani.

fonte: greenreport.it

Il petrolio, chi lo produce chi lo consuma

Il recente BP Statistical Review of World Energy 2009, report di statistiche energetiche tra i più rilevanti al mondo, ha calcolato riguardo ai dati sul petrolio che nel 2008 a livello globale sono stati prodotti 81,8 milioni di barili al giorno, e che in un anno sono stati estratti 3.928 milioni di tonnellate di oro nero. La crescita nel 2008 si è attestata in 380mila barili/giorno (+0,4%).

Un terzo dell'intera produzione mondiale è in Medio Oriente, da dove sono usciti 26,2 milioni di barili al giorno e 1.257 milioni di tonnellate di greggio nell'intero 2008.
Seconda al Medio Oriente, l'America nel suo complesso. Stando ai dati del report della British Petroleum, Nord e Sud America insieme, infatti, nel 2008 hanno prodotto 954,8 milioni di tonnellate di greggio (619,2 dal nord, 335,6 dal centro-sud del continente), 19,8 milioni di barili al giorno (rispettivamente 13,1 e 6,7 milioni).
Al terzo posto l'area euro-asiatica, comprendente Danimarca, Norvegia, Gran Bretagna, Italia, Russia e repubbliche ex-sovietiche: da qui sono usciti 17,5 milioni di barili ogni 24 ore, e, complessivamente, 851 milioni di tonnellate di petrolio nell'intero 2008.

A livello mondiale, però, quasi la metà della produzione - 1.758 milioni di tonnellate all'anno - viene dai paesi Opec (Algeria, Angola, Ecuador, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Venezuela).
Nella classifica per Paesi, il maggior produttore è l’Arabia Saudita (10,8 milioni di barili al giorno e 515 milioni di tonnellate annue), la Russia (9,8 milioni di barili e 488,5 milioni di tonnellate annue) e Stati Uniti (6,7 milioni di barili al giorno e 305 milioni di tonnellate all'anno).

Vediamo, secondo le stime del 'BP Statistical Review of World Energy 2009', ecco la lista dei 10 maggiori produttori di petrolio per barili giornalieri:
1) Arabia Saudita (10,8 milioni)
2) Russia (9,8 milioni)
3) Stati Uniti (6,7 milioni)
4) Iran (4,3 milioni)
5) Cina (3,8 milioni)
6) Canada (3,2 milioni)
7) Messico (3,1 milioni)
8) Emirati Arabi Uniti (2,9 milioni)
9) Kuwait (2,7 milioni)
10) Venezuela (2,5 milioni)

I tre paesi africani dell'Opec si attestano tutti sotto la produzione giornaliera di 2 milioni di barili: l'Algeria ne produce 1,9 milioni, l'Angola e la Libia 1,8. Unico Paese africano sopra i due milioni di fusti di greggio al giorno la Nigeria, che con 2,1 milioni risulta primo produttore del continente.

Questa, invece, la 'top ten' per produzione annua in milioni di tonnellate sempre secondo il rapporto 'BP Statistical Review of World Energy 2009':
1) Arabia Saudita (515,3)
2) Russia (488,5)
3) Stati Uniti (305,1)
4) Iran (209,8)
5) Cina (189,7)
6) Messico (157,4)
7) Canada (156,7)
8) Emirati Arabi Uniti (139,5)
9) Kuwait (137,3)
10) Venezuela (131,6)

I tre paesi africani dell'Opec, all'anno, producono tutti meno di 100 milioni di tonnellata di greggio: l'Angola ne produce 92,2 milioni, la Libia 86,2 milioni e l'Algeria 85,6. Unico Paese africano sopra la “quota 100” anche in questo caso è la Nigeria, che con 105,3 milioni di tonnellate annue risulta primo produttore del continente.

CONSUMI MONDIALI DI PETROLIO

Nel 2008 il consumo di petrolio è diminuito di 420mila barili/giorno, il maggior calo dal 1982. Il calo nei paesi Ocse è stato di 1,5 milioni di b/g. Otto paesi al mondo, da soli, consumano la metà del petrolio prodotto ogni anno, e quindi, anche su base giornaliera. Il “BP Statistical Review of World Energy 2009” spiega che nel 2008 la domanda e l'offerta del greggio si sono incontrate (3.928 i milioni di tonnellate prodotti e 3.927 quelli consumati), ma il 50% dei barili immessi sul mercato sono andati a sostenere le economie di Stati Uniti, Cina, Giappone, India, Russia, Germania, Brasile e Arabia Saudita, gli otto 'divoratori' di petrolio e i primi otto nella 'top ten' dei maggiori consumatori mondiali.

Complice la crescita a ritmi elevatissimi delle economie emergenti di Cina, India e Brasile, e la recessione invece che colpisce le principali economie mondiali, frenano richieste e consumi in metà dei Paesi del G8 e quindi - contrariamente a quanto sarebbe stato lecito pensare - gli otto paesi più industrializzati del mondo non sono i primi otto ad andare sul mercato del greggio.
Il rapporto di British Petroleum conferma il divario tra nord e sud del mondo: l'Africa consuma all'anno un settimo di quanto serve alla sola Europa per il soddisfacimento della domanda di energia (135,2 milioni di tonnellate di petrolio l'anno contro i 955,6 milioni dell'Europa).

Da notare, poi, il deficit di Stati Uniti e Cina: nonostante entrambi i Paesi siano tra i primi dieci produttori mondiali, tutti e due gli stati consumano più di quello che producono (rispettivamente 884,5 milioni di tonnellate consumate contro le 305,1 prodotte e 375,3 milioni di tonnellate contro le 189,7 di propria fattura).

Ecco, secondo le stime del “BP Statistical Review of World Energy 2009”, la lista dei 10 principali consumatori di petrolio per milioni di tonnellate annue:
1) Stati Uniti (884,5)
2) Cina (375,7)
3) Giappone (221,8)
4) India (135,0)
5) Russia (130,4)
6) Germania (118,3)
7) Brasile (105,3)
8) Arabia Saudita (104,2)
9) Corea del sud (103,3)
10) Canada (102,2)

L’Italia, 14esimo al mondo per domanda di petrolio, nel 2008 ha consumato 80,9 milioni di tonnellate di greggio, il 3,9% in meno rispetto al 2007. Negli ultimi dieci anni la domanda è diminuita in modo graduale, ma sistematico. Nel 1998 l'Italia consumava 94,7 milioni di tonnellate di petrolio e da allora i consumi sono sempre calati.

Questa, invece, la 'top ten' per consumo di petrolio giornaliero per numero di barili, sempre secondo il rapporto 'BP Statistical Review of World Energy 2009':
1) Stati Uniti (19,4 milioni)
2) Cina (7,9 milioni)
3) Giappone (4,8 milioni)
4) India (2,8 milioni)
5) Russia (2,7 milioni)
6) Germania (2,5 milioni)
7) Brasile (2,4 milioni)
8) Canada (2,3 milioni)
9) Corea del sud (2,29 milioni)
10) Arabia Saudita (2,22 milioni)

Il nostro Paese è 15esimo al mondo per consumo giornaliero di petrolio: nel 2008 ne abbiamo bruciati 1,7 milioni di barili al giorno, il 3,9% in meno rispetto al 2007. Negli ultimi dieci anni la domanda è diminuita in modo graduale ma sistematico. Nel 1998 l'Italia consumava ogni 24 ore 1,9 milioni i barili di greggio, e da allora i consumi sono sempre calati.

fonte: qualenergia.it

UN MASTER SULLA SICUREZZA SUL LAVORO

Non bastano i controlli per rendere un cantiere sicuro, ma serve una cultura condivisa da far crescere fuori e dentro il cantiere. È su questo che vogliono lavorare gli esperti del Centro di ricerca interdisciplinare di Scienze umane, della salute e malattia dell?Università degli studi di Bergamo con la costituzione del master di primo livello per "Esperti in processi di formazione e di sviluppo della sicurezza", il primo di questo genere in Lombardia. L'iniziativa è patrocinata dall?Asl di Bergamo e dall?Inail, che hanno messo a disposizione delle borse di studio, e dall?Aifos, Associazione italiana formatori sicurezza, dai sindacati Uil, Cisl e Cigl. Un master nato sulla scorta dei risultati di una ricerca qualitativa commissionata dal Servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (Psal) dell?Asl di Bergamo all?Università e che ha visto la partecipazione attiva anche del Comitato Paritetico Territoriali e Artigiani e dell?Inail. Trentacinque i posti disponibili aperti anche ai giovani con competenze universitarie in campo educativo. Per maggiori informazioni e l?iscrizione è possibile consultare il sito Internet dell?Università di Bergamo, nella sezione master e corsi di perfezionamento (www.unibg.it).

fonte: ambiente.it

GreenOil: in Italia si sperimenta la bio-raffineria

A settembre con un gruppo di tecnici altamente specializzati e di ricercatori delle Università di Padova (Ingegneria chimica), Ca’ Foscari (Scienze Ambientali) e Udine (Scienze Agrarie), inizieranno i lavori per la realizzazione di “Green Oil”, il primo impianto pilota di bio-raffineria in Italia.
GreenOil sorgerà nel Vega Parco Scientifico Tecnologico di Venezia, dove è iniziato il processo di riconversione di una delle zone industriali più grandi d’Europa. Si compirà così la sperimentazione di un passaggio epocale dall’era dalla petrolchimica a quella dell’agrochimica. Lo staff tecnico-scientifico è già operativo, ma GreenOil prevede già di ampliare nei prossimi due anni di progetto.
L’impianto sarà in funzione a gennaio 2010, nella sua fase a livello preindustriale, alimentata da biocombustibili o prodotti, finora realizzati solo chimicamente, da biomasse vegetali non più utilizzabili dall’industria agroalimentare e da altre produzioni biotecnologiche.
In pratica si tratterà di scarti delle lavorazioni agricole, come vinacce e sansa di olio d’oliva, di residui lattiero-caseari fino alle alghe della laguna con cui si potranno ottenere materie prime e seconde.
Dalle biomasse verranno ricavati grassi vegetali da usare come biocombustibili in motori a ciclo diesel e, opportunamente adattati, in turbine. Altri derivati saranno additivi biologici: conservanti e antiossidanti per l’industria alimentare, farmaceutica o cosmetica. Inoltre si estrarranno lipidi da matrici oleose (sansa di oli) senza l’obbligo di dover ricorrere a solventi chimici.

fonte: rinnovabili.it

Jatropha, il biocarburante del futuro

Alcune problematiche connesse ai biocarburanti tradizionali, quali la competizione tra fini alternativi di una risorsa scarsa quali sono i terreni arabili (cosiddetta competition for land) ed il conseguente aumento nei prezzi delle derrate alimentari, hanno fatto spostare l’attenzione degli addetti ai lavori verso specifiche tipologie di biocarburanti capaci di superare tali criticità.

In tale prospettiva, un’opzione particolarmente promettente pare rappresentata dal biodiesel ottenibile dalla Jatropha. Originaria dell’America Centrale ma comune oggi pure in Africa ed India, la Jatropha è una pianta selvatica capace di crescere anche in zone semi-aride, ove altre colture tradizionali perirebbero. Sebbene infatti il suo habitat ideale sia rappresentato da zone caratterizzate da temperature costanti tra i 20 ed i 30 gradi, la Jatropha dimostra grandissima adattabilità ad ambienti ostili, il che la rende particolarmente adatta ad essere coltivata in zone semi-desertiche dell’America Centrale, dell’Africa e dell’India.

I suoi rendimenti in termini di olio grezzo variano significativamente da caso a caso, e data la natura ancora selvatica della pianta non sono state apportate ad oggi quelle migliorie che permetterebbero di incrementarne notevolmente la produttività. Le rese sembrano comunque essere molto promettenti, soprattutto se paragonate a quelle di altri feedstock da biodiesel. La seguente figura illustra infatti come solo l’olio di palma sia preferibile sotto questo punto di vista, mentre altri feedstock tradizionali quali la colza, il girasole e la soia mostrino risultati decisamente più scarsi (dati WorldWatch Institute 2006, Biofuel for Trasportation).Rese della Jatropha

Inoltre, la Jartopha non è edibile vista la sua tossicità, e non viene attaccata dagli animali in cerca di cibo. Se questo può apparire come un vantaggio di modesta entità nel contesto Europeo, la situazione cambia radicalmente in Africa o in India, ove gli animali rappresentano una minaccia costante e rilevante per numerose piante. Inoltre, la Jatropha aiuta a prevenire la desertificazione, e questo spiega come molti esperti considerino questa pianta come una soluzione efficace per specifici contesti geografici, anche per il grande potenziale che essa offre dal punto di vista delle opportunità di lavoro per le comunità rurali autoctone.

Bisogna comunque sottolineare come vi sia stata anche molta disinformazione sulla Jartopha, facendo sorgere aspettative forse esagerate visti i punti interrogativi che comunque ancora persistono:

  • le piantagioni di Jatropha esistenti sono per lo più progetti pilota finanziati dai Governi nazionali
  • le tecniche di coltivazione e raccolta sono ancora labour-intensive
  • molte informazioni inerenti la Jatropha sono inesatte e sovrastimano pesantemente l’effettiva diffusione odierna della medesima

Sebbene il continente africano sia un’area dal grandissimo potenziale per la coltivazione futura di Jatropha, ad oggi è in India che si sono raggiunti i risultati più lusinghieri. Un progetto dimostrativo su 400,000 ettari è stato avviato, e si prevede che l’area dedicata verrà gradualmente incrementata grazie ad una partnership tra Governo ed attori privati.

Per quanto concerne l’Europa, invece, il clima appare essere troppo rigido per la pianta persino nelle regioni mediterranee. Vi sono in verità alcune piantagioni sperimentali in Grecia, Spagna ed Italia, ma i primi risultati paiono poco incoraggianti, probabilmente in virtù degli inverni eccessivamente rigidi.

L’Unione Europea sta comunque puntando con decisione sulla Jatropha, sebbene in maniera indiretta, tramite investimenti in Paesi tropicali e subtropicali al fine di raggiungere sinergicamente risultati di diversa natura quali:

  • la creazione di posti di lavoro in aree svantaggiate del Nordafrica
  • il conseguente contributo ad un controllo migliore dei flussi migratori
  • l’ingresso in un settore promettente come quello dei biocarburanti avanzati

Per quanto concerne gli investimenti privati, sicuramente la società inglese D1Oils è all’avanguardia con investimenti in piantagioni di Jatropha pari a 200,000 ettari dislocati in diversi Paesi, dalle Filippine al Ghana:

Ma anche l’Italia si sta muovendo in questo senso; Agroils, ad esempio, è attiva nel settore con importanti attività di ricerca sulla meccanizzazione del processo produttivo e sui miglioramenti genetici della pianta medesima, che potrebbero risultare in rese maggiori (progetti aperti in diversi Paesi quali Brasile, Camerun e Tunisia).

In conclusione, pare quindi che la Jatropha possa effettivamente fornire un contributo rilevante alla causa dei biocarburanti, una volta superate alcune difficoltà iniziali dovute alla fase sperimentale che tuttora caratterizza l’industria. Ad avvantaggiarsene potrebbero essere in primis le Nazioni delle aree di coltivazione, spesso situate in zone depresse quali l’Africa o l’America centrale, ma anche i Paesi Europei tramite partnerships strategiche e progetti di investimento in Paesi Terzi.

fonte: rinnovabili.it

Oceani mai così caldi negli ultimi 120 anni

ANCHE gli oceani hanno caldo. A luglio la temperatura alla superficie ha battuto il record da quando nel 1890 sono iniziate le misurazioni sistematiche. La statistica arriva dal National Climatic Data Center statunitense, secondo cui anche agosto sarebbe pronto a piazzarsi in testa alla classifica dei mesi con le acque salate più calde.

La media di tutti gli oceani, nel mese passato, ha fatto toccare al termometro i 17 gradi. Il precedente record risaliva al luglio del 1998 (16,8 gradi). E sono circa 10 anni che si viaggia costantemente al ritmo di mezzo grado oltre il valore medio del secolo scorso (16,4 gradi). Il G8 dell'Aquila fissò in due gradi la soglia di riscaldamento oltre la quale le conseguenze per l'ambiente diventerebbero catastrofiche. Ma si riferiva alle temperature globali dell'atmosfera. Rispetto all'aria, i mari rappresentano una riserva di energia termica molto più duratura e difficile da smaltire.
"Un caldo simile negli oceani non si disperderà da un anno all'altro" conferma a margine della pubblicazione dei dati Andrew Weaver dell'università di Victoria nella British Columbia. Per riscaldare l'acqua, rispetto alla terra, occorre infatti il quintuplo dell'energia. "E l'aumento della temperatura in mare influenza anche la terra. Siamo di fronte a un'altra importante conferma del cambiamento in atto". Nel Pacifico intanto sta per ripartire una nuova stagione di El Nino, la corrente oceanica calda che ogni 3-7 anni si riaffaccia ad aggravare una situazione già compromessa.

Il caldo di questi giorni sulla terraferma è l'altra faccia del caldo dei mari. E in effetti il National Climatic Data Center, sempre a luglio, ha misurato una temperatura media sui continenti di 14,81 gradi, ancora una volta più alta di mezzo grado rispetto alla norma del secolo scorso. Si tratta del nono valore di sempre. E andando a confrontare le varie tabelle, si scopre anche che l'ultimo dato che non oltrepassa la linea media del '900 (combinando il caldo a terra e nei mari) risale al 1976. Da allora tutti gli indicatori di temperatura marciano regolarmente in salita.

Tra le zone più calde del pianeta, secondo i dati statunitensi, a luglio figuravano l'Europa, il Nord Africa e la costa occidentale del Nord America. "In queste aree - si legge nel rapporto del National Climatic Data Center - la media del secolo scorso è stata superata di 2-4 gradi". Nel Mediterraneo l'anomalia della temperatura è di 1,7 gradi. E scricchiola anche il ghiaccio del Polo Nord: "L'estensione del pack artico dal 1979 a oggi si è ridotta del 6,1 per cento per ogni decade". Il mare attorno all'Artico a luglio 2009 ha vissuto uno dei riscaldamenti più incisivi: 5,6 gradi in più rispetto alla media del XX secolo.

Se la banchisa bianca vive tempi difficili, ai tropici i coralli rischiano di perdere il loro rosso. Il riscaldamento e l'aumento di acidità nei mari sono infatti all'origine del colore pallido e slavato delle barriere, che normalmente si presenta alla fine dell'estate e invece è già osservabile in alcune zone dell'America Centrale. Uno studio della Nasa del 2006 dimostrò anche che più gli oceani si riscaldano, più diminuisce la presenza di fitoplancton. Questi minuscoli organismi viventi non solo danno da mangiare ai pesci e al resto della catena alimentare, ma con la fotosintesi clorofilliana assorbono anidride carbonica dall'atmosfera. In anni normali, il loro contributo alla "ripulitura" dell'aria inquinata è addirittura equivalente a quello delle foreste sulla terraferma.

fonte: repubblica.it
Google

Passatempo Preistorico

Moonstone Madness

Pronti a partire, pronti per distruggere tutto? Bene, allora fate un salto indietro nell'era preistorica e immergetevi in questa nuova avventura dal gusto tribale. A bordo del vostro cinghiale dovrete raccogliere le gemme preziose necessarie per passare alle missioni successive, saltando gli ostacoli se non volete perdere il vostro bottino e distruggendo i totem a testate per conquistare altre gemme utili. Inoltre, una magica piuma vi catapulterà verso il cielo dove punti e gemme preziose sono presenti in gran quantità, per cui approfittatene! cercate di completare la missione entro il tempo limite, utilizzando le FRECCE direzionali per muovervi, abbassarvi e saltare, e la SPACEBAR per prendere a testate i totem.

Change.org|Start Petition

Blog Action Day 2009

24 October 2009 INTERNATIONAL DAY OF CLIMATE ACTION

Parco Sempione - Ecopass 2008

Powered By Blogger