martedì 27 marzo 2007

Energia dal vento, Italia in netto ritardo

Non urla slogan, preferisce usare timbri e carta bollata. Non fa sit-in per bloccare strade e ferrovie, ma è in grado comunque di fermare colossi come l'Enel. Se le proteste dei piccoli comitati ambientalisti contro l'eolico conquistano spesso i titoli dei giornali, in realtà il loro ruolo nel rendere in salita il percorso verso una rivoluzione del sistema energetico italiano è tutto sommato limitato. Il vero nemico, almeno in questa fase, è la burocrazia: da un lato soffoca le iniziative sotto il peso dei suoi mille cavilli e regolamenti diversi da regione a regione; dall'altro non si è invece ancora dotata di quelle poche regole in grado di snellire le procedure e far emergere i progetti migliori. E' questo il grido d'allarme emerso dagli addetti ai lavori che hanno preso parte a "Energetica 2007", il convegno organizzato da Somedia e Repubblica sul futuro delle fonti rinnovabili in Italia. Se la sfida dello sviluppo sostenibile e l'urgenza della lotta ai cambiamenti climatici sono finalmente riusciti a scavalcare gli angusti confini del dibattito interno al mondo ambientalista, conquistando l'attenzione delle grandi istituzioni internazionali, economiche e finanziarie, quello che ancora rimane da fare, almeno nel caso italiano, è l'intervento su base locale, a livello di regolamenti e piani regionali. A partire dall'Onu, e scendendo via via all'Unione Europea e al governo italiano, è stato messo in campo nelle ultime settimane un pacchetto di interventi e obiettivi ambiziosi per ridurre i costi economici e ambientali del consumo di energia. Dove tutto rischia però di bloccarsi, come in un collo di bottiglia, è nell'ultimo e decisivo passaggio, quello dell'attuazione concreta degli interventi.

A detenere le chiavi di quest'ultima porta sono soprattutto le regioni, depositarie delle scelte strategiche in materia di energia. A sintetizzare il quadro drammatico della situazione basterebbe citare l'esempio portato a "Energetica" da Salvo Sciuto, il responsabile per l'Enel dello sviluppo delle energie rinnovabili. "Per ottenere l'autorizzazione a cambiare otto turbine in un impianto già funzionante di cui preferisco non fare il nome - ha denunciato il dirigente dell'azienda elettrica - sono stati necessari sedici mesi. E pensare che si trattava di sostituirle con pale identiche a quelle esistenti, sia per potenza che per altezza e dimensioni". E per rinforzare l'assurdità della procedura Sciuto ha mostrato il foglio della richiesta formulata dall'Enel sul quale nel corso di questo lungo periodo è stato necessario far opporre la bellezza di ben undici timbri diversi. Attualmente Sciuto ha elencato ben nove regioni che tra mancanza di regolamenti, divieti (la Sardegna), moratorie in atto (la Sicilia) e cavilli vari rendono l'installazione dell'eolico una vera corsa ad ostacoli. "Il risultato - ha concluso - è che Enel nella metà del tempo ha realizzato in Spagna il doppio della potenza eolica realizzata in Italia, 633 MW contro 306". Ma se il troppo storpia, anche il troppo poco può essere letale. Nicola De Sanctis, direttore fonti rinnovabili della Edison, nel corso del convegno ha puntato infatti il dito sulla mancanza di norme in grado di fare da filtro al proliferare di progetti presentati in fretta e furia "tanto per prendere il numeretto, così come ci si mette in fila dal panettiere". Scegliere i pochi progetti validi e davvero realizzabili tra i tanti sottoposti frettolosamente con intenzioni speculative e senza la preparazione adeguata ovviamente non fa che allungare i tempi, con un notevole dispendio di risorse. Un andazzo che in alcune regioni come la Calabria, ricordava giorni fa il membro della segretaria regionale della Cgil Sergio Genco, sta raggiungendo dimensioni paradossali con la presentazione di quattro o cinque nuove richieste di autorizzazione al giorno. Del problema si è fatto interprete nel suo intervento anche il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. "Diciamolo chiaramente - ha ammesso il leader dei Verdi - la maggior parte di questi progetti fa letteralmente schifo e nasce da motivazioni clientelari. Prima si presentano, poi si pensa a correggerli in corsa, ma è anche per questo che i tempi si dilatano terribilmente. Se i progetti fossero fatti a regola sarebbe possibile concedere le autorizzazioni di impatto ambientale entro i sessanta giorni previsti". Più in generale secondo il ministro è giunto comunque il momento di riunire le regioni attorno a un tavolo per stilare un piano energetico nazionale che sia condiviso e che stabilisca su base locale tanto i target di sviluppo delle rinnovabili quanto quelli di riduzione delle emissioni di gas serra indicati dalle nuove disposizione adottate da Bruxelles. Del resto si tratta di adeguare il vecchio adagio ambientalista: pensare globalmente, agire localmente.

fonte: repubblica.it

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