giovedì 29 marzo 2007

l' Italia competitiva in Europa

Il livello dei salari Italia, in termini di potere d’acquisto è tra i più bassi d'Europa, inferiori a quelli della Grecia e superiori solo a quelli del Portogallo (tabella). Lo indica l'ultimo rapporto Eurispes, che si riferisce al periodo 2000-2005. Nell'arco di tempo considerato c'è stata una crescita media del salario comunitario – per l’insieme dei Paesi europei – del 18%, mentre nel nostro Paese i lavoratori dell’industria e dei servizi (con esclusione della Pubblica amministrazione) hanno goduto dil una crescita dei livelli retribuiti del 13,7%. una crescita ancora minore c'è stata in Germania e la Svezia , dove però i dati di partenza erano più elevati., mentre i lavoratori di Gran Bretagna, Norvegia, Olanda e Finlandia hanno visto, nel quinquennio, la propria busta paga accrescersi di oltre il 20% (grafico e tabella).
Tutti i dati dello studio Eurispes
COMPETITIVITA' - Da un punto di vista della competitività, ciò si dimostra naturalmente un vantaggio, perché la dinamica salariale assicura un vantaggio in termini di costi: in Italia il costo medio in euro per ora di lavoro, calcolato sui dati forniti dallo Yearbook dell’Eurostat, è superiore solo a quello di Spagna, Grecia e Portogallo, che è anche il paese dove i costi del lavoro sono minimi (9,5 euro all’ora) mentre Danimarca e Svezia fanno registrare i valori massimi (30,7 e 30,4 euro per ora rispettivamente) (grafico e tabella).
IN LINEA CON AUSPICI UE - Ciò appare in linea con gli auspici della Commissione Europea, espressa nel rapporto trimestrale sull'eurozona della dg affari economici. In italia, Portogallo, Spagna e Grecia «i costi unitari del lavoro dovranno essere mantenuti sotto la media eurozona», è l'opinione della commissione . Il motivo è che questi Paesi «devono riguadagnare competitività». Secondo il rapporto «Tutti gli indicatori mostrano che nel 2006 ha prevalso la moderazione salariale e in futuro i rischi appaiono equilibrati». Ci sono dei rischi «a breve termine», ma le riforme del mercato del lavoro e la globalizzazione «possono contribuire a contenere rivendicazioni salariali eccessive».
SALARI LORDI - La posizione del nostro Paese non cambia all’interno della classifica europea escondo il rappporto Eurispes se vengono considerati i salari lordi, ossia l’importo che il lavoratore dipendente vede segnato sulla busta paga (e che non corrisponde al suo contenuto, perché da quel valore il datore di lavoro avrà sottratto, per versarli agli Enti di previdenza, i contributi a carico del dipendente e le imposte dirette, delle quali è responsabile come sostituto d’imposta). Il salario lordo differisce dal costo del lavoro soprattutto per la quota di contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (grafico e tabella ). Confrontando ( 1 ) e (2) si evince che la classifica dell’Italia è rimasta immutata (al quartultimo posto) ma che mentre il costo del lavoro è da noi inferiore del 30,6% (-9,4 euro) rispetto a quello della Danimarca (dove è il più caro), se si confronta il salario lordo, si vede che al lavoratore dipendente italiano medio spetta solo il 52% del salario lordo del lavoratore medio danese: questo perché i contributi sociali sono da noi più gravosi che in Danimarca. A causa del diverso peso di quella parte dei contributi sociali a carico delle imprese si modifica anche ed in maniera significativa, la classifica dei Paesi europei: ecco allora che la Francia che occupa uno dei primi posti per costo del lavoro scivola al disotto della Germania e soprattutto della Gran Bretagna per consistenza del salario lordo. Molto interessante è la condizione del lavoratore britannico che, pur costando poco alle imprese (il costo del lavoro nelle isole britanniche è solo del 16% più elevato che in Italia), garantisce il terzo salario medio assoluto in Europa, dietro solo a Danimarca e Germania e superiore a quello italiano dell’80%

fonte: corriere.it

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