lunedì 18 gennaio 2010

Cibo, territorio e qualità l'Italia è prima in Europa

L'ITALIA è prima in Europa per i cibi di qualità legati al territorio. Un primato che si è consolidato nel 2009 con un vero e proprio sprint: su 50 nuovi prodotti a marchio certificato (Dop, Igp, Stg) ben 19 sono italiani. La classifica generale ci vede in testa con 194 prodotti (il 21 per cento del totale), seguono la Francia con 167 e la Spagna con 129. Sono i dati contenuti nel "Rapporto 2009 sulle produzioni agroalimentari italiane Dop, Igp, Stg" curato dall'Osservatorio Qualivita.

"L'agroalimentare di qualità parla italiano", commenta Mauro Rosati, direttore dell'Osservatorio. "Ed è un dato che non va letto da solo: parliamo non di nicchie ma di un segmento importante e trainante della cultura gastronomica del paese. Difendere questo tipo di produzione significa limitare l'impatto ambientale dell'agricoltura, tutelare la diversità del paesaggio, creare le condizioni per un rilancio del turismo".

Anche dal punto di vista dei numeri di settore, l'agricoltura legata al territorio non è trascurabile: 5,3 miliardi di euro che diventano 9,8 miliardi come fatturato complessivo al consumo. Il punto debole del sistema riguarda la capacità di pensarsi come struttura capace di fare squadra creando mercato.

Come ha notato Paolo De Castro, presidente della Fondazione Qualivita, proprio il successo del made in Italy rischia di trasformarsi in autogol se le singole aziende si presentano in ordine sparso alla sfida della globalizzazione: "All'estero vogliono mangiare italiano, vogliono mozzarella e parmigiano, ma se esportiamo solo il 14 per cento delle nostre eccellenze agroalimentari, il vuoto sugli scaffali viene riempito da merci italian sounding: imitazioni pirata che sfruttano l'assonanza con un nome italiano e finiscono per fatturare quattro volte più dei prodotti veri. Dobbiamo organizzarci per portare i nostri prodotti dove vengono richiesti".

Per rilanciare l'export ed evitare le truffe legate all'imitazione dei marchi italiani, l'Osservatorio propone una politica che sia orientata verso la difesa rigorosa delle tradizioni dal punto di vista dei disciplinari di produzione, ma che al tempo stesso sia estremamente innovativa e aperta dal punto di vista del marketing e della capacità di innovazione commerciale.

fonte: repubblica.it

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