venerdì 8 gennaio 2010

Il club dei meteorologi a caccia del freddo record

È nelle notti più serene d'inverno, quando il barometro segna alta pressione, l'aria è secca e il vento si ferma, che i "freddofili" entrano in azione per provare che in Italia il gelo può diventare cattivo come in Siberia. Era la notte del 9 gennaio 2009 quando nella Busa di Manna, a 2.550 metri sull'altopiano delle Pale di San Martino, il loro termometro scese a meno 43,8 gradi.
Più freddo ancora di quel 41 sotto zero che nel 1929 venne registrato sul Monte Rosa alla Capanna Regina Margherita. "Record italiano di freddo" esultano i freddofili, che si chiamano così per far capire - se serviva - che amano il gelo, ma a dispetto del nome lavorano per un progetto serissimo in collaborazione con gli istituti meteorologici di Veneto e Friuli e con il sostegno del Cnr.
Si tratta di capire perché all'interno delle doline (grandi depressioni nel terreno, frequenti soprattutto nei territori del Nordest) la temperatura scende in picchiata. Un fenomeno che non è un segreto: già i soldati durante la Grande guerra (e i montanari prima ancora) usavano portare gli alimenti là in fondo, dove il gelo aiuta la conservazione. Ma solo negli ultimi anni questi "frigoriferi naturali" sono stati studiati con metodo scientifico. E c'è ancora molto da scoprire.
Capita così che appassionati come il trentino Giampaolo Rizzonelli, responsabile del "progetto doline" per Meteotriveneto, escano nelle notti più fredde dell'anno, quando gli altri si tappano in casa, per misurare il gelo estremo che accomuna alcune località trentine, venete e friulane con gli inferni artici e antartici. E gli abruzzesi della Majella non sono da meno, anche se nell'Italia centrale l'aria gelida è più rara rispetto all'arco alpino.

Per arrivare a -40 servono condizioni ben precise: cielo sereno, bassa umidità, assenza di vento. Quando tutto questo si verifica laggiù nella dolina capita di provare esperienze incredibili, come differenze di 30 gradi centigradi tra il fondo e il bordo della depressione. Oppure aumenti della temperatura superiori ai 20 gradi nel giro di mezz'ora: un'energia termica enorme che si mette in moto e che si fa sentire, in modo sconvolgente, sulla pelle del viso, l'unica che resta scoperta quando ci si avventura nel mondo del gelo, dove il termometro arriva a scendere di un grado ogni metro di profondità.
Attualmente ci sono termometri in 47 "siti freddi" che registrano la temperatura ogni 15 minuti, alimentati da batterie speciali che potrebbero resistere a meno 87 gradi sotto zero, che in pratica è quasi il record mondiale del gelo registrato dai russi nel 1983 in Antartide. Ma a che servono queste misurazioni? Conoscere il fenomeno dell'inversione termica - di questo si tratta - può essere utile a sconfiggere l'inquinamento che nei mesi invernali si verifica nelle vallate di montagna. Ma questo gelo naturale viene sfruttato anche per collaudare - dietro l'angolo di casa - le attrezzature tecniche che possono servire nelle terre dei grandi freddi. Si spiegano così, con l'effetto doline, anche i primati del gelo che fanno registrare numerose località abitate, dall'altopiano di Asiago (nel Vicentino) al pian del Cansiglio (vicino a Belluno), ma anche Malga Millegrobbe in Trentino oppure il valico di Fusine, al confine tra Friuli e Slovenia. In fondo non sono altro che enormi conche nel suolo dove si formano "grandi laghi d'aria gelata", i cui nomi siamo abituati a sentire nei bollettini meteo quando il termometro punta verso il basso.

fonte: repubblica.it

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