venerdì 30 aprile 2010

Assediati dall'amianto costi alti, niente regole

LE QUATTRO balle di lastre ondulate sono pronte per il viaggio. A vederle così, saranno tre metri per due, incapsulate dentro una museruola di cellophane speciale, sembrano un grosso pacchetto regalo bianco: un po' sbilenco perché comprimere i fogli di eternit uno sull'altro non è proprio un inno alla geometria. Ci hanno appena spruzzato su un collante rosso, per evitare la dispersione delle fibre killer. "Questa roba va a Pomezia", nell'unico sito di stoccaggio temporaneo del Lazio, dice Paolo, 41 anni, ex operaio edile, oggi cacciatore di amianto. Tuta, guanti, mascherina. Rimarranno lì pochi giorni. Poi via con i camion, Germania o Francia. "Là l'amianto lo rendono inerte e lo riciclano - spiega Davide Savelloni, proprietario di Assa, azienda romana specializzata nella bonifica di eternit - . Ci fanno le strade. In Italia al massimo si interra nelle poche discariche adatte. Ma i costi sono alti. E ricadono sulle tasche del cittadino che chiama. Quando presentiamo il preventivo, in tanti rinunciano".

La bonifica era iniziata così. Roma, condominio di via Fleming. Centocinquanta metri quadrati di onduline da rimuovere. "Vede quel tetto rosso lassù? E' di eternit. Vede la canna fumaria? È di amianto. E sotto quel solaio lo vede il cassonetto per l'acqua? Indovini un po'? Eternit". Porteranno via tutto, ed è una notizia.

L'Italia, dati Cnr, "affonda" ancora dentro 32 milioni di tonnellate di materiale contenente amianto. Cinquecento chili per abitante. Due miliardi e mezzo di metri quadrati di coperture in eternit. Immaginate una città di 60 mila abitanti fatta di solo amianto. Una giungla di miliardi di fibre che, sino a quando non verranno smaltite, costi e pastoie burocratiche permettendo - è qui il punto - continueranno a essere una bomba a tempo sulla quale l'Italia siede nemmeno fosse sabbia tiepida. E intanto i morti d'amianto crescono: 3 mila vittime ogni anno per malattie correlate all'esposizione all'asbesto. Milleduecento casi di mesotelioma, una forma letale di cancro per il quale finora non è stata trovata una cura. Benvenuti nel Paese che non riesce oppure non vuole smaltire tutto l'amianto che, fino al '92, ha spalmato ovunque. Sulle navi, sui treni, nelle fabbriche, nelle case, nelle palestre. Persino tra le scuole e gli asili. Da Bagnoli a Monfalcone, una firma indelebile. Ma chi si occupa della bonifica e dello smaltimento? Perché, a quasi vent'anni dalla sua messa al bando, è così complicato disinnescare l'amianto?

Chi "addomestica" la Bestia
Da qualche anno esistono i bonificatori della Bestia. Passano le giornate sui tetti: tuta bianca usa e getta in Tywek, guanti gialli, mascherina. Se non passeggiano sui solai con vecchie onduline sotto braccio, li puoi incontrare nei garage, nelle scuole, nelle mense aziendali. Oppure che armeggiano davanti a qualche caldaia o si calano nei vani degli ascensori. Operai specializzati nell'incapsulamento e la rimozione di Eternit e manufatti pericolosi. "Ce n'è ovunque - racconta Paolo, al volante del suo camioncino - è stato usato sui tetti, nei cassoni per l'acqua, nelle tubature, nelle caldaie, nei comignoli. Una volta ci ha chiamato una signora che dopo vent'anni si era accorta che la cappa della cucina era completamente in amianto. In un laboratorio scolastico abbiamo rimosso dei macchinari su cui lavoravano gli studenti. Addirittura l'amianto si trova spruzzato dietro gli intonaci di appartamenti degli anni '60, per isolare le stanze". Cinque dipendenti, una media di 3 interventi a settimana, è all'Assa che lavora il nostro cacciatore. Ormai il suo occhio scova amianto ovunque. Ci racconta come funziona. Le procedure di rimozione sono lunghe e laboriose. Il cittadino chiama, si fa un piano di lavoro, si mandano all'Asl dei frammenti di materiale sospettato di contenere amianto. Dopo 40 giorni inizia la rimozione. Bloccate le fibre con il collante a spruzzo, le onduline vengono caricate sui camion, imballate e portate via. "Maneggiamo tutti i giorni l'amianto eppure l'Inps non ci inserisce tra i lavoratori a rischio. Siamo equiparati a operai edili".

Il far west delle tariffe
Ma quanto costa rimuovere l'eternit? Il cittadino paga di suo? Quali sono gli incentivi dello Stato? Il tariffario è un far west su scala regionale. Il prezzo varia a seconda del tipo di intervento, ma soprattutto del luogo, come dimostra un dossier di Legambiente. Nel Lazio liberarsi di una copertura in eternit di 10 metri quadrati costa 250 euro, più i costi fissi (da 500 a 1000 euro). "La gente non è informata - dice ancora Savelloni - si aspetta di pagare un centinaio di euro per un lavoro. Ma le spese sono alte e molti lasciano perdere. Di questo passo per bonificare il Lazio serviranno 60 anni". La rimozione della stessa lastra di eternit costa molto meno in Sardegna, ben quattro discariche: in media 260 euro. Altri prezzi: 640 euro in Abruzzo, 300 in Piemonte, 2000 in Puglia, dove il prezzo è fisso per qualunque superficie rimossa inferiore ai 25 metri quadrati. Non solo. Il costo finale dipende anche dagli incentivi regionali. In Abruzzo per le rimozioni di coperture fino a 30 metri quadrati la Regione offre un contributo pari al 70%. In Sardegna per i privati ci sono incentivi del 40% dell'importo per un massimo di 5 mila euro. Esistono finanziamenti anche per gli enti pubblici che rimuovono l'amianto. L'Emilia Romagna concede una detrazione del 36% di Irpef se ristrutturi la casa per un massimo di 48 mila euro. Nel Lazio e in Toscana, invece, niente incentivi. È diretto Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente: "Questa incertezza, e la mancanza di contributi da parte delle Regioni, sono il primo ostacolo per una diffusa bonifica a livello locale".

"Abbiamo paura"
L'immobilismo lo puoi toccare con mano a Crescenzago, prima periferia milanese. Le chiamano "case bianche" o "case minime". Sono 117 appartamenti monofamiliari con giardinetto. Li hanno costruiti negli anni '50, ci abitano 300 persone. Tutto in eternit: tetti, condotte, coibentazioni. Lastre e onduline si sono sgretolate negli anni, quando c'è vento le fibre di amianto volano. Accanto alle case: un asilo, una scuola, un parco giochi. "È dal 2000 che chiediamo al Comune, il proprietario, di intervenire - allarga le braccia Luca Prini, consigliere di zona - . Hanno promesso che a breve inizierà la rimozione, ma qui ormai la gente è rassegnata". Anziani, famiglie con figli piccoli. Ti accolgono sulla porta con l'aria di chi è stanco di parlare a vuoto: "Abbiamo paura". Mostrano i tetti sbrecciati, le crepe nelle onduline. I tumori sono in aumento, superiori alla media cittadina. Per Beniamino Pianteri, associazione ChiamaMilano, è "una vergogna milanese di cui le amministrazioni si lavano le mani da troppo tempo".

La fabbrica dei tumori
Non saranno mai soli gli abitanti delle "case minime". Ma non è questione di sostegno. È che sono in pessima compagnia. Nella Lombardia dei 2,7 milioni di metri cubi di amianto sparsi in 4.228 edifici pubblici, 24 mila edifici privati e in mille siti, c'è Broni, Oltrepo pavese. Broni uguale Fibronit uguale amianto dagli anni '30. A 16 anni dalla chiusura, la fabbrica, 15 ettari in mezzo al paese, è un luogo spettrale, pieno di eternit. I capannoni abbandonati, gonfi di veleno. Trentotto decessi per mesotelioma dal 2000 al 2006: operai, ma anche gente che abitava intorno al mostro divenuto sito di interesse nazionale. Eppure la bonifica non è ancora iniziata. "Colpa della burocrazia", dice il sindaco Luigi Paroni. Si attende dalla Regione il via libera per partire con la messa in sicurezza. Ci vogliono 25 milioni. Al momento ce ne sono solo cinque. "Vogliamo trasformare la città dell'amianto nella città del sole": sogna meravigliosi pannelli fotovoltaici Mario Fugazza, assessore all'ambiente. Resti immobile sotto gli hangar dell'ex Fibronit, all'ingresso dei capannoni privi di porte. Guardi i teloni laceri, le profondità e gli interstizi inquinati del mostro, e pensi che occorre molta fantasia.

Colpiti a tradimento
Broni, Casale Monferrato, Monfalcone, La Spezia, Genova, Bari, Taranto, Bagnoli. Le città del cancro. Ognuna col suo libro bianco. Con le sue croci. Gli ultimi li rubricano con nomi che sembrano lame. "Esposti di seconda generazione". "Esposti ambientali". Seconda generazione perché quelli della "prima", nell'affondo lento ma inesorabile del mesotelioma, l'amianto o se li è già portati via o sono in lista d'attesa. Quelli della "seconda generazione" sono quelli che le fibre killer le hanno respirate senza saperlo. Colpiti a tradimento. Non i marinai. Non i ferrovieri. Non gli operai delle "fabbriche della morte". Di questi si sapeva. E anche loro sapevano. Qualcuno, non tutti, l'aveva messo in conto che se ne sarebbe andato così, spazzato via da quella polvere sottilissima che si ficca nei polmoni e dopo 20-25 anni scatena l'inferno. È un veleno 1.300 volte più sottile di un capello. Che ancora vive nel corpo dimenticato della Bestia.

Ma chi sono i "nuovi esposti"? Come hanno fatto ad ammalarsi? "Stanno venendo a galla migliaia di storie che riguardano le più disparate categorie professionali - dice Alessandro Marinaccio, responsabile del Registro Nazionale dei mesoteliomi presso l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro - sono situazioni ancor più drammatiche perché chi si ammala non aveva nessun tipo di consapevolezza, credevano di aver lavorato o vissuto in un ambiente "sano"". Le nuove vittime sono i lavoratori comuni. Gli ignari dell'esposizione "ambientale". Non lavoravano direttamente l'amianto ma l'amianto stava - e, in molti casi, sta ancora - lì dove si guadagnavano da vivere. O dove vivevano e vivono. Nelle onduline, nei capannoni, nei camini, nei cassoni per l'acqua, nelle coibentazioni selvagge che andrebbero asportate e sepolte e invece sono sempre lì, col grilletto premuto. Ora la Bestia presenta il suo conto più salato. Mentre si avvicina il picco di tumori previsto tra il 2015 e il 2020 (il periodo di latenza del mesotelioma arriva fino a 40 anni), vengono al pettine le nuove storie. "Le donne che lavavano le tute dei mariti operai. Quelle che cucivano i sacchi di juta dove veniva trasportato l'amianto - ragiona Vittorio Agnoletto, medico del lavoro ed ex parlamentare - o a chi ha respirato le fibre perché aveva l'amianto sotto casa. Chi li risarcisce questi ammalati? Ci sono 50 milioni destinati alle vittime (30 governo Prodi 2008, altri 20 governo Berlusconi 2009) ma finora non sono stati utilizzati".

Il decreto mancante
Com'è possibile che le famiglie vedano morire i loro malati e lo Stato non intervenga? "Sembra assurdo ma il problema è che manca il decreto attuativo. E in assenza del decreto, il fondo non esiste". L'asbesto può falciarti anche se lavoravi in uno zuccherificio, in un'industria del vetro, in una ditta orafa. Anche se facevi l'ascensorista, l'enologo o se pulivi i tetti dei capannoni. Come il padre di Lorena Tacco, Paderno Dugnano. Si chiamava Vladimiro. "Era custode di un'azienda. L'appartamento che gli hanno dato aveva le finestre affacciate su un tetto di eternit. Per 30 anni ha pulito quel tetto. Toglieva gli aghi di pino che si incastravano tra le canaline di scolo. A 75 anni ha scoperto di avere il tumore". Prima di chiudere gli occhi, con l'ultimo soffio di voce, Vladimiro Tacco ha detto alle figlie: "Raccontate a tutti la mia storia. Non deve capitare ad altri quello che è capitato a me".

Alla sbarra
Questo è l'amianto. Molto è già tragica letteratura. Gli stabilimenti Eternit, Fibronit e Fincantieri con le loro spoon river. I polmoni spappolati dei 600 militari della Marina (processo a Padova, 8 ammiragli alla sbarra). I 210 mila ferrovieri in attività nel '91 (l'anno oltre il quale per l'Inail il rischio amianto è scomparso) e che ora fanno gli scongiuri perché tra loro la media del mesotelioma è 6 volte tanto quella della popolazione. Negli anni '70 vagoni e locomotori, come le navi militari, si imbottivano di amianto. "Il piano di de-coibentazione iniziato nel '95 ha riguardato 11 mila carrozze. Ne rimangono 400 con dei residui, buttate in qualche deposito", ricorda Beniamino Didda, oggi procuratore generale a Firenze, uno che da quasi 30 anni istruisce processi sull'amianto, dai treni ai cantieri navali.

Il tumore pleurico è un incubo per i marinai che navigavano o lavoravano sulle turbonavi costruite prima degli anni '90. Dice Alessio Anselmi, presidente del Cocer Marina militare: "L'amianto è ancora presente solo su una classe di fregate, il 15% della flotta, e in alcune strutture della Marina. Per rimuoverlo occorrono 10 milioni di euro". Ovunque la stessa storia.

fonte: repubblica.it

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