venerdì 9 aprile 2010

La pattumiera siberiana delle scorie francesi

Ancora bufera sulla questione delle scorie nucleari in Francia. Agli ambientalisti non va giù che il paese leader mondiale dell’atomo (nonché guida del rinascimento nucleare italiano) ancora non sappia dove mettere questi rifiuti pericolosi e non trovi di meglio che inviarli, senza garanzie di sicurezza, in Russia, usata - denuncia Greenpeace - come una vera e propria “pattumiera dell’atomo”.

Gli ultimi sviluppi della battaglia sono di questa settimana: martedì mattina attivisti di Greenpeace hanno divelto le rotaie che partano dalla centrale di Tricastin, per impedire che l’uranio impoverito arrivi al porto di Le Havre, dove lo attende la nave russa Kapitan Kuroptev per portarlo nell’ex-Unione Sovietica. Subito Areva ha risposto per vie legali e il tribunale è intervenuto contro gli ambientalisti per impedire loro di interferire nel trasporto del combustibile esausto.

Ecco che sulle pagine dei giornali (solo francesi per ora) torna una storia che getta l’ennesima ombra sulla gestione delle scorie nucleari in Francia. Su queste pagine avevamo raccontato dell’inchiesta sui 300 milioni di tonnellate di detriti radioattivi abbandonati e utilizzati nel paese per realizzare terrapieni, strade e parcheggi (Qualenergia.it, La Francia contaminata). Questa volta sotto accusa è invece la filiera a valle delle centrali, che si perde oltre confine, nelle steppe siberiane.

A denunciare che qualcosa non andava in quell’export di combustibile esausto a oriente erano stati un’inchiesta televisiva di Arte Channel e un articolo di Liberation, usciti quest’autunno: il 13% del combustibile esausto del gigante francese dell’atomo – si denunciava – finisce abbandonato nelle steppe siberiane, stoccato a cielo aperto. Rivelazioni corredate dalle immagini aeree dei depositi delle scorie a Seversk in Siberia (ossia Tomsk-7, sito peraltro già pesantemente contaminato da incidenti nucleari in epoca sovietica).

Per Areva – che non ha confermato né smentito le accuse - in Russia finisce solo l’uranio riutilizzabile, per essere arricchito e poi tornare in patria. Secondo l’azienda, con il riprocessamento si riuscirebbe a riutilizzare fino al 96% del combustibile esausto. Ma i numeri raccontano una versione diversa: delle 33mila tonnellate di uranio inviate dalla Francia nell’ex URSS dal 2006 al 2009 solo poco più di 3mila hanno fatto ritorno in patria arricchite.

“Le 30mila tonnellate mancanti – denuncia Greenpeace – restano abbandonate a tempo indeterminato in luoghi come Seversk: la Russia non ha la tecnologia per riprocessare l’uranio esafluoruro (UF6, ndr) che costituisce la maggior parte delle scorie inviate. Il contratto di EDF-AREVA viola le leggi russe e i depositi, come rilevato dalla Rostechnadzor (l’agenzia federale che supervisiona la produzione di combustibile nucleare), non rispettano le norme di sicurezza."

Insomma: “il riprocessamento – denuncia l’associazione - è solo una trovata di comunicazione per coprire il fatto che si scaricano le scorie a terzi. Ciò dimostra ancora una volta la completa inadeguatezza dell’industria a gestire i pericoli dei rifiuti nucleari”. Cosa succederà quando (e se) sarà l’Italia a dover mettere in sicurezza nuove scorie? Intanto l'esperienza con il decommissioning delle centrali del passato promette male (Qualenergia.it, Il disastro dell'eredità nucleare italiana su Report).

Speriamo che nell’accordo di collaborazione che Italia e Francia firmeranno domani a Parigi la questione venga affrontata adeguatamente: vi si prevede, tra le altre cose, che sulla gestione del ciclo dei rifiuti nucleari, Sogin collabori con l’agenzia francese Andra, sulla sicurezza Ispra con l’Asn (intesa che verrà poi trasferita alla futura Agenzia italiana), mentre Enel e Isrn si occuperanno di protezione dalle radiazioni e Cirten e Areva di formazione e specializzazione del personale.

fonte: qualenergia.it

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