giovedì 17 aprile 2008

Il lavoratore infortunato deve provare che il fatto è causato da inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza

Con sentenza del 14 aprile 2008, n. 9817, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un lavoratore contro la sentenza della Corte d’Appello, che aveva respinto la sua domanda di risarcimento. La Corte, infatti, ha chiarito, che nella domanda di danni da infortunio sul lavoro, la ripartizione dell’onere probatorio segue lo schema dell’articolo 1218 del cod.civ. sull’inadempimento delle obbligazioni.
Per la Cassazione, il lavoratore che agisce per il riconoscimento di un danno derivato da un infortunio sul lavoro ha l’onere di dimostrare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, la sussistenza del danno e il nesso causale fra la prestazione e l’infortunio occorsogli (nel caso di specie il lavoratore deve provare il nesso causale fra l’uso del macchinario e l’incidente), Il datore di lavoro, invece, deve provare che il danno è dipeso da una causa non imputabile a lui e che sono state predisposte tutte le misure per evitare infortuni sul lavoro.

Fatto e diritto
Mentre stava smontando imponenti casseformi per il getto di calcestruzzo per la costruzione di muri di contenimento di 10 metri sula linea ferroviaria ad alta velocità Milano-Venezia, un dipendente si era lanciato nella scarpata per evitare di essere schiacciato da una cassaforma inclinatasi perché male agganciata dalla squadra precedente. A causa dell’altezza e della caduta, dunque, l’uomo aveva riportato gravissime lesioni permanenti ed aveva convenuto dinanzi al giudice la società datrice di lavoro in quanto responsabile, ex art. 2043 e 2087 c.c., dell'infortunio da lui subito. Per queste ragioni, infatti, il lavoratore ne aveva chiesto la condanna al pagamento del danno per invalidità permanente, del danno biologico, del danno morale e di 12 mesi di inabilità temporanea, oltre interessi legali e interessi compensativi,
Il giudice adito, dopo aver sentito le società assicuratrici, aveva ritenuto che non fosse provata la responsabilità del datore di lavoro ed aveva respinto la domanda. La decisione, inoltre, era stata in seguito confermata dalla Corte d' appello.

La decisione della Corte d’Appello
La Corte d’Appello ha ricapitolato la tesi dell'appellante, secondo cui l'infortunio è accaduto perché altre squadre avevano operato sulle casseformi prima di lui, omettendo l'aggancio dell'ultimo pannello, e perché egli si è trovato, al momento dell'infortunio, all'altezza di sei metri dal suolo, in mancanza di sistemi di sicurezza.
La società ha ammesso che la prima circostanza è stata confermata dai testi, ma ha ritenuto che da ciò non consegua la responsabilità del datore di lavoro, perché il dipendente era un caposquadra esperto nel montaggio delle casseformi, un dirigente della società lo aveva saggiato all'opera (era il primo giorno di lavoro del dipendente presso la società), gli aveva dato istruzioni ed effettuato controlli sulla sua competenza e sulla regolarità del lavoro già svolto, pertanto aveva avuto modo e tempo di verificare all'arrivo lo stato dei lavori e, in particolare, il regolare ancoraggio dei pannelli con sostegni telescopici.
Per la corte d’Appello le modalità dell'infortunio erano state accertate dagli ufficiali di polizia giudiziaria i quali hanno ispezionato i luoghi e sentito il dipendente ed i suoi colleghi di lavoro che hanno riferito che il lavoratore si trovava, nell'ultima fase del lavoro, con i piedi appoggiati su una putrella sporgente ad altezza non superiore a due metri, per la quale non erano richieste misure particolari di sicurezza.
La Corte d’appello ha evidenziato che il dipendente, a fronte di questa puntuale ricostruzione dei fatti, non ha fornito alcun elemento utile a provare che lavorasse ad un'altezza superiore rispetto a quella indicata negli accertamenti; nulla egli ha precisato circa le modalità di aggancio del pannello alla gru, la visibilità dei tiranti, l'esigenza di operare dall'altezza massima del pannello, l'altezza di eventuali putrelle o passerelle esistenti. Anche un teste aveva indicato l'altezza in relazione alla fase del lavoro, precisando che i pannelli hanno dei camminamenti o passerelle che non vengono mai smontati e si trovano circa a metà o più esattamente a circa 1,80 dalla parte dove non c'è il puntello e dalla parte, dove c'è il puntello, nella parte superiore.
La Corte d’Appello ha fatto presente che il teste, quanto all'altezza dal suolo, ha riferito al giudice in modo estremamente evasivo, che l'operazione di imbracatura andava fatta intorno ai due-tre metri di altezza, o persino in cima; nelle dichiarazioni allegate, al ricorso ha dato una nuova versione dei fatti riferendo che il dipendente lavorava a sei metri, sempre contraddicendo la prima (h.m. 1,60) fatta all'ufficiale di polizia giudiziaria, l'unica attendibile, confermata dallo stesso dipendente e dal teste appena dopo l'infortunio.
Quanto alla regola da applicare all'infortunio sul lavoro così ricostruito, la Corte d’Appello aveva rilevato che l'art. 2087 cod.civ. non prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma occorre sempre che l'evento sia riferibile a colpa del datore di lavoro, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, concretamente individuati.
Quindi la Corte d’appello, sulla base di tali elementi di fatto e di diritto ha confermato la sentenza impugnata. Ma contro tale sentenza il dipendente ha proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Cassazione
Per la Cassazione l'applicazione dei fondamentali civilistici alle complesse obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro, in particolare alla distribuzione degli oneri probatori per la responsabilità del danno da infortunio sul lavoro, comporta che in caso di infortunio provocato dall'uso di un macchinario, il lavoratore deve provare il nesso causale tra uso del macchinario ed evento dannoso, restando gravato il datore di lavoro dell'onere, di dimostrare di avere osservato le norme stabilite in relazione all'attività svolta, nonché di avere adottato, ex art. 2087, tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità del lavoratore.
Nel caso in questione il dipendente era stato costretto a lanciarsi in una scarpata per non essere travolto da una cassaforma agganciata male dalla squadra che aveva lavorato sul posto prima di lui.
Per la Cassazione il fatto che fosse un caposquadra, cioè un lavoratore esperto abituato anche a sorvegliare altri colleghi, non è sufficiente ad escludere la responsabilità dell’azienda e l’incidenza causale sull’incidente dell’operato di lavoratori che non dipendevano dall’infortunato.
Per la Cassazione quindi il lavoratore infortunato ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza.

Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 9817 del 14 aprile 2008

fonte: newsfood.com

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