lunedì 28 aprile 2008

Giro di vite in Amazzonia

Numero chiuso in Amazzonia. Per proteggere la più famosa foresta del mondo il governo brasiliano ha deciso di varare una nuova legge che introdurrà uno stretto controllo sugli accessi e le visite. Chiunque vorrà entrare nella foresta - sia esso un turista o una Ong - dovrà chiedere un permesso speciale del ministero della Difesa e potrà ottenerlo solo dopo un complicato iter burocratico. I trasgressori saranno puniti con una multa da 40 mila euro.

Il saccheggio straniero dell'Amazzonia è una ossessione brasiliana come la drammatica finale dei mondiali di calcio persa contro l'Uruguay di Ghiggia e Schiaffino nel 1950: sono gli incubi collettivi e fondativi di una nazione giovane come il Brasile. Così, a scadenze quasi regolari, sulle Ong che lavorano nella foreste cade l'infamante accusa di biopirateria al servizio delle grandi multinazionali farmaceutiche. Quanto ci sia di vero non si sa ma i brasiliani sono molto preoccupati per i mille ricchissimi segreti della biodiversità nel polmone del mondo ed è ormai pronta una nuova legge che il governo Lula spera di far approvare entro due mesi che consentirà di controllare e vigilare tutti gli accessi e le visite in Amazzonia.

Il primo a darne notizia è stato il ministro della Giustizia, Tarso Genro (l'ex sindaco della capitale "rossa" del Brasile: Porto Alegre) quando ha detto al quotidiano O Estado de Sao Paulo che molte organizzazioni non governative che seguono progetti di cooperazione nella foresta sono in realtà una copertura per gruppi di biologi e botanici stranieri che cercano piante con proprietà curative da brevettare e sfruttare sul mercato internazionale dei farmaci naturali.

Alle parole di Genro sono seguite quelle di un alto funzionario del suo ministero che ha aggiunto: "Vogliamo che l'Amazzonia sia effettivamente nostra, non ci opponiamo né al turismo né alle Ong ma vogliamo sapere quando vengono e cosa esattamente fanno".

Il problema dei brasiliani, come quello di altri paesi, tra cui l'India, nasce dal fatto che l'Organizzazione mondiale del Commercio non ha ancora riconosciuto la proprietà intellettuale sui nuovi medicinali - alcuni ancora sconosciuti - nascosti nella flora amazzonica motivo per cui chiunque può estrarli e brevettarli rubandoli al Brasile. La nuova legge prevede che chi voglia recarsi nella foresta debba prima richiedere un permesso speciale che verrà rilasciato dal Ministero della Difesa ed affrontare un complicato iter-burocratico per ottenerlo: turisti compresi.
Per i trasgressori è prevista una multa fino a 40mila euro.

In parte le nuove regole estendono un'altra legge restrittiva che già esiste ma che riguarda solo i territori dove sono presenti tribù indigeni e resuscitano una politica di controllo sulla foresta che venne già tentata senza grandi successi negli anni dei governi dittatoriali. Oggi l'esecutivo di Brasilia spera che grazie ai nuovi sistemi satellitari sia molto più facile individuare i trasgressori.

I critici però temono che il governo brasiliano voglia in questo modo anche limitare le incursioni delle organizzazioni internazionali (prima di tutte Greenpeace) che vigilano sulla deforestazione e accusano il governo di non fare abbastanza. L'esplosione delle coltivazioni di soia - molto redditizie anche per le esportazioni brasiliane - è stato negli ultimi anni un nuovo fattore di assalto indiscriminato alla più grande foresta pluviale del mondo E, non a torto, Greenpeace e altre Ong ecologiste sostengono che in alcune aree il governo ha chiuso un occhio con lo scopo di aumentare la superficie coltivabile.

Insieme alla biopirateria e al furto dei brevetti medicinali ci sono, dietro alla proposta della nuova legge, almeno altri due aspetti: uno è nazionalistico, l'altro è una preoccupazione di politica interna. Secondo l'esercito ci sono zone, soprattutto quelle di frontiera, dove si registra una presenza incontrollata di stranieri. Alcuni - dicono le Forze Armate - starebbero fomentando gli scontri armati sempre più frequenti fra le tribù indigene e i coloni bianchi.

fonte: repubblica.it

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