martedì 22 aprile 2008

Provvedimenti disciplinari: termine entro cui il datore deve irrogarli

Con sentenza del 18 marzo 2008, n. 7295, la sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che anche dopo la contestazione e la presentazione delle giustificazioni da parte del dipendente lo stesso è ancora tutelato e risulta dunque giustificata l’esistenza di termini perentori nel senso che passata una certa scadenza il dipendente potrebbe considerare come accettate le sue giustificazioni ed archiviata l’azione disciplinare.
L’indicazione di un termine entro cui il datore deve assumere il provvedimento disciplinare contro il dipendente, se indicata nel CCNL, ad esempio entro trenta giorni dal ricevimento delle giustificazioni, comporta che l’inosservanza di tale termine provochi la decadenza dal potere di irrogare le sanzioni.
Così la Cassazione ha riconosciuto la corresponsione al dipendente dell’indennità risarcitoria per il licenziamento illegittimo.

Fatto e diritto
Un dipendente che aveva lavorato per 7 anni circa in una società ha convenuto in giudizio la stessa società per impugnare il licenziamento per giusta causa irrogatogli e per richiedere la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento dei danni.
Al dipendente, prima del licenziamento, erano state contestate una serie di irregolarità relative a spese effettuate con la carta di credito aziendale, cui erano seguiti due provvedimenti disciplinari conservativi, impugnati davanti ad un collegio arbitrale, che aveva ridotto la sanzione irrogata con il primo e confermato il secondo. Successivamente gli erano state contestate altre irregolarità relative ad acquisti di carburante, e a seguito di queste ultime era stato intimato il licenziamento per giusta causa.
Il dipendente aveva impugnato i lodi arbitrali per mancanza di motivazione ed il licenziamento per mancanza di giusta causa e per violazione del criterio della proporzionalità, genericità ed intempestività della contestazione. Il giudice respingeva l'impugnazione dei lodi arbitrali; concludeva, invece, per l'illegittimità del licenziamento, contenendo in cinque mensilità l'indennità risarcitoria.
La Corte d'appello è stata di contrario avviso ritenendo che il datore di lavoro fosse decaduto dal potere disciplinare e, di conseguenza, in accoglimento dell'appello incidentale del dipendente dichiarava l'illegittimità del licenziamento che gli era stato intimato, condannando la società alla corresponsione di una indennità commisurata alle retribuzione globale di fatto maturate a partire dal licenziamento, con gli accessori. Riteneva, invece, che non dovesse essere esaminata l'impugnazione principale della società, che ha poi proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione
Per la Cassazione, se è vero che prima della contestazione disciplinare è giustificata una particolare tutela del lavoratore, e perciò la possibile esistenza di termini perentori per l'inizio dell'azione disciplinare, anche dopo la contestazione, e la presentazione da parte del dipendente delle proprie giustificazioni, una simile tutela, e perciò, ancora una volta, l'esistenza di termini perentori, può essere ugualmente giustificata perché, dopo un certo termine, il predetto potrebbe ritenere le sue giustificazioni accettate e l'azione disciplinare non proseguita.
La materia, in realtà, è regolata dai contratti collettivi di lavoro, che sono contratti di diritto privato stipulati dalle parti collettive: spetta a loro stabilire, nella mediazione delle diverse posizioni e dei contrapposti interessi, se debbano esserci, o meno, dei termini per l'inizio, la prosecuzione e la definizione dell'azione disciplinare.
L'interpretazione dei CCNL è riservata al giudice del merito, e perciò non può essere oggetto di ulteriore esame in Corte di Cassazione dove si giudica sulla legittimità.
Secondo la Cassazione la società ricorrente non ha contestato che nel testo fosse contenuto il termine, ma ha sostenuto che non era previsto alcun tipo di conseguenza in caso di inosservanza di esso.
Ma per la Cassazione in qualsiasi scritto, e tanto più in un testo destinato ad assumere valore legale, come quello in questione che è parte di un CCNL, fino a prova contraria, ogni singola locuzione ha un suo specifico significato.
L'indicazione di un termine per il compimento di un'attività giuridicamente rilevante non rientra tra le cosiddette clausole di stile, e neanche la ricorrente lo afferma. Perciò deve avere, nel contesto di riferimento, una qualche conseguenza.
Per la Cassazione nel caso di specie, nell'ambito di quel contesto, non appaiono ipotizzabili conseguenze diverse da quello dell'obbligo di procedere a quella specifica attività entro il termine di esso, e della decadenza da tale potestà se l'attività non viene posta in essere entro il termine.

Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 marzo 2008, n. 7295

fonte: newsfood.com

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