martedì 22 aprile 2008

Caro-cibo a Milano e Bolzano: 10% in più

Fare la spesa costa di più al nord. E per gli alimentari le due città più care in Italia sono Bolzano e Milano, che fanno registrare livelli dei prezzi più elevati di oltre il 10% rispetto alla media nazionale (rispettivamente +13,3% e +11,2%). A dirlo sono i primi risultati sulle differenze nel livello dei prezzi tra i capoluoghi di regione italiane per alcune tipologie di beni e in particolare per tre capitoli di spesa (alimentari, abbigliamento e calzature e arredamento) per un peso complessivo pari a circa il 35% della spesa per consumi delle famiglie. I dati, relativi al 2006, sono stati presentati da Istat, Unioncamere e Istituto Guglielmo Tagliacarne.

GAP TRA NORD E SUD - Dal lavoro, il primo del genere, emerge - sottolinea l'Istat - l'esistenza di differenze territoriali, spesso ampie, tra i diversi capoluoghi di regione. Complessivamente i livelli di prezzi registrati nelle città settentrionali risultano superiori a quelli dei capoluoghi del centro e soprattutto del Mezzogiorno del Paese. Ciò vale, soprattutto per i prodotti alimentari e di arredamento. Se Bolzano e Milano rappresentano le città in testa per il caro-cibo, le due meno care, sempre per quanto riguarda il capitolo alimentari, sono Napoli e Bari, con livelli di prezzi inferiori di circa il 10% rispetto alla media. Per i prodotti dell'abbigliamento e le calzature, i due capoluoghi italiani con i livelli di prezzi più elevati sono Reggio Calabria e Venezia (rispettivamente +6,5% e +5,4% sopra la media,) mentre per l'arredamento e gli articoli per la casa le due città più costose sono Milano e Roma (+25,8% e +12,8% sopra la media). In generale, un gruppo di città (Milano, Trieste, Genova e Bologna) registra livelli dei prezzi più elevati rispetto alla media nazionale in tutti e tre i capitoli considerati. Sul fronte opposto, un secondo gruppo (Napoli, L'Aquila, Campobasso e Palermo) evidenzia i livelli dei prezzi inferiori alla media italiana sia nel capitolo alimentari che in quello dell'abbigliamento e calzature e dell'arredamento. Dallo studio emerge inoltre che per quanto riguarda i prodotti alimentari si rilevano differenziali di prezzo «relativamente contenuti» per i prodotti lavorati e «nettamente più ampi» per i prodotti non lavorati, per i quali «forme tradizionali di commercializzazione del prodotto, aspetti di localizzazione e caratterizzazione della merce commercializzata sembrano rappresentare fattori che comportano spinte verso una maggiore variabilità di prezzi».

fonte: corriere.it

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