lunedì 23 luglio 2007

Su Science la caccia agli inquinanti invisibili

Inquinano senza lasciare traccia. Al punto che un terzo delle sostanze inquinanti potrebbe essere stato "ignorato". E' il risultato di uno studio canadese pubblicato dalla rivista Science, secondo cui i criteri con cui si classificano i composti dannosi andrebbero rivisti. La ricerca effettuata su animali che vivono nell'Artico ha infatti evidenziato come una serie di sostanze finora considerate innocue siano invece dannose. I ricercatori canadesi dell'università di Burnaby hanno studiato una serie di molecole organiche, residui di pesticidi e detergenti, che non sono considerate pericolose perché non si accumulano negli anelli più bassi della catena alimentare, alghe e piccoli pesci. Verificando la loro presenza in animali più grandi, come beluga, anatre e orsi polari, i tossicologi ne hanno però trovato alti livelli. La spiegazione è che queste sostanze si sciolgono facilmente in acqua, e quindi vengono eliminate dagli animali muniti di branchie, mentre è più difficile espellerli per quelli che respirano nell'aria come beluga, anatre, orsi polari. La misura più comune della tendenza di una sostanza chimica a bioaccumularsi, cioè ad aumentare la sua concentrazione man mano che si sale nella catena alimentare, si concentra sulla sua solubilità nell'acqua. I policlorobifenili (Pcb), ad esempio, molto utilizzati dall'industria come lubrificanti e isolanti, non si sciolgono nell'acqua, ed è quindi molto difficile per gli organismi marini espellerli, tanto che nei pesci se ne trovano concentrazioni fino a 100 volte superiori a quelle delle alghe.
I tossicologi dell'università canadese di Burnaby hanno analizzato una serie di sostanze che invece si sciolgono facilmente nell'acqua, e quindi non si accumulano nei tessuti degli abitanti degli oceani. La lista dei composti studiati comprende pesticidi come il lindano, ma anche composti organici presenti in profumi e detergenti. Il risultato è stato che il livello di queste sostanze non aumenta in alghe, licheni e piccoli pesci, mentre c'è bioaccumulazione negli animali più grandi. "Stiamo ignorando moltissime sostanze - sostiene Frank Gobas, che ha coordinato lo studio - bisogna cambiare il modo di valutare la pericolosità degli inquinanti e riscrivere le regole". Secondo i ricercatori la spiegazione del fenomeno sta nelle caratteristiche della respirazione dei diversi organismi studiati: quelli che respirano nell'acqua bioaccumulano le sostanze come i Pcb o il Ddt perché queste non si sciolgono, a differenza di quelle oggetto di questo studio che invece sono espulse facilmente. Negli animali che non hanno le branchie invece sia gli inquinanti idrosolubili che quelli non idrosolubili si accumulano nei tessuti, e non vengono eliminati, anche per il lento ritmo di respirazione. Il problema riguarda anche l'uomo: nel latte umano della popolazione degli Inuit i tossicologi canadesi hanno trovato alti livelli delle sostanze studiate. L'Artico è una zona particolarmente sensibile per gli inquinanti, a causa delle correnti atmosferiche e della temperatura che ne fanno il "deposito" degli inquinanti di tutto il mondo. Lo scorso anno il Wwf ha lanciato un allarme sugli effetti delle sostanze chimiche sugli animali della zona, che vanno dalle malformazioni ai disordini metabolici all'infertilità. Oltre che dall'inquinamento, gli animali sono minacciati anche dagli effetti del riscaldamento globale: un ultimo esempio lo ha fornito uno studio apparso questa settimana sulla rivista Polar Biology, secondo cui gli orsi polari sono sempre più costretti a lunghe migrazioni per trovare le condizioni adatte a fare il nido a causa dello scioglimento dei ghiacci. Monitorandone gli spostamenti via satellite gli scienziati dell'Istituto americano per la Sorveglianza Geologica (Usgs) hanno trovato che sulle coste artiche ormai nidifica il 37 per cento degli orsi in meno rispetto al 1998, mentre gli altri si spostano sempre più all'interno.

fonte: corriere.it

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