mercoledì 18 luglio 2007

Dalle Cinque Terre agli Iblei

Dal paradiso delle Cinque Terre, il parco nazionale che si affaccia sull'area marina protetta della Liguria, all'incantevole costiera amalfitana; dal comprensorio toscano della Val d'Orcia a quello veneto della Valpolicella; dalle meraviglie del Salento ai tesori siciliani e sardi, il paesaggio italiano è un patrimonio inestimabile che appartiene a tutti noi e all'intera umanità. Ma spesso è come se ne ignorassimo il valore, lo trascuriamo, lo sprechiamo o addirittura lo deturpiamo. Tant'è che negli ultimi anni, tra il '90 e il 2003, la superficie agricola utilizzata s'è ridotta del 20,4%, passando da oltre 15 milioni di ettari a poco più di 12, con tre milioni di ettari conquistati dalla cementificazione, dall'abbandono delle campagne o peggio ancora dalla desertificazione. Il Belpaese, insomma, perde i pezzi e non lo sa. O finge di non saperlo, accantona o rimuove il problema, come se questo fosse un destino ineluttabile, quasi una fatalità. Per fermare il degrado del territorio, la senatrice dei Verdi Loredana De Petris ha presentato recentemente un disegno di legge per la tutela e valorizzazione del paesaggio rurale, con l'adesione e il sostegno di Confagricoltura guidata dal presidente Federico Vecchioni. Una "santa alleanza" a cui non potranno non partecipare compatte anche le associazioni ambientaliste. Appena qualche mese fa era stato lo stesso ministro dei Beni e delle attività culturali, Francesco Rutelli, a denunciare "lo sfregio silenzioso del paesaggio italiano" dopo il caso eclatante di Monticchiello, denunciato dallo scrittore e critico letterario Alberto Asor Rosa su Repubblica, e poi della Valpolicella. Proprio dal Veneto gli ha fatto eco il poeta Andrea Zanzotto, riferendosi agli scempi in atto nella sua regione: "Una volta esistevano i campi di sterminio, oggi siamo allo sterminio dei campi". E nelle settimane scorse, con un appello pubblicato sulle nostre pagine, firmato via Internet da ottantamila persone e ripreso dai giornali di tutto il mondo, è stato lo scrittore siciliano Andrea Camilleri a lanciare un altolà contro le trivellazioni petrolifere in Val di Noto.
Mai come in questo caso, dunque, ambiente, agricoltura e cultura hanno fatto fronte comune contro l'avanzata del cemento, la distruzione della campagna e la rovina del territorio. Non si tratta, infatti, solo di una battaglia estetica o ecologista. Insieme al paesaggio sono in gioco anche beni artistici, interessi economici, produzione alimentare e industria del turismo. Un mix che rappresenta una ricchezza fondamentale per l'Italia, povera com'è di materie prime e di risorse energetiche. In questo senso, è in gioco la stessa identità nazionale, la storia del nostro Paese, la sua tradizione e la sua immagine all'estero: valga per tutti l'esempio del Parco delle Cinque Terre, dichiarato patrimonio mondiale dell'umanità dall'Unesco, che con i suoi settemila chilometri di muretti a secco costruiti nei secoli lungo i terrazzamenti s'è gemellato l'anno scorso con la Muraglia cinese. Non è da sottovalutare, inoltre, il fatto che il mantenimento del paesaggio rurale e delle attività che lo supportano costituisce la forma più efficace di contrasto del dissesto idrogeologico che al momento interessa il territorio di 5.500 Comuni italiani. Come pure uno strumento per prevenire o contenere gli effetti dei cambiamenti climatici e i processi di desertificazione già avanzati in alcune regioni, a cominciare dalla Puglia. La vegetazione della campagna svolge un ruolo insostituibile per metabolizzare l'anidride carbonica prodotta dall'inquinamento e ammortizzare così l'effetto serra, costituendo un "serbatoio" naturale per difendere la biodiversità delle varietà agricole e delle razze animali. Ma la valorizzazione del paesaggio rurale può essere anche il volano di un nuovo sviluppo economico e territoriale. La diffusione dell'agri-turismo, lo sviluppo della produzione agricola e dell'artigianato alimentare, sono processi già in atto che vanno ulteriormente sostenuti e ampliati. Scrive la senatrice De Petris nella sua relazione: "L'offerta integrata di risorse del territorio, che si incentra sulla conservazione attiva e non sul consumo irreversibile, rappresenta oggi l'unica alternativa effettivamente praticabile in molte realtà del nostro Paese, altrimenti destinate al degrado urbanistico o all'abbandono". Nei nove articoli del disegno di legge, sono previste alcune modifiche al cosiddetto "Codice dei beni culturali e del paesaggio", per inserire tra le aree protette una nuova categoria sottoposta "ope legis" a tutela: il territorio che supporta l'agricoltura tipica e di qualità, con tutta la gamma dei prodotti a denominazione d'origine, in particolare i comprensori che ospitano i vitigni e le coltivazioni biologiche. L'obiettivo è quello di tutelare meglio i 159 riconoscimenti comunitari già assegnati a DOP (denominazione d'origine protetta), i 477 vini nazionali di qualità e circa un milione di ettari riservati appunto a produzioni biologiche certificate. In nome del "capitalismo naturale", anche in questo campo insomma la difesa dell'ambiente può essere un business e una fonte di ricchezza, come in quello delle energie alternative. Al contrario, la distruzione del territorio serve solo ad alimentare la speculazione edilizia, l'inquinamento e spesso il malaffare. Il Belpaese non può sopportarla un ettaro di più.

fonte: repubblica.it

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