giovedì 13 dicembre 2007

Chernobyl tra lupi e rondini albine

Lupi che sopravvivono mangiando cani, rondini albine, gatte che non riescono più a partorire cuccioli maschi. A ventuno anni di distanza da quel 26 aprile che sconvolse il mondo, la natura si riappropria del territorio di Chernobyl. E lo fa in modo inquietante, perché tale è stato il destino di questa cittadina al confine con la Bielorussia, che nel 1986 fu travolta da uno dei più grandi disastri nucleari della storia e che ora sembra vivere una sorta di rinascita. Anche se a ripopolarla non sono gli uomini ma gli animali.

L'incidente avvenne nella centrale a due passi da Pripyat, una città artificiale creata appositamente per il lavoratori. Prima dell'evacuazione la sua popolazione era di circa cinquantamila abitanti.

Quel che resta del territorio attorno a Chernobyl oggi è una foresta grigia, abitata dai fantasmi delle persone che morirono per quelle radiazioni (sul numero è sempre stata polemica aperta) o vennero evacuate. Per le vie della città sono ricomparsi i gatti. Per diversi anni dopo il disastro le femmine non riuscirono più a partorire cuccioli maschi e piano piano i felini scomparvero dalle strade. Ora in giro se ne vedono moltissimi. La selva è invece popolata da cinghiali selvatici, alci, cervi, volpi. A brucare le sterpaglie contaminate è tornato persino il bisonte europeo, quasi estinto agli inizi del '900. Oggi qui ritrova l'ambiente adatto per riprodursi, soprattutto grazie a un particolare non trascurabile: l'uomo non è più la specie dominante.

Una polemica scientifica. La rivincita della natura sul disastro radioattivo ha colpito l'attenzione degli scienziati di tutto il mondo, tanto da innescare una diatriba a colpi di ricerche scientifiche. A far scoccare la scintilla è stato un articolo pubblicato sulla rivista Biology Letters, uno degli inserti della Royal Society.

Secondo una ricerca del professor Anders Moller dell'Università Pierre e Marie Curie di Parigi e di Timothy Mousseau dell'Università della Carolina del Sud di Columbia, gli animali che oggi popolano Chernobyl sono geneticamente devastati dalle radiazioni. Non solo: nelle zone in cui la radioattività è rimasta elevata, gli uccelli non riuscirebbero più a nidificare. Moller si riferisce in particolare alle rondini, che inoltre in molti casi nascerebbero albine.

Il team di Moller sostiene che non siano stati fatti adeguati sforzi a livello internazionale per monitorare gli ecosistemi di Chernobyl. Organismi quali l'Organizzazione Mondiale per la Sanità e l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica si sarebbero basati solo su "prove aneddotiche". "Perché non è vi è stato alcun sforzo per monitorare gli effetti a lungo termine delle radiazioni su animali selvatici ed esseri umani?", chiedono Moller e i suoi collaboratori.

Animali di grossa taglia, che prima non abitavano queste zone, oggi sopravvivono grazie a mutazioni genetiche che ne hanno modificato la resistenza e le abitudini alimentari. Come i lupi che stanno ricomparendo nel bosco, di taglia più piccola rispetto a quelli normali: test scientifici hanno dimostrato che il funzionamento dei loro organi è ormai stato geneticamente modificato dalle radiazioni.

Secondo le poche centinaia di persone che ancora abitano qui e secondo lo stesso Moller, i lupi si sarebbero riprodotti negli anni cibandosi dei cani rimasti. Lo scrittore Martin Cruz Smith a questo fenomeno ha anche dedicato un libro, a metà strada tra fantascienza e crudo realismo, intitolato Wolves Eat Dogs.

Secondo Moller, dunque, quella di Chernobyl non sarebbe una vera rinascita ma l'emblema di un mondo inquinato e perduto. Il plutonio, ricorda, impiega 373 mila anni per dimezzare le proprie radiazioni.

Ma il professor Jim Smith dell'Università americana di Portsmouth critica questa ricerca. Egli crede che il rifiorire della fauna sia il simbolo della forza della natura sulle catastrofi umane. In un articolo apparso sulla rivista Nature, spiega che l'abbandono delle aziende agricole da parte degli sfollati potrebbe essere la vera ragione per cui uccelli come le rondini, abituati a convivere con l'uomo, non si riproducono più in queste zone.

Anche se non ci sono piani di ripopolamento, si stima che circa cinque milioni di persone vivano ancora sui terreni contaminati dall'incidente. Nella cittadina di Pripyat, desolata e abbandonata a sé stessa, abitano circa quattrocento persone. "Non torneremo mai più, addio", aveva scritto una maestra sulla lavagna un attimo prima dell'evacuazione. Gran parte degli abitanti di Pripyat hanno mantenuto la promessa.

Tra aneddoti e realtà. Intorno a questi uomini e alla nuova natura che li circonda, un pullulio di leggende macabre e in certi casi ridicole. Come quella della nascita di una nuova razza umana a due teste, o ancora quella della centaura Elena, che aprì un blog per raccontare il proprio viaggio attraverso le zone dell'esplosione. A bordo della propria moto, incurante del rischio di radiazioni. La giornalista Mary Mycio, corrispondente del Los Angeles Times, mise poi in dubbio la veridicità del reportage: secondo le sue ricostruzioni, la ragazza a Chernobyl c'era stata, ma solo per una vacanza.

fonte: repubblica.it

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