lunedì 17 dicembre 2007

La resa dell'amministrazione Bush

PER capire cosa è successo alla conferenza di Bali bisognerebbe guardare il filmato dell'ultima seduta in plenaria, dopo una notte di incontri a vuoto. I delegati esasperati da due settimane di trattativa a oltranza, i trabocchetti sul testo anti-gas serra che spuntano uno dietro l'altro, le lacrime del segretario della convenzione sui cambiamenti climatici che vede crollare l'intesa preparata da mesi. Il no americano che gela la sala. Poi il vento cambia. Il Giappone non segue i tradizionali alleati americani. Due interventi di violenza poco diplomatica di Sudafrica e Papua Nuova Guinea invitano la Casa Bianca a farsi da parte se non può aderire all'accordo e vengono accolti da applausi interminabili. A quel punto Paula Dobriansky riprende la parola per dire che sì gli Stati Uniti ora danno il consenso al documento finale.

Il muro del no eretto dalla delegazione Usa ha retto solo 25 minuti. Ma era stato incrinato dal sì a Kyoto espresso da 700 città e 25 stati americani e dall'affondo di Gore che, con il Nobel ancora in valigia, si era precipitato a Bali per dire che la colpa dello stallo è della Casa Bianca, che la trattativa deve andare avanti, che bisogna lasciare un grande spazio bianco al posto degli Stati Uniti e che quello spazio sarà riempito tra due anni dal nuovo presidente.

Non c'è stato bisogno di lasciare quello spazio bianco. Fallita in sede tecnica, la trattativa è stata risolta quando sono entrati in campo, direttamente sollecitati dai ministri dell'Ambiente, i capi dei governi. L'amministrazione Bush ha misurato l'impopolarità crescente della sua posizione, il declino dell'immagine degli Stati Uniti nel mondo, i voti che in casa repubblicana cominciano a passare ai candidati pro Kyoto, la pressione di oltre cento grandi aziende preoccupate di venire tagliate fuori dal mercato dell'energia pulita e dell'efficienza. Ed è stata costretta a cambiare posizione.

E' questo il dato centrale che emerge dalla conferenza di Bali. I numeri vengono dopo anche perché devono in larga parte essere ancora scritti. Gli scienziati dell'Ipcc hanno fatto la loro parte indicando la strada da seguire: meno 25-40 per cento di tagli alle emissioni serra al 2002, meno 50 al 2050. E' tanto? E' tantissimo. E' folle? E' quasi folle. Purtroppo è anche necessario e le misure concrete non possono che essere adottate man mano che si mettono a fuoco le soluzioni concrete.

A Bali è stata decisa la roadmap per evitare il disastro climatico. Entro il 2009 si raggiungerà l'accordo sulla seconda fase del protocollo di Kyoto, quella che comincia dopo il 2012. E, in maniera graduale, dovranno essere coinvolte le grandi economie che ancora non hanno preso impegni, a cominciare da Stati Uniti, Cina e India. Ci vogliono consenso, tecnologia, coerenza, finanziamenti. E' una strada ancora incerta, tortuosa, lenta. Ma a Bali si è capito che è l'unica possibile.

fonte: repubblica.it

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