lunedì 26 gennaio 2009

Il piano Ue per il dopo-Kyoto

È nell'America di Barack Obama che l'Europa cerca un alleato per trascinare il mondo nella terza rivoluzione industriale, quella dell'economia a basse emissioni di anidride carbonica. E per farlo il Vecchio Continente si dice pronto a mettere mano al portafoglio: entro il 2020 le nazioni industrializzate potrebbe "auto-tassarsi" per dare al resto del globo 30 miliardi all'anno da investire in energia pulita. Soldi da usare anche per bloccare la deforestazione tropicale entro 20 anni.

La proposta Ue in vista del delicato vertice Onu di Copenaghen - in calendario a dicembre - è ambiziosa e ignora alcune richieste avanzate nei mesi scorsi dal governo Berlusconi. Nel documento che la Commissione Ue approverà mercoledì (dovrà poi venire confermato dai governi dei 27) si parte da quello che è ormai il dogma della comunità scientifica: per salvare il mondo da sconvolgimenti climatici e cataclismi è necessario limitare l'innalzamento della temperatura globale a 2 gradi rispetto all'era preindustriale (soglia che a questi ritmi sarà superata nel 2050). Per questo lo scorso dicembre, dopo anni di duri negoziati, l'Europa si è dotata di una strategia per limitare le emissioni di CO2 del 20% entro il 2020, seguito unilaterale al Protocollo di Kyoto i cui effetti scadono nel 2012. Forte di questo impegno, l'Unione si presenta nella veste di leader mondiale nel negoziato Onu chiamato a dare seguito a Kyoto, questa volta cercando di coinvolgere i grandi inquinatori a prendere impegni vincolanti sui tagli alle emissioni di CO2: Usa, Cina, India e gli altri paesi emergenti.

L'offerta europea conferma che in caso di accordo mondiale i 27 alzeranno il loro obiettivo di tagli per il prossimo decennio dal 20 al 30%, in barba alle richieste del governo italiano di stralciare questa promessa. Uno scatto, comunque, che arriverà solo se le altre economie industrializzate faranno uno sforzo paragonabile al nostro e se i principali paesi in via di sviluppo (India, Cina, Brasile e Sudafrica, per citarne alcuni), "limiteranno la crescita delle loro emissioni dal 15 al 30% rispetto al trend attuale". A queste economie si chiede anche di dimezzare la deforestazione tropicale entro il 2020 e di bloccarla entro il 2030.

Sforzi che richiederanno "molti soldi". E proprio i meccanismi su come finanziare la nuova Kyoto per i più poveri occupano buona parte delle 15 pagine della proposta negoziale Ue: i 27 raccomandano di portare gli investimenti globali nella green economy a 175 miliardi di euro all'anno nel 2020 (la metà da reperire nei paesi in via di sviluppo), di cui 30 miliardi destinati ad aiutare le nazioni più povere. Tra le fonti possibili di finanziamento c'è anche l'introduzione di un balzello per ogni tonnellata di C02 emessa dai paesi sviluppati, una vera e propria tassa che nel tempo crescerebbe da uno a tre euro con un reddito iniziale di 13 miliardi nel 2013 per arrivare ai 28 miliardi nel 2020.

"Con l'arrivo di Obama gli Stati Uniti hanno fatto del cambiamento climatico una priorità", scrive Bruxelles indicando la necessità di siglare "un partenariato" con Washington e la creazione di "un mercato del CO2 transatlantico". E già in settimana gli emissari di Bruxelles saranno Oltreoceano per mostrare il piano Ue agli uomini di Obama. Si punta dunque sull'appoggio americano per convincere i paesi in via di sviluppo ad accettare target vincolanti nel taglio delle CO2 (se non faranno nulla saranno in grado di "annullare" tutti gli sforzi delle nazioni industrializzate): in caso di fallimento allora saranno proprio i più poveri a subire gli effetti del cambiamento climatico e a pagare per rimediare al disastro.

fonte: repubblica.it

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