martedì 23 marzo 2010

Dio e la CO2, i cambiamenti climatici visti con gli occhi dell'Africa. Un problema di comunicazione

L'Irin, l'agenzia stampa umanitaria dell'Onu, presenta i dati di un'inchiesta condotta in 10 Paesi africani dalla quale emerge che secondo l'opinione pubblica africana è Dio, e non le emissioni di gas serra, il responsabile del cambiamento climatico. La risposta che viene dal continente più povero e arretrato del pianeta è singolarmente simile a quel di cui è convinto la destra religiosa del più potente Paese del mondo, gli Usa. Però un americano come seconda causa del global warming non indicherebbe probabilmente la deforestazione, come fanno gli africani che evidenziano così che oltre al fatalismo e alla superstizione religiosa esiste anche una nuova consapevolezza e informazioni disponibili, anche se non sufficienti a permettere ,soprattutto alla maggioranza più povera e scarsamente istruita, di capire le complicate cause dei fenomeni ambientali che in Africa stanno stravolgendo le vite di milioni di persone.

Il sondaggio è stato condotto nel 2009, con interviste ad oltre 1.000 cittadini africani e a 200 decisori politici, opinion leader, giornalisti ed uomini d'affari in Etiopia, Ghana, Kenya, Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Senegal, Sudan, Sudafrica,Tanzania e Uganda.

Il Bbc world service trust, che in collaborazione con il British council, il 17 marzo ha lanciato a Nairobi, la capitale del Kenya, il progetto Africa talks climate, riporta quanto detto da una giovane donna senegalese: «Dio punisce la gente perché ci comportiamo male. Mostra la sua forza con gli uragani e le tempeste».

La direttrice del Bbc world service trust, Caroline Nursey, su Irin fa un parallelo tra questa mancanza di informazione sul cambiamento climatico e l'inadeguatezza della strategia dell'informazione sull'Aids: «All'inizio, le iniziative prese a livello mondiale per comunicare efficacemente sull'epidemia di Aids erano lente e spesso inadatte ai bisogni locali. I media hanno giocato un ruolo essenziale nella lotta contro l'Aids in Africa e dovrebbero essere sostenuti per poter fare lo stesso nel caso del cambiamento climatico»

Secondo il primo ministro del Kenya, Raila Odinga, l'Africa talks climate ed iniziative simili sono «utili per incoraggiare i governi e i media a trovare i modi per far comprendere agli africani perché soffrono degli effetti planetari del cambiamento climatico, che è il risultato delle emissioni di CO2 a scala mondiale, e non di una sorta di punizione divina. I cittadini comuni non lo sanno. Nono siamo riusciti ad informare i nostri cittadini sugli effetti e le cause del cambiamento climatico. Gli africani sono la maggiori vittime, e non colpevoli, e devono saperlo. Ma a questo stadio, importa poco sapere chi sia la vittima e chi il colpevole, perché tutti noi condividiamo la responsabilità di agire per attenuare gli effetti del cambiamento climatico».

«Il governo keniano ha a cuore di dare una risposta agli effetti del cambiamento climatico nel Paese e di aiutare i milioni di persone che sono in situazione di insicurezza alimentare a causa della siccità, della fame, delle inondazioni e di altre catastrofi naturali. Il governo kenyano ha, tra le altre iniziative, deciso di piantare 7,6 milioni di alberi entro il 2020, con il sostegno dei governi francesi e americani, al fine di far passare la copertura forestale dal 2 al 10%. Noi vogliamo che il Kenya accoglierà il prossimo summit della nazioni vulnerabili al cambiamento climatico prima dell'autunno 2010. Questo evento inciterà i leader degli altri Paesi ad aprire gli occhi e a comprendere che gli sforzi comuni e la collaborazione sono indispensabili alla riuscita, aprendo così la porta a dei negoziati più soddisfacenti durante il prossimo summit sul cambiamento climatico, che si terrà in Messico nell'ottobre 2010».

La premio Nobel per la pace Wangari Maathai ha chiesto ai leader politici di prendere iniziative immediate per ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici «mettendo in atto dei quadri giuridici ad hoc che favoriscano le politiche ambientali, che sono ancora inesistenti in numerosi Paesi, in particolare in Africa. Miliardi di dollari sono già stati investiti per far fronte agli effetti del cambiamento climatico sulle nostre popolazioni. Molti Paesi africani può darsi che non abbiano dei fondi da allocare, ma ci spetta di dimostrare dignità e fiducia, in modo che altri governi siano pronti a darci il loro sostegno. E io sono convinta che , lo faranno».

La Maathai ha ricordato che «I cambiamenti climatici colpiscono considerevolmente l'Africa» e che secondo la Banca mondiale 15 dei 20 Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico sono in Africa. «Dobbiamo trovare un buon metodo per far capire le ragioni di questa situazione. Trovare i mezzi più appropriati per colpire le persone e indirizzarli a loro nella propria lingua sono degli elementi chiave».

Odinga è d'accordo: «Dobbiamo semplificare i messaggi e far comprendere alla gente che le nostre azioni hanno un impatto sull'ambiente».

Sam Otieno, un ricercatore del Bbc World Service Trust, spiega ancora meglio la questione: «I discorsi sui problemi ambientali hanno la reputazione di non essere "vendibili". Dobbiamo superare questa credenza e comprendere che è necessario parlarne di più. Il cambiamento climatico è del tutto "vendibile", ma deve essere fatto oggetto di una comunicazione più semplice e più pertinente, in modo che i messaggi siano più accessibili».

fonte: greenreport.it

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