giovedì 25 marzo 2010

REGIONI AL BIVIO

Mai come in questa occasione le questioni ambientali sono al centro del dibattito che anima la campagna elettorale per le prossime elezioni regionali. Le opportunità sul territorio del resto non mancano. Si pensi, solo per fare qualche esempio, all’allarme smog in Pianura Padana e nelle grandi città, alla nuova centrale a carbone di Saline Joniche (Rc) e per restare in Calabria al grave dissesto idrogeologico, al consumo di suolo in Lombardia, all’emergenza rifiuti in Campania e nelle altre regioni del Centro-Sud o all’odissea dei pendolari nelle aree metropolitane. Ma un tema su tutti attraversa le 13 regioni italiane dove si vota: il ritorno del nucleare. Nonostante il silenzio pre-elettorale imposto dal governo Berlusconi, lo spauracchio dell’arrivo degli otto reattori sul territorio nazionale è ovviamente diventato oggetto del contendere tra i diversi schieramenti in corsa. Legambiente ha fatto la sua parte ponendo a tutti i candidati governatori la domanda “disponibile o contrario a ospitare una centrale nucleare sul territorio regionale?”.
Il risultato è stato quasi plebiscitario, con tutti i candidati indisponibili e tre sole eccezioni, tutte nel centrodestra: Cota in Piemonte, Biasotti in Liguria e Caldoro in Campania. Una domanda sorge spontanea: se il governo non riesce a convincere i suoi candidati, come pensa di convincere i cittadini italiani? In realtà, in questo scenario assolutamente omogeneo, alcuni distinguo si possono fare. Non basta dire «sono favorevole al nucleare ma non nella mia regione » come hanno fatto Formigoni in Lombardia, Zaia in Veneto, Polverini nel Lazio, Palese in Puglia e Scopelliti in Calabria. Si deve contrastare con tutti i mezzi il ritorno di una tecnologia costosa, inquinante, rischiosa e inutile per l’Italia. A tal proposito vale la pena ricordare che “solo” 11 Regioni, tutte governate dal centrosinistra, hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale contro la legge Sviluppo, che riapre la stagione atomica per il paese anche in assenza del via libera degli enti locali e utilizzando l’esercito. Ma non basta contrapporsi. Si deve anche favorire l’alternativa delle rinnovabili, dell’efficienza e dell’innovazione, come hanno fatto ad esempio Nichi Vendola in Puglia o la Bresso in Piemonte. E poi le Regioni dovranno “costringere” il governo a presentare all’Ue entro giugno la suddivisione regionale dell’obiettivo nazionale al 2020 del 17% di produzione da rinnovabili, anche per evitare le multe previste dal 20-20-20 europeo.
Quello di fine marzo sarà un voto davvero importante. Votiamo chi sostiene veramente la riconversione ecologica dell’economia italiana, non chi pensa (anche se non lo dice esplicitamente) all’atomo. Una tecnologia preistorica che garantirebbe affari a poche aziende energetiche, a discapito dell’economia diffusa delle rinnovabili e delle tasche della collettività.

fonte: lanuovaecologia.it

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