lunedì 29 marzo 2010

Un'etichetta energetica da rifare?

C’è qualcosa che non va negli standard per l’efficienza energetica dei prodotti adottati finora dai vari governi. Non c’è dubbio che sul mercato ora si possano scegliere elettrodomestici - piuttosto che automobili o case - meno energivori, questo però non sta evitando l’aumento dei consumi energetici: ne abbiamo solo rallentato la crescita, ma non abbiamo affatto invertito il trend ascendente. Il problema starebbe nella definizione di efficienza, data in primis con l’etichetta energetica: una definizione slegata dai consumi in termini assoluti che si rivelerebbe inefficace in una visone ampia. Ad esempio perché i consumi energetici aumentano assieme alla taglia alle funzionalità dei modelli, anche se questi sono “efficienti”. Con il sistema attuale , cioè, un televisore che consumi più di un altro perché con schermo più grande potrebbe comunque ricadere in una classe di efficienza più virtuosa.

A sollevare il problema è un documento (vedi allegato) pubblicato questa settimana dall’ European Council for an Energy Efficient Economy, ong-think tank con sede a Stoccolma impegnato sul tema dell’efficienza energetica. L’etichetta energetica come è concepita ora – vi si spiega – aiuta il consumatore ad individuare il meno energivoro in un range di prodotti simili, ma non evita che il consumo di energia in termini assoluti cresca nel tempo, dato che i modelli evolvono naturalmente verso maggiori funzionalità, prestazioni e taglie più grandi che comportano naturalmente consumi più alti.

La soluzione a questo proiblema? Secondo Eceee occorrerebbe introdurre standard per l’efficienza energetica progressivi. Ossia: i requisiti in termini di consumi per le varie classi di efficienza dovrebbero essere più severi all’aumentare della taglia, delle funzioni e delle prestazioni del prodotto. Per tornare all’esempio del televisore: uno da 54 pollici dovrebbe avere un consumo per pollice più basso rispetto ad uno da 28. “Se non si fa così – sottolineano gli autori del report – i prodotti saranno sì più efficienti, ma continueranno comunque a consumare più energia”.

Per massimizzare la riduzione dei consumi possibile, si legge nello studio, i nuovi standard andrebbero pensati secondo un approccio “olistico”, tenendo cioè conto di molti più fattori. Eceee propone un modello molto più complesso dell'attuale, una formula (battezzata IPALUCEMED) che considera diversi elementi: popolazione; capacità d’acquisto; propensione all’acquisto di beni di lusso; utilizzo del prodotto, carbon intensity ( ntensità in termini di emissioni della fonte energetica che fa funzionare il prodotto – si pensi alla differenza tra un auto a metano o a gasolio), efficienza energetica, impatti dell’intero processo produttivo e durata di vita del bene.

Questo approccio permetterebbe di definire valori minimi per il consumo totale di energia in un anno (detti sufficiency limit) per ogni categoria di prodotto. In relazione a questi andrebbero definiti i vari standard per l’efficienza. Cosa che, si capisce, penalizzerebbe relativamente i prodotti con maggiori prestazioni o taglie più grandi. Con l’approccio proposto dal report, insomma, si baderebbe all’effettivo impatto energetico-ambientale di ogni prodotto tenendo conto, come abbiamo detto, oltre che dei consumi, dell’intensità emissiva di questi e dell’intero ciclo di vita del prodotto. Un modo perché gli standard per l’efficienza energetica si traducano veramente in una riduzione delle emissioni.

fonte: qualenergia.it

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