Le attività umane ed il cambiamento climatico uccidono gli oceani ed i mari che circondano l'Europa, sono poche le aree rimaste integre. La soluzione c'è ed è l'istituzione di molte, ed ampie, aree protette. O meglio, ci sarebbe, perché i paesi comunitari sono in ritardo nella istituzione di aree marine protette e nella comprensione dello stato della biodiversità marina. Lo afferma l'Agenzia europea per l'ambiente (EEA), che avverte i paesi marittimi dell'Unione in un rapporto dal titolo esplicito: "Biodiversità marina, la vita nei mari è minacciata". L'EEA afferma che il cambiamento climatico, l'inquinamento, il sfruttamento sfrenato delle risorse ittiche, l'acidificazione e l'introduzione di specie aliene minacciano gli organismi marini. E, di conseguenza, anche le risorse che possiamo ottenere da essi.
I mali dei mari europei.
I mari sono un mondo ancora quasi inesplorato. "Gli organismi marini sono molti e ci è nota solo una piccola parte di essi", chiarisce il rapporto dell'EEA. Ecco perché, forse, solo il 10% delle aree protette globali sono marine. Questo malgrado gli oceani coprano i 2/3 della superficie terrestre e contengano il 90% della biomassa globale. Più della metà del territorio europeo è marino.
Il rapporto avverte che gli ecosistemi marini sono aggrediti dall'inquinamento (per esempio da sistemi fognari, inquinamento industriale o agricolo). Questo è un male cronico in special modo per il Mediterraneo. Il bacino vanta infatti la più alta concentrazione al mondo di catrame (38 milligrammi al metro cubo di catrame), 10 volte di più del mar del Giappone, 20 rispetto all'Atlantico.
Poi c'è la nostra predilezione per i piatti di pescato, che salta all'occhio nella rovina delle risorse ittiche. L'80% delle delle riserve comunitarie sono infatti ben oltre i limiti di pesca sostenibili. Un terzo delle popolazioni ittiche che sono state sovrasfruttate potrebbero essere spacciate: hanno superato la soglia oltre la quale era possibile un recupero.
A ciò si aggiunge il cambiamento climatico. Un mare sempre più caldo modifica l'habitat. Ed ecco quindi la minaccia delle temutissime specie aliene. Che non sono mostri extraterrestri ma specie esotiche che possono soppiantare quelle locali.
Ne sanno qualche cosa i pescatori di merluzzo ed aringhe del Mare del Nord. La diminuzione del plancton sta causando la migrazione dei pesci verso il Mare di Barents (per la gioia, invece, dei pescatori norvegesi). Ma anche il mare nostrum fa i conti con nuovi coloni. I banchi di posidonia sono in degrado, aggrediti da un'alga sfuggita per errore dall'acquario di Monaco negli anni Ottanta (la caulerpa taxifolia). Mentre la caulerpa racimosa, che è entrata nel Mediterraneo 50 anni fa, dagli anni Novanta si sta espandendo a spese della posidonia. Stefano Aliani, oceanografo e ricercatore presso il CNR di La Spezia, mostra un dato che parla chiaro: "Nel 1959 le coste laziali possedevano 7300 ettari di praterie di posidonia, nel 2005 ne rimanevano 2900".
Le indicazioni.
Gli ecosistemi marini forniscono ossigeno, catturano la CO2 dall'atmosfera, stabilizzano le coste, purificano i nostri rifiuti biologici, producono cibo e turismo. Bisogna quindi ridurre l'inquinamento e conservare habitat e specie, dice Aliani. "Secondo alcuni l'ultima grande estinzione di massa è già in corso e ne siamo stati la causa". Un problema ancora più serio da noi che in altri paesi: "Con l'avvento della genetica e della biologia molecolare, lo studio della biodiversità non è più 'low cost' e richiede finaziamenti dedicati. L'Italia, oltre alla perdita di biodiversità comune a tutto il globo, corre il rischio di perdere anche le competenze per accorgersene."
Il rapporto dell'EEA denuncia che la direttiva comunitaria (92/43/CEE del 1992) sulla conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche non è stata osservata. La direttiva prevede l'istituzione di aree per la conservazione della biodiversità del territorio dell'Unione Europea (il sistema "Natura 2000").
La direttiva impegna i paesi comunitari, con le scadenze nel 2010 dell'anno internazionale della Biodiversità e del 2012 dell'anno internazionale della Biodiversità marina istituiti dall'Onu, a creare un network di aree marine protette. Anche se i paesi europei cominciano a ridurre l'impatto di industria e agricoltura, la pressione umana resta altissima. Il rapporto conclude che bisogna agire con urgenza. La speranza c'è: nei siti protetti, e intorno ad essi, la biodiversità ritorna a crescere e le riserve ittiche si riprendono.
fonte: repubblica.it
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lunedì 22 marzo 2010
Specie aliene, caldo e pesca "A rischio la vita dei nostri mari"
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