I DANNI - Ma quella è storia passata. Ora all'orizzonte c'è quella della diga Gibe III che rilancia rischi enormi sulla testa delle popolazioni indigene della valle dell’Omo legati alla scomparsa del naturale ciclo delle piene. Danni esclusi però dalla Salini già nello scorso gennaio, in una dichiarazione pubblicata su Panorama: «Abbiamo previsto rilasci d’acqua controllati a beneficio dell’agricoltura e progettato l’invaso in modo che si riempia a una velocità compatibile con la quantità delle piogge. Questa è un’occasione per trasformare l’Etiopia in un esportatore di energia, se l’Italia non farà la sua parte la faranno i cinesi, che si sono già aggiudicati la costruzione della diga Gilgel Gibe IV». Prendere o lasciare quindi. Ma i rischi a cui vanno incontro le popolazioni indigene sono invece confermati in un dossier realizzato da International River, che studia e tutela i diritti delle popolazioni che vivono sugli argini dei fiumi: «Gli agricoltori locali piantano le colture lungo le rive del fiume dopo ogni piena annuale. Queste ridanno anche vita ai pascoli per il bestiame e segnano l’inizio della migrazione dei pesci. Se non si fermeranno i lavori e non si interverrà con adeguate misure di mitigazione, la diga provocherà carestie croniche, problemi di salute, dipendenza dagli aiuti umanitari, e un generale disfacimento dell’economia della regione e della stabilità del suo tessuto sociale, in un ambiente ecologicamente già di per sè molto fragile».
APPALTO E COSTRUZIONE - I lavori di costruzione sono iniziati nel 2006: la Salini ha aperto il cantiere in accordo con il governo etiope che ha approvato l'appalto a trattativa diretta, senza alcuna gara e quindi senza comparazione delle offerte. «Nella fretta di procedere - si legge ancora nel dossier di International River - il governo ha omesso di valutare tutti i rischi economici, tecnici e d’impatto
(dal sito della Bbc, clicca per ingrandire) |
AFFITTO DELLE TERRE - Oltre ad accarezzare l'idea di vendere energia elettrica al Kenya, nella Valle dell'Omo il governo etiope progetta di affittare vaste aree di terra indigena a compagnie e governi stranieri per coltivazioni agricole su larga scala, biocarburanti inclusi. Si tratta di circa 120mila ettari, un business colossale. E da qui arriva la spinta alla costruzione di Gibe III: per l'irrigazione verrà attinta acqua dalla diga. La maggior parte dei popoli colpiti non sa nulla del progetto e il governo sta lavorando contro le organizzazioni tribali a loro insaputa. L'anno scorso, nella parte meridionale del paese le autorità hanno sciolto almeno 41 associazioni locali rendendo impossibile il dialogo e lo scambio di informazioni sulla diga tra le varie comunità. «Per le tribù della valle dell'Omo - ha detto Stephen Corry, direttore generale di Survival International, associazioni che tutela le popolazioni indigene - la diga Gibe III sarà un cataclisma di ciclopiche proporzioni. Perderanno le loro terre e tutti i loro mezzi di sussistenza. Nessun ente degno di rispetto dovrebbe finanziare questo atroce progetto».
LA CAMPAGNA DI SURVIVAL E LA REPLICA DELLA SALINI - Per prevenire le conseguenze catastrofiche del progetto, Survival ha lanciato una campagna internazionale in cui chiede al Governo etiope di sospendere i lavori di costruzione e raccomanda ai possibili finanziatori - tra cui la Banca Africana di Sviluppo (AfDB), la Banca Europea per gli Investimenti (BEI), la Banca Mondiale e anche il Governo italiano attraverso la Cooperazione allo Sviluppo - di non sostenere il progetto. A questa iniziativa si sono associate la Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Counter Balance coalition, Friends of Lake Turkana e International Rivers. La Salini replica in modo netto: «Siamo di fronte all’ennesima azione irresponsabile e priva di fondamento tecnico e scientifico contro il progetto Gibe. Tutte le affermazioni critiche contenute nell’appello di Survival, infatti, per quanto possano apparire suggestive ai non addetti ai lavori, o sono false o sono frutto di elementari errori aritmetici e tecnici se non addirittura di macroscopici errori di fatto» (leggi il comunicato di Salini costruttori in versione integrale). Un fatto, che non rassicura, resta certo: le popolazione che vivono nella Valle dell'Omo, fino a quando hanno visto comparire le ruspe, sono rimaste all'oscuro della diga che incombe sulla loro testa.
fonte: corriere.it
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