mercoledì 19 settembre 2007

Il dipendente che parla male dell’azienda mette a rischio il posto

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza del 14 settembre 2007, n. 19232, ha stabilito che il comportamento del dipendente che parla male dell'azienda per cui lavora, facendo circolare notizie lesive dell’immagine della stessa, può comportare il licenziamento perché può miare il rapporto di fiducia con il dipendente.Fatto e dirittoUn’infermiera aveva "proferito espressioni offensive sulla capacità e sulla professionalità del personale, ed in particolare nei confronti della caposala del reparto di sterilizzazione e nei confronti della caposala del day hospital". Dopo essere stata allontanata, aveva cercato contatti con gli altri dipendenti al fine di "propalare notizie e valutazioni offensive nei confronti della società".Per dette ragioni l’azienda la aveva licenziata, ma la donna si era rivolta al Tribunale per essere riassunta.Il giudice aveva annullato il licenziamento e le aveva accordato anche il risarcimento del danno. Allo stesso modo, la Corte d'Appello di Milano aveva confermato la sentenza del primo giudice, ma aveva disposto una riduzione delle somme percepite a titolo di risarcimento del danno.L’azienda sanitaria è però ricorsa in Cassazione: la Corte ha ritenuto corretto il licenziamento ed ha rinviato la causa alla Corte territoriale, invitando il nuovo collegio ad accertare se tutti i comportamenti e le maldicenze della dipendente abbiano compromesso il rapporto di fiducia e discreditato all'esterno l'immagine della struttura sanitaria.Le ragioni dell’aziendaL’azienda non aveva accolto le giustificazioni della lavoratrice, che aveva divulgato che erano stati rinvenuti nella struttura ospedaliera medicinali ed attrezzature e supporti medico chirurgici scaduti, mobili e suppellettili non sterilizzati, nonché oggetti estranei alla struttura quali creme per mani di uso personale con cibi e bevande varie. Secondo l’azienda, infatti, tali notizie erano da considerarsi riservate ed la loro diffusione aveva leso l’immagine della struttura ospedaliera (particolarmente nota e di alto prestigio). Secondo l’azienda la lavoratrice avrebbe dovuto evitare quanto accaduto ed il suo inadempimento era da valutare con riguardo alla particolare natura della sua attività ed al grado di diligenza richiesta dalla sua mansione. La decisione della Corte di CassazioneLa Corte di Cassazione ha rilevato che "una valutazione globale del comportamento è assolutamente assente" e i singoli fatti addebitati "non sono stati in alcun modo valutati nell'ambito della particolare delicatezza della funzione assegnata (infermiera professionale in un ospedale), dello specifico settore in cui il lavoro si svolgeva (blocco operatorio), della elevata responsabilità che ne conseguiva e della fiducia che esigeva". Per la Cassazione, il primo giudice (come segnalato con l'appello) aveva sottovalutato il peso e la portata complessivi dei singoli comportamenti addebitati in quanto non li aveva valutati nel loro complesso e nella loro globalità, e non aveva tenuto conto della gravità del comportamento e della "continuazione" degli inadempimenti; ed il giudice d'appello non aveva preso in esame la censura formulata nei confronti di questa errata valutazione. Al riguardo la Cassazione ha richiamato la Sent. della Corte di Cass. 23 marzo 20206 n. 6454 in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo: allorquando siano contestati al dipendente diversi episodi, il giudice di merito non deve valutarli separatamente, bensì globalmente, al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dipendente.Quindi, secondo la Cassazione, la Corte d'appello non ha dato "ragione alcuna della ritenuta assenza di danno - che la divulgazione (anche nei confronti dello stesso personale dell'azienda, nonchè per la diffusiva potenzialità verso l'esterno) della notizia assumeva per l'immagine di una struttura ospedaliera". Per questo, conclude la sentenza, il caso dovrà essere rivisto dalla Corte d'appello.Inoltre la Cassazione ha ricordato (Cass. 10 giugno 2005 n. 12263) che, nel giudicare la violazione disciplinare, bisogna valutare se questa abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della permanenza del rapporto di lavoro e quindi costituisca giusta causa di licenziamento: al riguardo va tenuto presente che l'intensità della fiducia richiesta è differenziata a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell'oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono, e che il fatto concreto deve essere valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, ai fini in esame, alla sua potenzialità di negazione della futura correttezza dell'adempimento.
Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sentenza del 14 settembre 2007, n. 19232
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fonte: newsfood.com

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