giovedì 27 settembre 2007

Troppo smog a Pechino lo stadio non si vede

Lo ha disegnato per primo Ai Weiwei, estroso pittore della pop-art cinese. Ora rinnega la sua creatura e diserterà la cerimonia di apertura delle Olimpiadi. A realizzare il suo progetto sono stati gli architetti svizzeri di fama mondiale, Herzog & de Meuron. I telespettatori occidentali lo conoscono come un simbolo dei Giochi di Pechino 2008. È il nuovo stadio olimpico, elegante struttura in tubi di acciaio intrecciati: il "nido d'uccello". Magnifico. Se soltanto si riuscisse a vederlo. Sono appostato a poche centinaia di metri dallo stadio, a scrutare una nebbia marrone. È lì davanti, ma più che vederlo ne indovino la sagoma. Le foto che hanno fatto il giro del mondo sono quasi tutte ritoccate, o modelli creati su computer. Ammirare il "nido d'uccello" nitido e luccicante, su sfondo di cielo azzurro, è un sogno. Questo gioiello di design è quasi sempre invisibile. La città intera è un carosello di scavatrici, pale meccaniche, gru e betoniere mobilitate per finire al più presto le altre opere dei cantieri olimpici. Sollevano vortici di polveri tossiche. Si mescolano con lo smog delle auto e delle centrali a carbone. La nube che avvolge questo stadio incombe su tutta Pechino, e tra un anno potrebbe rendere invisibili le Olimpiadi, cancellarle in un inferno di fumo. "Con il conto alle rovescia verso i Giochi - dice Taige Li, giornalista militante della causa ambientale - l'inquinamento è la più grossa preoccupazione degli organizzatori. Il Comitato olimpico internazionale ha avvertito che la pessima qualità dell'aria potrebbe costringere a cancellare alcune gare di resistenza. Il governo sta facendo tutto quello che può: ha sperimentato la circolazione a targhe alterne; molto prima che inizino i Giochi i cantieri edili saranno tutti chiusi. Ma davvero questa emergenza è un problema che si limita al successo delle Olimpiadi?".
La risposta alla sua domanda è arrivata da molto lontano. Agli antipodi dal magma frenetico di Pechino c'è un osservatorio artico isolato in mezzo ai ghiacci. Il professor Kim Holmen, che dirige l'Istituto polare della Norvegia, sul fiordo montagnoso dell'isola di Spittsenberg ha fatto una terribile scoperta. Nell'aria del Polo Nord c'è anidride carbonica che arriva dalle centrali elettriche cinesi. La nube di Pechino si dilata, trasmigra nell'atmosfera. Qualsiasi cosa facciano i Paesi occidentali per ridurre le emissioni di CO2, gli sforzi saranno inutili se non si vince la guerra all'inquinamento in Cina. A pochi chilometri dal "nido d'uccello", un'altra meraviglia del design è quasi ultimata. È il nuovo terminal dell'aeroporto intercontinentale di Pechino. Ospiterà un traffico di 62 milioni di persone all'anno. Un'opera faraonica, con le nuove piste attrezzate per far decollare un aereo ogni 30 secondi, compreso l'Airbus 380 da 500 passeggeri. Il terminal è un capolavoro dell'architetto inglese Sir Norman Foster. Anche questo è ispirato alla tradizione cinese: visto dall'alto, il tetto ha la forma di un dragone. Ma la maledizione del "nido d'uccello" colpisce anche il dragone, quasi sempre invisibile dagli aerei che atterrano. Volando su Pechino, già un'ora prima dell'atterraggio la superficie terrestre sparisce sotto una spessa coperta grigio-sporco. Il parto di Pechino olimpica - nel cuore di una metropoli larga quanto tutto il Belgio - rivela tutto il meglio e tutto il peggio della Cina. Da una parte l'ambizione e l'efficienza, la produttività e la grandeur; dall'altra un'apocalisse ambientale che non ha precedenti nella storia dello sviluppo industriale. Nell'aria di Pechino la concentrazione di polveri tossiche è sei volte superiore a New York. Il conto alla rovescia verso i Giochi apre una sfida tra due Cine. C'è una minoranza che vede la catastrofe imminente e chiede svolte radicali. E c'è l´altra Cina, quella degli ingegneri alla testa del partito, convinta che basterà superare la prova dei Giochi con qualche misura drastica e temporanea, un mix di decisionismo e tecnocrazia. I dirigenti cinesi sanno che in due o tre decenni le città dovranno assorbire 400 milioni di immigrati dalle campagne, più dell'intera popolazione nordamericana. Ogni giorno si immatricolano 14.000 vetture nuove, entro una dozzina d'anni la Cina ne avrà 130 milioni. La nube maledetta non incombe solo su Pechino. A ore di autostrada dalla capitale, lo Shanxi è il cuore dell'industria del carbone: in quella provincia i bambini arrivano la mattina a scuola con le facce già nere di fuliggine. La Banca mondiale ha calcolato che lo smog provoca 750.000 morti premature ogni anno. Lo stesso ministero della Sanità cinese riconosce che l'aria inquinata ha provocato un aumento del 19% dei morti di cancro nelle città in soli due anni. 190 milioni di cinesi soffrono di malattie procurate dall'acqua contaminata. Per la deforestazione, un quarto della nazione è ormai coperta da superfici aride e incoltivabili, e il deserto del Gobi si espande di 2.500 km quadrati all'anno. La siccità che asseta Pechino costringe a progetti sempre più titanici, come i grandi canali che dirotteranno interi fiumi dal sud al nord della Cina. Shi Qianyi, scienziata all'Università Tsinghua, avverte: "Presto dovremo pensare a spostare la capitale altrove, molto lontano da qui". Per la prima volta il presidente Hu Jintao ha riconosciuto che "anche un paese emergente come la Cina deve fare la sua parte per affrontare il cambiamento climatico". È una novità significativa, per un leader che ha sempre rifiutato i limiti vincolanti del trattato di Kyoto. Dietro l'apertura di Hu c'è lo spettro dell'instabilità sociale. Questa primavera la grande città costiera di Xiamen è stata paralizzata dalle manifestazioni contro la costruzione di un impianto petrolchimico. La ribellione, filmata e diffusa attraverso YouTube, ha avuto risonanza in tutto il Paese. La polizia censisce più di 50.000 proteste all'anno contro l'inquinamento, una media di mille ogni settimana. La battaglia tra le due anime della Cina è appena iniziata. Un pezzo della classe dirigente e dello stesso capitalismo locale crede nelle tecnologie verdi. Tra gli uomini più ricchi del paese c'è Shi Zhengrong, che ha costruito la sua fortuna con la Suntech Power Holdings, uno dei maggiori produttori mondiali di pannelli solari. Ma un'altra anima la pensa come Liu Qi, il segretario del Pc della città di Pechino (nonché capo del comitato olimpico) che ha respinto l'ipotesi di chiudere tutte le fabbriche della metropoli due mesi prima dei Giochi. La presa di posizione di Liu la dice lunga sugli interessi toccati, sulla natura delle resistenze nella battaglia contro l'inquinamento. La nomenklatura comunista è parte contraente di un patto con la nuova borghesia capitalistica cinese: la continuazione della crescita economica secondo il modello fin qui seguito, l'alto livello dei profitti, la possibilità di investire e produrre senza impacci, ne sono le clausole implicite. Un leader delle Ong ambientaliste nate nella società civile, Ma Jun, non ha dubbi che l'ostacolo è politico: "In una democrazia, un governo che avvelena i fiumi e rende l'aria irrespirabile in nome della crescita economica, può essere cacciato e sostituito. Da noi no". È il pensiero che tormenta Ai Weiwei, l'artista che tracciò il primo schizzo del "nido 'uccello". Disconoscendo la paternità di quel monumento, ha stracciato l'invito all'inaugurazione dei Giochi e si è detto "disgustato" dal regime del partito unico. "Per favore - ha chiesto al governo - dimenticate che sono esistito".

fonte: repubblica.it

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