giovedì 13 settembre 2007

Spettanza indennità di amministrazione dipendenti Inpdap

Con sentenza del 24 luglio 2007 n. 4133, il Consiglio di Stato ha stabilito che è legittimo il riassorbimento dell'indennità di amministrazione dell'assegno ad personam con gli aumenti economici successivi (a qualunque titolo intervenuti) percepita da alcuni dipendenti Inpdap provenienti da altri enti della P.A.Inoltre il Consiglio di Stato ha ritenuto che il compenso corrispondente a 48 ore di straordinario non può essere considerato voce stipendiale e non può, quindi, assumere rilievo ai fini dell'assegno personale riassorbibile.
Fatto e dirittoUn gruppo di dipendenti dell'INPDAP proponeva ricorso davanti al Tar del Lazio per l'accertamento del diritto di continuare a percepire il compenso mensile, pari a 48 ore di straordinario, già loro spettante negli enti di provenienza in modo fisso e continuativo, nonché l'indennità di amministrazione (anche chiamata 'indennità Tesoro'), con conseguente condanna dell'Inpdap stesso al pagamento di tali somme a far tempo dall'ingresso dei ricorrenti medesimi presso l'Inpdap stesso, oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria. I ricorrenti erano dipendenti dei disciolti enti di previdenza e delle Casse pensioni a suo tempo amministrate dal Ministero del tesoro, Direzione generale degli Istituti di previdenza che avevano goduto, dall'inizio del loro rapporto d'impiego e per un certo periodo di tempo, di una indennità, liquidata mensilmente in busta - paga, pari al compenso per 48 ore di lavoro straordinario (tale indennità, uguale per tutti, prescindeva dall'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa straordinaria e dalla misura in cui essa fosse eventualmente prestata, tanto da esser corrisposta anche nei periodi di ferie annuali o di congedo per infermità), nonché anche la c.d. indennità Tesoro, almeno fino al loro definitivo inquadramento nei ruoli dell'INPDAP, quando essa fu trasformata in un assegno ad personam riassorbibile.I suddetti dipendenti facevano inoltre presente che, a seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche, fu prevista la conferma dei trattamenti economici fondamentali ed accessori già in godimento, aventi natura retributiva ordinaria o corrisposti con carattere di generalità da ciascuna P.A. o ente datore di lavoro e che siffatta scelta fu poi ribadita, per il personale dei disciolti enti confluiti nell'INPDAP, perlomeno fino alla data d'approvazione del Regolamento del personale e della relativa dotazione organica. Il ricorso al TARNon avendo l'ente intimato più riconosciuto la prima indennità dalla data d'applicazione ai ricorrenti del trattamento per i dipendenti degli enti pubblici non economici, nonché a causa del riassorbimento della seconda, tali dipendenti adivano allora il Tar, con il menzionato ricorso, per l'accertamento del loro diritto ad ottenere dette indennità e per la condanna dell'INPDAP al relativo pagamento, con interessi e rivalutazione monetaria. Ma le loro richiesta restano insoddisfatte.Le ragioni dell'Inpdap resistenteI dipendenti si rivolgevano allora al Consiglio di Stato.Ma l'INPDAP eccepiva la prescrizione per i periodi precedenti al quinquennio dalla notificazione del gravame e quindi la tardività della domanda relativa alla c.d. indennità Tesoro (con conseguente decadenza della relativa azione, in quanto la cessazione definitiva del precedente assetto giuridico e retributivo della posizione di lavoro dei ricorrenti) e all'altra indennità invocata (48 ore di straordinario) con l'infondata pretesa relativa alle 48 ore di straordinario, non spettante trattandosi di indennità commisurata al lavoro straordinario e connessa all'effettiva prestazione occasionale e discontinua, e, comunque, nel rispetto del tetto massimo consentito e previamente autorizzato.L'Inpdap ricorrendo ha quindi chiesto la riforma della sentenza con riguardo alla tardività della domanda e che comunque le delibere in questione sarebbero di solo inquadramento giuridico, senza alcun riferimento allo status economico.La decisione del Consiglio di StatoSecondo il Consiglio di Stato per quanto attiene alla indennità 'tesoro' o di 'amministrazione' la questione della asserita mancata impugnazione delle deliberazioni dell'INPDAP di inquadramento giuridico dei ricorrenti non assume rilievo in relazione all'accertamento di un diritto di carattere patrimoniale, azionabile anche in assenza di una tempestiva contestazione degli atti di inquadramento giuridico; non vi è, quindi, necessità di accertare se alcuni dei ricorrenti abbiano affettivamente impugnato le suddette deliberazioni di inquadramento, né di distinguere le posizioni di chi le abbia impugnate e chi non lo abbia fatto.Quanto al merito della questione, con il ricorso in appello si sostiene che l'indennità di amministrazione non sarebbe stata riassorbita, ma 'arbitrariamente soppressa', in violazione dell'art. 6, comma 2, del D. Dgs. 30 giugno 1994 n. 479, se si considera che l'INPDAP avrebbe interpretato la locuzione 'riassorbibile con qualsiasi futuro miglioramento' in modo talmente 'eccessivo e generalizzato' da considerare i miglioramenti dovuti alla contrattazione collettiva e quelli dovuti alla progressione individuale di carriera.Pertanto Il riassorbimento dell'assegno ad personam con gli aumenti economici successivi (a qualunque titolo intervenuti) non può che essere considerato legittimo.Tale riassorbimento non comporta peraltro alcuna diminuzione dello stipendio in godimento, e garantisce identità di trattamento dei dipendenti dell'INPDAP.Inoltre la salvaguardia del diritto al trattamento economico - in godimento presso l'amministrazione cedente, alla data del trasferimento - non comporta la conservazione dello stesso trattamento nel successivo corso del rapporto alle dipendenze dell'amministrazione cessionaria, ed in particolare non preclude il riassorbimento, per effetto di miglioramenti economici futuri.Passando al merito della pretesa che gli appellanti vorrebbero che il compenso corrispondente a 48 ore di straordinario fosse considerato voce stipendiale in ragione della fissità e continuità della sua corresponsione il Consiglio di Stato ha ritenuto che lo stesso non può essere considerato voce stipendiale e non può, quindi, assumere rilievo ai fini dell'assegno personale riassorbibile.E' quindi corretta la determinazione dell'INPDAP di non considerare sin dalla data di inquadramento il compenso in esame per l'eventuale pregresso periodo residuo che sarebbe comunque prescritto per il periodo precedente a quello di 5 anni antecedenti la notificazione del ricorso di primo grado, non risultando altri atti interruttivi della prescrizione, né potendo essere ritenuta tale l'eventuale impugnazione degli atti di inquadramento per le considerazioni già svolte in precedenza circa la rilevanza ai soli fini giuridici di tali provvedimenti.Consiglio di Stato, sentenza 24 luglio 2007 n. 4133REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANON.4133/2007Reg.Dec.N. 9542 Reg.Ric.ANNO 2006Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguenteDECISIONEsul ricorso in appello n. 9542/2006 proposto da LEPORE CARMELA, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Aurelio Leone e Roberto Maiorana con domicilio eletto in Roma viale Angelico n. 97, presso il loro studio; controI.N.P.D.A.P., rappresentato e difeso dall'Avv. Paola Massafra con domicilio eletto in Roma via S. Croce in Gerusalemme n. 55, presso l'Avvocatura Centrale INPDAP;per l'annullamentodella sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sede di Roma, Sez. III ter n. 6937/2005;Visto il ricorso con i relativi allegati;Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Istituto intimato;Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;Visti gli atti tutti della causa;Alla pubblica udienza dell'8 maggio 2007 relatore il Consigliere Manfredo Atzeni. Uditi gli avv.ti Leone e Massafra;Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:FATTO1. Un gruppo di dipendenti dell'INPDAP proponeva ricorso davanti al Tar del Lazio per l'accertamento del diritto di continuare a percepire il compenso mensile, pari a 48 ore di straordinario, già loro spettante negli enti di provenienza in modo fisso e continuativo, nonché l'indennità d'amministrazione (c.d. 'indennità Tesoro'), con conseguente condanna dell'ente intimato al pagamento di tali somme a far tempo dall'ingresso dei ricorrenti medesimi presso l'INPDAP, oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria.I ricorrenti premettevano d'esser tutti dipendenti dei disciolti enti di previdenza e delle Casse pensioni a suo tempo amministrate dal Ministero del tesoro, Direzione generale degli Istituti di previdenza; dichiaravano d'aver goduto, dall'inizio del loro rapporto d'impiego e fino a tutto il 1992, di un'indennità, liquidata mensilmente in busta - paga, pari al compenso per 48 ore di lavoro straordinario (tale indennità, uguale per tutti, prescindeva dall'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa straordinaria e dalla misura in cui essa fosse eventualmente prestata, tanto da esser corrisposta anche nei periodi di ferie annuali o di congedo per infermità); esponevano d'aver sempre percepito, in costanza del precedente rapporto, pure la c.d. 'indennità Tesoro', almeno fino al loro definitivo inquadramento nei ruoli dell'INPDAP, quando essa fu trasformata in un assegno ad personam riassorbibile.Facevano inoltre presente che a seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche, fu prevista la conferma dei trattamenti economici fondamentali ed accessori già in godimento, aventi natura retributiva ordinaria o corrisposti con carattere di generalità da ciascuna P.A. o ente datore di lavoro e che siffatta scelta fu poi ribadita, per il personale dei disciolti enti confluiti nell'INPDAP, dall'art. 6 del Dlg 30 giugno 1994 n. 479, perlomeno fino alla data d'approvazione del Regolamento del personale e della relativa dotazione organica. Non avendo l'ente intimato più riconosciuto la prima indennità a far tempo dal 18 febbraio 1993 - data d'applicazione ai ricorrenti del trattamento per i dipendenti degli enti pubblici non economici -, nonché a causa del riassorbimento della seconda, tali dipendenti adivano allora il Tar, con il menzionato ricorso, per l'accertamento del loro diritto ad ottenere dette indennità e per la condanna dell'INPDAP al relativo pagamento, con interessi e rivalutazione monetaria. In via subordinata, i ricorrenti proponevano la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 76 e 97 Cost., dell'art. 2, c. 1, lett. o) della l. 23 ottobre 1992 n. 421, dell'art. 6 del Dlg 479/1994 e dell'art. 2, c. 2-bis del Dlg 3 febbraio 1993 n. 29. Resisteva in giudizio l'intimato INPDAP, il quale eccepiva la prescrizione per i periodi precedenti al quinquennio dalla notificazione del gravame, l'inammissibilità di questo per difetto di giurisdizione relativamente ai periodi successivi al 30 giugno 1998 - giusta quanto stabilito dall'art. 45, c. 17 del Dlg 31 marzo 1998 n. 80 -, la tardività dell'azione per l'accertamento della c.d. 'indennità Tesoro' e, nel merito, l'infondatezza della pretesa attorea. Con l'impugnata sentenza il Tar del Lazio ha in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto il ricorso proposto dai ricorrenti, ora appellanti di cui in epigrafe.In particolare, il TAR ha dichiarato: - la tardività della domanda relativa alla c.d. indennità Tesoro, con conseguente decadenza della relativa azione, in quanto la cessazione definitiva del precedente assetto giuridico e retributivo della posizione di lavoro dei ricorrenti, è avvenuta con i provvedimenti del loro inquadramento presso l'INPDAP (deliberazioni n. 374/1996 e 534/1997), e nessuna contestazione hanno mosso gli istanti nei riguardi dell'efficacia conformativa negativa di tali deliberazioni; - il difetto di giurisdizione per tutti i periodi in contestazione dell'altra indennità invocata (48 ore di straordinario), successivi al 30 giugno 1998, o meglio per le relative somme maturate a far tempo da detta data, trattandosi di emolumenti di per sé idonei ad essere percetti sine die (art. 45, comma 17, del D. Lgs. 80/1998, confermato dall'art. 69, comma 7, del D.Lgs 30 marzo 2001 n. 165); - la prescrizione, ex art. 2948, n. 4, c.c., degli emolumenti per il periodo antecedente al quinquennio prima della notificazione del ricorso esaminato; - l'infondatezza della pretesa relativa alle 48 ore di straordinario, trattandosi di indennità commisurata al lavoro straordinario e connessa all'effettiva prestazione occasionale e discontinua, e, comunque, nel rispetto del tetto massimo consentito e previamente autorizzato.Con il ricorso in appello in epigrafe viene chiesta la riforma della sentenza impugnata e, in particolare, si sostiene, con riguardo alla tardività della domanda della c.d. indennità Tesoro, che non sarebbe stata fatta acquiescenza agli atti di inquadramento, tempestivamente impugnati e che comunque le delibere in questione sarebbero di solo inquadramento giuridico, senza alcun riferimento allo status economico e senza quindi che la eventuale mancata impugnazione possa pregiudicare l'azione per l'accertamento di un diritto; viene quindi chiesto il riconoscimento del diritto alla percezione della c.d. indennità Tesoro, che l'Amministrazione non poteva sopprimere senza violare il divieto di reformatio in pejus.In relazione all'altra indennità, superando le statuizioni della sentenza impugnata relative alla giurisdizione ed alla prescrizione, nel ricorso in appello si insiste per l'accertamento del diritto a percepire l'indennità mensile commisurata a 48 ore di straordinario, che, come attestano le modalità della sua corresponsione (fissa e continuativa), farebbe parte della struttura retributiva dei dipendenti.L'INPDAP si è costituito in giudizio, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.All'odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.DIRITTO1. La materia del contendere si compendia nella pretesa, degli originari ricorrenti ed attuali appellanti, che due voci di retribuzione, il compenso mensile pari a 48 ore di straordinario e la c.d. indennità 'tesoro' o di Amministrazione, in quanto aventi carattere fisso e continuativo presso l'Amministrazione di provenienza, prima di essere incardinati nell'INPDAP, siano 'conservate e aggiunte, senza assorbimento, al trattamento economico spettante comunque in via di delegificazione e di contrattualizzazione collettiva e sin dal loro passaggio all'INPDAP'.Tale essendo la domanda introduttiva in primo grado, - imprescindibile riferimento nel definire l'interesse ad agire in relazione alle 'causae petendi' immutabilmente deducibili -, si può in sostanza ritenere che i ricorrenti, tenuto anche conto della loro esposizione in fatto, vogliono in primo luogo che sia affermato il loro diritto a percepire, senza assorbimento, un trattamento economico aggiuntivo, rispetto agli altri dipendenti dell'INPDAP, quale che ne sia la provenienza nel confluire nel relativo ruolo, evitando l'assorbimento e quindi la 'fissità relativa' del trattamento economico in godimento, e maturando in tal modo, nel corso del servizio svolto presso l'Ente di nuova incardinazione, anche gli aumenti successivamente previsti dalla contrattazione collettiva.2. Con riferimento alla voce retributiva in contestazione (c.d. indennità 'tesoro' o di 'amministrazione'), si rileva come la questione della asserita mancata impugnazione delle deliberazioni dell'INPDAP di inquadramento giuridico dei ricorrenti non assume rilievo in relazione all'accertamento di un diritto di carattere patrimoniale, azionabile anche in assenza di una tempestiva contestazione degli atti di inquadramento giuridico.Non vi è, quindi, necessità di accertare se alcuni dei ricorrenti abbiano affettivamente impugnato le suddette deliberazioni di inquadramento, né di distinguere le posizioni di chi le abbia impugnate e chi non lo abbia fatto.3. Passando al merito della questione, con il ricorso in appello si sostiene che l'indennità di amministrazione non sarebbe stata riassorbita, ma 'arbitrariamente soppressa', in violazione dell'art. 6, comma 2, del D. Dgs. 30 giugno 1994 n. 479, se si considera che l'INPDAP avrebbe interpretato la locuzione 'riassorbibile con qualsiasi futuro miglioramento' in modo talmente 'eccessivo e generalizzato' da considerare i miglioramenti dovuti alla contrattazione collettiva e quelli dovuti alla progressione individuale di carriera.Anzitutto va evidenziato come non sussista la dedotta violazione del divieto di reformatio in pejus, in quanto questa deve essere valutata non in rapporto ad una singola voce retributiva, ma al complesso della retribuzione maturata dal dipendente pubblico in esito al trasferimento (sotto questo profilo non pare pertinente il richiamo alla cessione di contratto ex art. 1406 c.c., essendo la materia disciplinata in modo specifico dall'art. 6 comma 2 del D. Lgs. n. 479/1994), e non è stato dimostrato che la retribuzione complessiva goduta presso l'INPDAP fosse inferiore a quella goduta presso l'Amministrazione di provenienza, prima del trasferimento.La disciplina attuata dall'INPDAP è poi conforme alla previsione dettata con il menzionato art. 6, comma 2, del D. Lgs. n. 479/1994, secondo la quale, fino all'inquadramento, deve essere mantenuto il trattamento economico di provenienza, escluse quelle voci che, come quella in esame, non possono farsi rientrare tra le erogazioni comunque ancora applicabili. Successivamente all'inquadramento, la stessa norma prevede l'attribuzione di un 'assegno personale, pensionabile e riassorbibile con qualsiasi futuro miglioramento, pari alla differenza tra il predetto trattamento economico e quello spettante in qualità di dipendente dell'Istituto, ove il trattamento economico di provenienza risulti superiore'.Alla luce di tale previsione, il disposto riassorbimento dell'assegno ad personam con gli aumenti economici successivi (a qualunque titolo intervenuti) non può che essere considerato legittimo. Oltretutto, il riassorbimento non comporta alcuna diminuzione dello stipendio in godimento, e garantisce identità di trattamento dei dipendenti dell'INPDAP, il quale trattamento, diversamente, risulterebbe sperequato a favore dei dipendenti di nuovo inquadramento, per i quali l'assegno riassorbibile ad personam verrebbe ad assumere una connotazione diversa da quella sua propria, cioè di anticipazione di miglioramenti economici che, per gli altri dipendenti, si conseguono nel tempo, ma che è destinata ad avere termine con la conseguita parità di trattamento.Del resto, anche la Cassazione, con specifico riguardo al trasferimento del personale delle direzioni provinciali del tesoro all'Inpdap, ha affermato che il d.P.R. n. 38 del 1998, alla stregua del quale è stato previsto il trasferimento di tale personale all'Inpdap, previa convenzione organizzativa con il Ministero, mediante accordo di mobilità ai sensi dell'art. 35, comma 8, del d.lg. n. 29 del 1993 e successive modifiche, nulla può aggiungere, per il diverso grado delle fonti, alla fonte normativa primaria - qual'è il d.lg. n. 479 del 1994, emanato in attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32 della l. n. 537 del 1993. Conseguentemente, la previsione della riassorbibilità dell'indennità di amministrazione costituisce un necessario adeguamento alle previsioni della fonte primaria, cui non è possibile derogare neanche in sede di contrattazione collettiva (Cassazione civile, sez. lav., 3 ottobre 2006, n. 21293).La salvaguardia del diritto al trattamento economico - in godimento presso l'amministrazione cedente, alla data del trasferimento - non comporta la conservazione dello stesso trattamento nel successivo corso del rapporto alle dipendenze dell'amministrazione cessionaria, ed in particolare non preclude il riassorbimento, per effetto di miglioramenti economici futuri (Cassazione civile, sez. lav., 15 febbraio 2006, n. 3334, sempre con riferimento al passaggio dal Ministero del tesoro all'INPDAP).Sotto questo profilo, sono manifestamente infondate le dedotte eccezioni di costituzionalità, dal momento che l'attuato riassorbimento realizza pienamente il principio della giusta retribuzione e quello di buon andamento amministrativo, a motivo della uniformità del trattamento economico a parità di quantità e qualità di lavoro all'interno dello stesso Istituto.A dimostrazione della manifesta infondatezza della q.l.c., giova richiamare l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui, in tema di procedure volontarie di mobilità nel pubblico impiego privatizzato, in difetto di disposizioni speciali che espressamente, e specificamente, definiscano un determinato trattamento retributivo come non riassorbibile, si applica il principio generale della riassorbibilità degli assegni 'ad personam' attribuiti al fine di rispettare il divieto di 'reformatio in peius' del trattamento economico acquisito (Cassazione civile, sez. lav., 02 febbraio 2007, n. 2265).Nel caso di specie, anche prescindendo dall'individuazione di un siffatto principio generale all'epoca dei trasferimenti dei dipendenti presso l'INPDAP, il richiamo art. 6 del D. Lgs. n. 479/94 ha previsto espressamente la riassorbibilità dell'assegno e ciò preclude l'accoglimento delle pretese dei dipendenti.4. Con riguardo alla pretesa relativa al compenso corrispondente a 48 ore di straordinario, si rileva innanzitutto come la declaratoria del Tar circa il difetto di giurisdizione per tutti i periodi in contestazione successivi al 30 giugno 1998, o meglio per le relative somme maturate a far tempo da detta data, sia conforme alla giurisprudenza della Cassazione.E' stato, infatti, affermato che le controversie concernenti il rapporto di lavoro del personale in servizio presso la soppressa direzione generale degli istituti di previdenza del ministero del Tesoro, trasferito all'Inpdap ai sensi dell'art. 6 d.lg. 479/94, appartengono, in virtù dell'art. 69, comma 7, d.lg. 165 del 2001 (in cui è stato riprodotto il previgente art. 45, comma 17, d.lg. 80 del 1998), alla giurisdizione del g.o. se hanno ad oggetto il diritto a compensi (nella specie per indennità di fine rapporto e per lavoro straordinario) maturate successivamente al 30 giugno 1998; mentre le controversie aventi ad oggetto il pagamento di spettanze economiche maturate dall'1 gennaio 1993 al 30 giugno 1998 appartengono alla giurisdizione esclusiva del g.a. (Cassazione civile, sez. un., 18 aprile 2003, n. 6343; sez. un., 31 gennaio 2006, n. 2054).Non assume rilievo la questione dell'effettiva proposizione del ricorso entro il 15 settembre 2000, in quanto il Tar nell'esaminare nel merito la pretesa dei ricorrenti ha evidentemente ritenuto tempestivamente proposto il ricorso relativo all'indennità per le ore di straordinario, limitando quindi la declaratoria di difetto di giurisdizione alle sole somme maturate dopo il 30 giugno 1998.5. Passando anche in questo caso al merito della pretesa, si rileva che gli appellanti vorrebbero che il compenso corrispondente a 48 ore di straordinario fosse considerato voce stipendiale in ragione della fissità e continuità della sua corresponsione.Al riguardo, si ritiene invece che lo stesso non può essere considerato voce stipendiale e non può, quindi, assumere rilievo ai fini dell'assegno personale riassorbibile previsto dal comma 2 dell'art. 6 del D. Lgs. n. 479/1994, né può essere 'salvaguardato' dall'art. 2 lett. o) della legge n. 421/1992, il quale prevede che 'siano fatti salvi i trattamenti economici fondamentali ed accessori in godimento aventi natura retributiva ordinaria o corrisposti con carattere di generalità per ciascuna amministrazione o ente'.In primo luogo, si osserva che il compenso in esame, in assenza di allegazione della fonte normativa che ne individui la particolare ragione della sua corresponsione, non può che essere considerato come retribuzione collegata a prestazione di servizio di carattere 'non ordinario' (questo è palesato dalla dizione che accompagna la corresponsione del compenso); diversamente, la sua corresponsione rimarrebbe priva di ogni giustificazione, e la dichiarata modalità di corresponsione (fissità e continuità) potrebbe al più fare ritenere che l'Amministrazione abbia voluto attribuire una maggiorazione 'automatica' del compenso erogato per il lavoro straordinario, sempre che fosse superato il limite previsto per il tetto massimo mensile di lavoro straordinario.In secondo luogo, non è stata raggiunta in giudizio prova certa del carattere di fissità e continuità del predetto compenso e anche in sede di appello non è stata adeguatamente contrastata l'affermazione, contenuta nell'impugnata sentenza, del carattere occasionale e discontinuo dell'indennità, che appare essere stata riconosciuta sulla base di una prassi senza alcun formale atto presupposto.Infine, anche se si volesse accedere alla tesi (infondata) del ricorso in appello, secondo la quale il compenso in esame debba essere considerato voce stipendiale in ragione delle sue modalità di corresponsione, non connessa alla effettiva prestazione di lavoro extra orario, tale compenso dovrebbe ritenersi ormai soppresso ai sensi dell'art. 49 del D. Lgs. n. 29 del 1993, secondo il quale 'il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi', e ogni trattamento economico accessorio deve essere definito in sede di contrattazione collettiva 'secondo criteri obiettivi di misurazione' che sono 'collegati: a) alla produttività individuale; b) alla produttività collettiva tenendo conto dell'apporto di ciascun dipendente'.Da questo punto di vista, sarebbe comunque corretta la determinazione dell'INPDAP di non considerare sin dalla data di inquadramento il compenso in esame quale compenso meritevole di salvaguardia ai sensi del menzionato art. 2 lett. o) della legge n. 421/1992 (in tale ipotesi, qui esaminata solo per completezza e in via meramente subordinata, l'eventuale pregresso periodo residuo sarebbe comunque prescritto per il periodo precedente a quello di 5 anni antecedenti la notificazione del ricorso di primo grado, non risultando altri atti interruttivi della prescrizione, né potendo essere ritenuta tale l'eventuale impugnazione degli atti di inquadramento per le considerazioni già svolte in precedenza circa la rilevanza ai soli fini giuridici di tali provvedimenti).A conferma della decisione qui assunta, va, infine, sottolineato che la stessa Amministrazione ha rappresentato che, con la avvenuta 'privatizzazione', tutti i dipendenti hanno avuto di fatto una retribuzione superiore a quella percepita in precedenza in virtù dei progetti di produttività.6. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto, restando assorbita ogni ulteriore questione, anche processuale, sollevata dall'ente appellato.Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.P.Q.M.Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.Spese compensate.Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.Così deciso in Roma, l'8 maggio 2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione …..DEPOSITATA IN SEGRETERIA il....24/07/2007

fonte: newsfood.com

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